Squali di venti metri, balene e giraffe: le (altre) meraviglie di Tropea

Il museo del mare regala un'esperienza culturale unica. Un viaggio nel passato fino a quasi undici milioni di anni fa. E un Mediterraneo diverso da quello che conosciamo oggi

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Tropea è senza dubbio la città turistica calabrese più famosa al mondo. Storica e amata meta del turismo italiano, europeo e globale, Tropea ha legato le sue fortune al mare turchese che la bagna e a una virtuosa tradizione ricettiva, supportati egregiamente dalle sue bellezze artistiche e architettoniche – il Santuario di Santa Maria dell’Isola sull’omonimo promontorio, la cattedrale con l’icona della veneratissima Vergine di Romania, i sontuosi palazzi nobiliari.

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La Tropea da cartolina

Una mare di Museo a Tropea

Tropea ha con il suo mare un legame indissolubile che oggi trova una originale narrazione – con una sfumatura inusuale e, lo capiremo presto, del tutto inaspettata – al Museo civico del Mare.
Inaugurato nel 2019, il Museo civico del Mare di Tropea (MuMaT) si trova all’interno del complesso di Santa Chiara – già convento e ospedale della cosiddetta perla del Tirreno –, in pieno centro storico, a pochi passi dall’Antico Sedile dei Nobili e dalla celebre balconata sul mare.
Il MuMaT è gestito dal Gruppo paleontologico tropeano. L’ente, sorto col fine di valorizzare il patrimonio paleontologico della provincia di Vibo Valentia, è composto da Francesco Barritta (direttore del Museo), Giuseppe Carone (direttore scientifico e presidente del Gruppo), Vincenzo Carone (architetto che ha curato il progetto di allestimento), Luigi Cotroneo (curatore della sezione paleontologia), Francesco Florio (curatore della sezione biologia marina) e Tommaso Belvedere (responsabile delle collezioni).

Undici milioni di anni fa

Il sito culturale di Tropea espone i reperti recuperati nel corso delle trentennali indagini lungo la Costa degli Dei fino alla valle del fiume Mesima, con aree che hanno riservato eccezionali sorprese come la ricca falesia di Santa Domenica di Ricadi e il sito paleontologico di Cessaniti, un’autentica miniera per i paleontologi. Distante da Tropea circa venti chilometri, il giacimento di Cessaniti presenta sedimenti marini risalenti al Tortoniano, stadio stratigrafico del Miocene, compreso fra sette e undici milioni di anni fa, in cui si registrò un progressivo abbassamento del livello del mare.

Resti di un cetaceo esposti nel Museo civico del mare a Tropea

Una balena a Cessaniti

È proprio nell’area del comune di poco meno di tremila abitanti dell’entroterra vibonese che dagli anni settanta in poi – con gli scavi avvenuti “usufruendo” del massiccio sviluppo edilizio della regione – si sono susseguite stupefacenti scoperte; su tutte, il rinvenimento dei resti di una balena (un esemplare della specie heterocetus guiscardii) risalenti a circa sette milioni di anni fa. Leida – così è stato battezzato il leggendario cetaceo – è riemerso nel 1985 a seguito degli scavi del Gruppo archeologico “Paolo Orsi”.

La conservazione per questo infinito lasso di tempo è stata possibile grazie alla sabbia dei fondali mediterranei che ha innescato il processo di fossilizzazione dello scheletro e lo ha preservato sino ai nostri giorni. La balena, pezzo pregiato del Museo, si presenta assai più piccola rispetto agli esemplari del nostro tempo e all’epoca, date le ridotte dimensioni, rappresentava ancor di più un cibo prediletto per animali del mare più grossi quali il grande squalo bianco e l’orca.

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Un Mediterraneo popolato da strane creature nelle sale del Museo civico del mare a Tropea

Le giraffe di Calafrica

Fra i reperti più importanti conservati al MuMaT ci sono anche due scheletri di sirenio (metaxytherium serresii), un mammifero acquatico erbivoro progenitore dei lamantini e dei dugonghi – mammiferi tipici degli oceani Atlantico e Pacifico – e probabilmente imparentato, alla lontana, con gli elefanti. E a proposito di mammiferi terrestri, per certo strabilierà il visitatore imbattersi nella vetrina che contiene un dente fossile di stegotetrabelodon syrticus, un elefante nordafricano distinto da quattro zanne lunghissime, e l’astragalo di un esemplare di bohlinia attica, un giraffoide vissuto nel Miocene superiore. Animali che non si penserebbe mai siano stati di passaggio nel nostro territorio. Si tratta di sbalorditivi ritrovamenti che supportano la tesi di un possibile combaciamento, in tempi remoti, fra le coste della Calabria e quelle dell’Africa settentrionale.

Il riccio di mare dedicato al direttore del museo

Una esposizione particolarmente ricca è quella dei clypeaster – dal latino clypeus (scudo tondo) e aster (stella) –, antenati miocenici dei ricci di mare che, come sostiene Giuseppe Carone, rappresentano un po’ il simbolo della paleontologia calabrese per la loro capillare diffusione sulla nostra fascia costiera. Assai ben conservati, questi organismi risultano molto utili per la datazione degli strati geologici. E parlandoci dei ricci, Carone, con deliziosa timidezza, ci rivela un dettaglio di cui andare orgogliosi tutti: il direttore scientifico del Museo è il solo paleontologo in vita cui è stato dedicato un fossile di riccio di mare. Il nome del resto animale in questione è amphiope caronei.

Una conchiglia di grandi dimensioni fra le teche del museo

Una teca di assoluto fascino, poi, è quella dedicata alla malacofauna. Qui sono esposti circa cento esemplari di conchiglie, talune estremamente rare come il guscio di un argonauta argo, mollusco discendente diretto della celeberrima ammonite, estinta circa 66, 65 milioni di anni fa, a braccetto coi dinosauri.

Lo squalo di 20 metri 

Cattureranno l’attenzione del pubblico anche i denti fossili di un megalodonte, squalo scomparso circa 2,6 milioni di anni fa che poteva raggiungere la lunghezza monstre di venti metri, e di uno squalo bianco, il carcharodon carcharias, il più grande pesce predatore del pianeta terracqueo. Beni paleontologici che ci raccontano di un Mediterraneo decisamente diverso da come lo vediamo oggi, di un mare tropicale in cui nuotavano animali i cui discendenti non circolano più nel nostro bacino.
La meravigliosa biodiversità conservata e in mostra al Museo del Mare di Tropea non può che sorprendere il visitatore, ma allo stesso tempo lo stimola a instaurare un rapporto più consapevole con l’ambiente che lo circonda e, non dimentichiamolo mai, lo ospita. Temporaneamente.
Presto il MuMaT, luogo straordinario in cui scoprire il Mediterraneo antico, si amplierà con ulteriori tre sale: due dedicate all’esposizione di altri reperti; un’altra, invece, vedrà sorgere una biblioteca dedicata al mare e alla paleontologia e biologia marina, accessibile a curiosi e studiosi da tutto il mondo. Prevista, inoltre, l’apertura di un cortile interno che ospiterà eventi e presentazioni di libri.

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