Chi tocca certi fili muore. E forse non ha torto chi afferma che il problema della Sanità calabrese è “di sistema”. Cioè, è l’esito di una situazione incancrenita da decenni di cattive prassi, che si riassumono in un’espressione: inefficienza totale.
La quale si riflette, in maniera pesante, sulla salute dei cittadini e sull’economia di tutto il territorio, considerato che le strutture sanitarie calabresi inglobano il 75% del bilancio regionale. Sono cose note. Meno note sono le statistiche globali, pubblicate la scorsa estate da Openpolis.
A dicembre 2020, le Aziende – sanitarie e ospedaliere – commissariate in Italia erano 34. A luglio 2021 il numero si è ridotto della metà, perché sono uscite dal commissariamento la Valle d’Aosta, l’Umbria e le Aziende piemontesi, liguri e venete finite nel mirino. Circa metà delle 17 Aziende rimaste sono calabresi.
Gli altri numeri sono evanescenti e virtuali. Ci si riferisce alla contabilità, che risulta impossibile ricostruire con precisione. Ma anche i numeri approssimativi fanno paura.
Dieci anni e otto commissari
Riavvolgiamo il nastro per capire che nulla è cambiato, nonostante dieci anni di controlli (si fa per dire…) romani e otto commissari.
A fine 2010, il disavanzo complessivo della Sanità calabrese era di 1 miliardo 46 milioni e 983mila euro. A poco, così rilevava il “famigerato” tavolo Massicci, erano serviti gli accorpamenti delle Aziende sanitarie locali nelle cinque Asp, avvenuta nel 2008.
Alla fine dell’amministrazione Oliverio, il debito rilevato, più o meno a tentoni, dalla Corte dei Conti era di 1 miliardo e 51 milioni.
La beffa ulteriore emerge dalla demografia: nel 2010 gli abitanti della regione erano 2 milioni e 10mila circa, ora sono 1 milione 849 e 145. I calabresi calano, i debiti aumentano e non sono proprio leggeri: circa 539 euro per abitante. Davvero, in tutto questo disastro, ha un senso la caccia al responsabile?
Il garantismo è impossibile
È impossibile raccontare la storia recente della Sanità calabrese prescindendo dai suoi risvolti giudiziari, a volte pesantissimi, che vanno dai “banali” abusi d’ufficio ai falsi in bilancio, dove rintracciabili.
È il caso dell’Asp di Cosenza, una delle più grandi Aziende del Paese, di cui si sospetta un triennio di bilanci farlocchi (2015-2017). Su questi bilanci farà luce il processo Sistema Cosenza, che inizierà a breve, nel quale risultano indagati i due ex commissari regionali Massimo Scura e Saverio Cotticelli e l’ex direttore generale dell’Azienda cosentina Raffaele Mauro.
I tre presunti bilanci falsi di Cosenza più i problemi contabili esplosi nel 2018 hanno fatto ipotizzare perdite di bilancio per circa 600 milioni. Peggio che andar di notte a Reggio, dove i bilanci semplicemente non esistono, e a Catanzaro, dov’è emerso lo zampino delle ’ndrine.
In principio era Peppe
Peppe Scopelliti era partito alla grande. Nel 2010 aveva stracciato Loiero alle urne e poi, a commissariamento dichiarato, si era lanciato in proclami degni più del giocatore di basket che era stato che di un politico: tagliare gli sprechi, rivedere le strutture fatiscenti, sforbiciare il personale di quel che serve.
Il tutto per un risparmio totale di circa 200 milioni. Peccato solo che Super Peppe, più lungo che lungimirante, non si fosse accorto che il punto debole della Sanità calabrese era proprio la sua Reggio: pochi e vaghi i dati forniti alla commissione ispettiva inviata dal ministero, bilanci evanescenti o comunque non rispettati, tendenza all’indebitamento e spese iperboliche.
I presupposti della contabilità “orale” che hanno reso famosa l’Asp reggina c’erano tutti.
C’è voluto Roger Waters con la sua recente sortita su Cariati per ricordare ai calabresi che “Pappalone” è riuscito nel “miracolo” di tagliare gli ospedali, ben sei nel solo Cosentino, ma non le spese. E a proposito di Cosenza: la parabola di Gianfranco Scarpelli, direttore generale dell’Asp, insegna che tagliare non basta. Infatti, il pediatra cosentino, notoriamente legato ai Gentile, aveva provato a mettere mano al contenzioso legale della sua Azienda e qualcosa l’aveva sforbiciata qui e lì. Ma questo non gli ha evitato le attenzioni dell’autorità giudiziaria e qualche scandalo giornalistico, culminati in un processo da cui è uscito per il rotto della cuffia.
Voto: 4 meno meno, perché una rockstar ci ha ricordato che ha gestito la Sanità.
Un manager alla carica
La Sanità calabrese ha ripetuto, nel piccolo, ciò che accadeva nel resto del Paese: l’eclissi ingloriosa della politica, dovuta al crollo del berlusconismo, e l’arrembaggio dei tecnici.
Infatti, il prudente Mario Oliverio, che aveva stravinto nel 2014 con una campagna elettorale piuttosto dimessa, è riuscito a non farsi tritare per la Sanità per il semplice motivo che (almeno formalmente) non l’ha gestita. La mission impossible è toccata a Massimo Scura, manager ingegnere di area Pd, che aveva rilevato il posto di Super Peppe dopo il breve interregno (circa sei mesi) di Luciano Pezzi, già subcommissario di Scopelliti.
A Scura si deve riconoscere di aver provato per davvero a fare il commissario ad acta. Al punto di attirarsi le ire di Oliverio, arrivato al punto di annunciare iniziative eclatanti. Peccato solo che durante il triennio di Scura (2015-2018) si sono verificati i presunti falsi in bilancio dell’Asp cosentina, è avvenuto il commissariamento per mafia dell’Asp di Catanzaro, è arrivata al capolinea la vicenda della Fondazione Campanella e, contemporaneamente, sono esplose le magagne dell’Azienda ospedaliera di Cosenza. In pratica, sono emerse tutte le criticità già rilevate dalla Commissione ministeriale nel 2009.
Scura ha rimediato dalla sua esperienza calabrese un rinvio a giudizio per la vicenda della Task Force veterinaria regionale e un’inchiesta pesantissima.
Voto: 5 meno meno, per essere riuscito a far sembrare il Pd, quando era al governo, una forza di opposizione.
Il generale distratto
C’è da sperare che la Sanità regionale non anticipi le tendenze della politica nazionale, perché l’esperienza di Saverio Cotticelli, generale dei carabinieri in pensione, dimostra che neppure il peggiore Pinochet potrebbe mettere un po’ d’ordine.
Ad ogni buon conto, a Cotticelli, nominato dai cinquestelle in versione gialloverde e poi confermato nella versione giallorossa, non si possono fare troppi rilievi: a differenza di chi lo ha preceduto, non ha governato (e forse non ci ha neppure provato). Ha subito tutto ciò che gli capitava sotto e attorno. Anche la pandemia, che non si è accorto di dover gestire.
Voto: 3, perché fa quasi tenerezza.
L’asso pigliatutto
È durato appena nove giorni, giusto il tempo di farsi tritare dai media per l’infelice battuta sul Covid trasmissibile solo col bacio alla francese, tra l’altro genderfluid. Tuttavia, i calabresi conoscevano già Giuseppe Zuccatelli, ex presidente dell’Agenas, che aveva gestito il “Pugliese Ciaccio”, la “Mater Domini” e l’Asp di Cosenza.
Voto: in generale non pervenuto, ma comunque 3, per il doppio record del siluramento lampo e della dichiarazione maliziosa.
Il prefetto di ferro
C’è chi è durato meno di Zuccatelli: è Eugenio Gaudio, ex rettore della Sapienza, che il 17 novembre 2020 ha rifiutato l’incarico a commissario ad acta propostogli dal governo il giorno prima.
Si sa che i calabresi, quando qualcosa non va, diventano reazionari, invocano legge e ordine e sognano i prefetti, meglio se “di ferro”.
Chi meglio del supersbirro siciliano Guido Longo, conosciutissimo dai calabresi per essere stato prefetto di Vibo, quindi in prima linea nella lotta alle super ’ndrine?
Longo ha gestito la Sanità durante l’interregno di Spirlì con un piglio più burocratico che poliziesco. Infatti, ha amministrato in maniera “difensiva”: ha bocciato il bilancio dell’Asp di Crotone (2019), quelli di Vibo (2018-2019) e quello di Reggio (2019), l’unico che quell’Asp fosse riuscita a presentare. Non ha sbloccato le assunzioni e non ha applicato le norme anticovid.
Nella Sanità calabrese conoscevamo la medicina difensiva. Longo ha dimostrato che l’amministrazione può non essere da meno.
Voto: 5, per rispetto ai galloni.
Occhiuto ha ripoliticizzato la sanità calabrese
Dare i voti a Roberto Occhiuto, che ha “ripoliticizzato” la funzione di commissario ad acta è prematuro. Le sue sortite principali nel settore sono quelle relative all’Ospedale di Cariati (anche lui fan dei Pink Floyd?) e sul piano di assunzioni di medici e Oss per l’Annunziata di Cosenza.
Roberto Occhiuto non ha promesso le “montagne di pilu”. Ma qualcuno tra i suoi lo avrebbe fatto durante l’ultima campagna elettorale. Riuscirà il Nostro a resistere alle pressioni dei tanti che si aspettano il pane quotidiano dalla Sanità e premono dalle graduatorie che giacciono nelle stanze dei bottoni? Si accettano scommesse…