Cosenza: fidarsi di Goretti, mai di Guarascio

Per l'ennesima volta i Lupi si ritrovano a ricostruire la rosa da zero prima di affrontare il campionato. E l'alibi della riammissione tardiva in serie B regge solo fino a un certo punto: l'impegno del ds Goretti non cancella le colpe, sempre uguali di stagione in stagione, del presidente

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La chiusura del calciomercato, decretata alle 20 di avantieri sera in un’epoca in cui il “tempio” del mercato pallonaro della penisola sembra essersi trasformato in un luogo asettico di camicie bianche e disperazione causa crisi economica, ha aperto subito l’era dei processi e dei giudizi per direttissima. In serie B, che poi è la categoria che ci riguarda da vicino, le più grosse testate nazionali e i bookmakers inglesi hanno messo il Cosenza calcio tra gli organici candidati alla retrocessione in C, mentre Crotone e Reggina pare possano dormire sonni tranquilli.

Nulla di nuovo, verrebbe da dire, anche perché la lunga vicenda della riammissione (o ripescaggio, che ognuno, a seconda della propria coscienza, chiami questa cosa come gli pare) arrivata quando mezza cadetteria era già in ritiro da quasi un mese, ormai è cosa nota a tutti e non interessa più a nessuno. Eugenio Guarascio escluso, ovviamente.

Goretti tenta il miracolo

Interessa più che altro vedere cosa accadrà da adesso in avanti, tenendo conto che le premesse, restando sempre con i pensieri a ciò che accade in riva al Crati, sono realmente poco confortanti. Prima, però, se proprio un giudizio si vuole dare a qualcuno alla luce di quanto visto negli ultimi giorni nel capoluogo lombardo, non si può non pensare a Roberto Goretti, neo direttore sportivo, che in poco più di due settimane è riuscito a mettere in piedi quasi da zero, come nelle migliori tradizioni del calcio bruzio in salsa guarasciana, una rosa di calciatori.

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Il nuovo ds del Cosenza, Roberto Goretti

Il suo voto – e me ne assumo tutte le responsabilità – è alto, altissimo e non perché la squadra, piena zeppa di sconosciuti con l’aggiunta di Palmiero, Millico e pochi altri, a guardarla con la lente d’ingrandimento sia di grande qualità, ma per la pazienza e il sangue freddo con cui ha saputo gestire ogni minima trattativa sentendo, 24 ore su 24, il fiato sul collo del suo riconoscibilissimo datore di lavoro, per la prima volta in undici anni di presidenza rossoblù presente laddove si concludono gli affari.

Costruirò una grande squadra

Dichiarazioni di circostanza a parte, sarebbe interessante sapere cosa pensa davvero oggi, dopo i due giorni di Milano, il neo ds rossoblù dell’imprenditore ambientale. Ne aveva parlato bene nel giorno della sua conferenza stampa di presentazione, affidandosi, forse ingenuamente, alle frasi ad effetto dei suoi predecessori Meluso e Trinchera per rendere l’idea: «Prima di accettare Cosenza, li ho chiamati ed entrambi mi hanno parlato bene di Guarascio». Che mattacchioni.

Da lì in poi, com’era prevedibile, il suo lavoro è stato una corsa contro il tempo e contro l’eccitazione che aveva prima della firma del contratto. È vero, si veniva da giorni di precarietà e di incertezza, tali da giustificare il ritardo nella costruzione della rosa, ma le esternazioni dell’assente presidente Guarascio lasciate in dono al sindaco Mario Occhiuto («mi ha detto che stavolta costruirà una grande squadra»), lasciavano intravedere, almeno in chi crede ancora a Babbo Natale, uno spiraglio di luce in fondo al tunnel, o qualcosa che gli somigliasse.

Alle tradizioni non si rinuncia

Ma, in un batter d’occhio, tutto è tornato al suo posto. La partenza ad handicap è diventata un alibi e al “San Vito-Marulla”, dopo lo sballottato tecnico Zaffaroni, è piombato un manipolo di calciatori, quasi tutti più adatti alla C che alla B. Calciatori volenterosi che, senza batter ciglio, indossando la casacca dell’anno scorso (perché, pare che senza la certezza della categoria, non si potessero neanche avere delle divise nuove) hanno accettato come kamikaze giapponesi di giocarsi la pelle contro Fiorentina, Ascoli e Brescia.

Il resto è storia recente, si aspettava almeno una punta da doppia cifra e invece non si è riusciti ad andare oltre il sogno Emmanuel Rivière. Il suo ritorno, sponsorizzato dallo stesso Guarascio, a un certo punto sembrava cosa fatta: «C’è l’accordo con il calciatore» – urlavano gli esperti di mercato – «Il Cosenza pagherà il suo ingaggio per intero»; «Il patron per lui è disposto a superare il budget abituale».

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Emmanuel Rivière nella stagione in cui ha indossato la maglia del Cosenza

Poi, però, non se n’è fatto più niente, più che altro perché oltre a dialogare amabilmente con il diretto interessato e col suo procuratore, sarebbe stato opportuno rivolgersi anche al Crotone, proprietario del suo cartellino. Invece, come dichiarato dalla stessa società pitagorica in uno strano ma eloquente comunicato stampa, nessun dirigente del Cosenza ha mai mostrato interesse per l’attaccante martinicano.

A meno che, ma qui rischiamo di addentrarci in un territorio che ha a che fare più con il fantacalcio che con la realtà acquisita, lo stesso Cosenza non abbia deciso di attendere la rescissione del contratto del calciatore per ingaggiarlo da svincolato. Per ora, l’unica cosa da fare è raccontare i fatti, e i fatti dicono che l’attacco silano è un’incognita.

Una marea di se

Nonostante i pronostici abbiano già decretato la morte sportiva del team di Zaffaroni, è oggettivamente troppo presto per capire che fine farà questa squadra. Dal discorso potrebbero spuntare fuori una marea di se, come accade quando sei povero e sogni l’impossibile o scommetti tutto quello che hai sul cavallo più scarso per vincere di più. “Se” Rigione riuscirà a governare la difesa come faceva Dermaku, “se” Palmiero sarà quello di tre anni fa, “se” Millico non si farà male un giorno sì e l’altro pure come accaduto nella scorsa stagione, “se” Gori sarà il nuovo Margiotta e tanti altri di quei se che non basterebbe un altro articolo a contenerli tutti insieme.

Però, a pensarci bene, forse non è questo che conta realmente. Alla fine, sul campo o fuori, si potrà anche raggiungere l’ennesima striminzita sopravvivenza, in grado di far respirare una città che di pallone vive e si nutre per dimenticare ciò che la circonda. Ma cosa resterebbe del Cosenza e della sua gente innamorata e rassegnata ormai al minimo sindacale? Come accade guardando passivamente il degrado in cui è caduta rovinosamente la città, negli occhi di tutti resterebbe il solito vuoto, telecomandato da chi, quell’entusiasmo potenziale, da 11 anni a questa parte lo tiene in pugno e non lo lascia esplodere a dovere.

Niente scuse

Il presidente del Cosenza calcio Eugenio Guarascio, dopo le dure e meritate contestazioni dei mesi scorsi, ha deciso di chiudersi nel suo fortino di Lamezia. Non parla, non passeggia più su corso Mazzini col gelato in mano, è offeso duramente con l’intera città, non la stima neanche un po’ e non ha nessuna intenzione di abbandonarla. Non ha nessuna intenzione di chiederle scusa per i recenti danni emotivi e di immagine che le ha causato.

Resta lì, sul suo trono, per un appalto e per un capriccio che continua ad arricchirlo mentre il popolo ai suoi piedi si impoverisce di speranza. Sa benissimo che per gestire come si deve una società di calcio professionistica, non basta un direttore sportivo coraggioso e competente. Sa bene che servirebbero anche un direttore generale, un settore giovanile all’avanguardia che lavori in collaborazione con altre società satellite, uno staff sanitario di prim’ordine. E poi, ancora, strutture attrezzate, un’area scouting di primo piano e una mentalità aperta. È consapevole che dovrebbe puntare con decisione sulla comunicazione, oggi più che mai fattore indispensabile per una azienda sportiva ad alti livelli.

La fortuna durerà in eterno?

Lo sa bene Guarascio, ma per lui non è importante. A lui basta avere un direttore sportivo senza grilli per la testa, affidargli ogni anno uno dei budget più bassi dell’intero panorama professionistico e pretendere che vada tutto bene. E può anche andare bene ogni tanto, perché no? Il direttore sportivo pesca nel mucchio (rigorosamente con la formula del prestito) una decina di ragazzini girovaghi alle prime armi (sconosciuti al mondo ma osannati dagli eternamente fiduciosi come se fossero dei Messi in rampa di lancio) e magari accade che un paio di questi, proprio quando giocano per te, beccano l’annata perfetta o si scoprono addirittura dei campioncini in grado di tenerti a galla. E tutti lì a dire: che bravo però il direttore sportivo, che fiuto il patron Guarascio.

A volte funziona, a volte no. A volte si resiste e a volte si retrocede. Salvo poi cavarsela miracolosamente grazie a una pandemia che stravolge gli equilibri, grazie a un gol di Jallow al 91’ e a un fallimento improvviso di una squadra che ti riapre le porte di un torneo che avevi abbandonato con disonore.
Tutto qui. Ormai si sa che è tutto qui. Ma oggi, 2 settembre 2021, a cosa serve ricordarlo? Oggi è tempo di rinnovati pronostici, di critiche ed applausi.
C’è una squadra nuova da tifare e da contestare per dimenticare.

Francesco Veltri

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