Regione, gli assessori per “conto terzi” e l’enorme potere di Roberto Occhiuto

Sponsorizzati da big, illustri sconosciuti per molti, scaricabili dall'oggi al domani, a volte bocciati dal consenso popolare: la squadra di esterni nominata dal presidente sembra cucita su misura per lasciargli le mani libere. Una possibilità introdotta dal sangiovannese tra le critiche forziste ma sfruttata in pieno dall'azzurro

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Calma, calma, non alimentiamo facili populismi e non cediamo alle semplificazioni più becere e scontate: non esistono prestanome e in piedi non c’è alcun teatro con tanto di pupi e pupari. Sarebbe scorretto soltanto pensarlo. Epperò, una qualche chiave interpretativa sulla nascita della Giunta Occhiuto bisogna tentare di inserirla nella toppa di questa generale confusione istituzionale.

Proviamo a sintetizzare: il governatore, a parte due soli casi, potrebbe contare su tanti assessori “alexa”, nel senso che – con ogni probabilità – a comando devono giocoforza rispondere con una certa sollecitudine. Forse, però, i boomer (persone mature, diciamo così), che spesso ignorano i vantaggi offerti dall’assistente vocale di Amazon, avranno qualche difficoltà a capire di cosa parliamo. Un’altra definizione, allora. Ecco: Occhiuto, secondo un’idea parecchio diffusa tra gli addetti ai lavori, avrebbe nominato assessori “per conto terzi”. L’espressione è tratta dal burocratese applicato ai trasporti ma, probabilmente, rende meglio il concetto in questione.

Cinque esterni alla Regione

Andiamo dritti al punto: il presidente della Regione, a novembre, circa un mese dopo la straripante quanto scontata vittoria elettorale, ha varato la sua squadra di Governo, composta inizialmente da sei assessori, a cui in seguito se ne è aggiunto un settimo. Tra loro, solo due sono stati pescati dal Consiglio regionale: Gianluca Gallo (Fi, quasi 22mila voti) e Fausto Orsomarso (Fdi, 9mila).
Tutti gli altri sono componenti esterni al parlamentino calabrese, dunque non eletti e non premiati dal corpo elettorale: Giusi Princi, vicepresidente con tanto così di deleghe (Istruzione, Lavoro, Bilancio, Città metropolitana di Reggio); Tilde Minasi (Politiche sociali); Rosario Varì (Sviluppo economico e Attrattori culturali); Filippo Pietropaolo (Organizzazione e Risorse umane); e poi, appunto, l’ultimo arrivato, Mauro Dolce (Infrastrutture e Lavori pubblici).

Chi sono costoro? Alcuni erano sconosciuti al grande pubblico fino al momento della nomina, altri si erano candidati senza successo alle ultime Regionali o avevano avuto qualche discreto successo nelle rispettive attività lavorative o professionali.
Una cosa accomuna tutti gli esterni: il fatto di essere stati sponsorizzati o – se vogliamo rimanere nella metafora trasportistica – l’aver ottenuto l’autorizzazione dei proprietari dei carichi, che non hanno mai smentito, anzi, il loro ruolo attivo nella formazione della Giunta.

Questi assessori sono offerti da…

Partiamo dalla vice di Occhiuto. Princi è stata una dirigente scolastica che, alla guida del Liceo scientifico “Vinci” di Reggio, ha riscosso un buon successo personale. Preparata, affabile e, nella maggior parte dei casi, apprezzata da studenti e genitori. Questo curriculum, per quanto brutalmente riassunto, può bastare a giustificare la sua presenza nel Governo della Regione, perdipiù con un portafoglio di deleghe da far impallidire anche il più scafato degli amministratori pubblici?
Senza nulla togliere alla vicepresidente, in Calabria tanti altri dirigenti scolastici, stando così le cose, avrebbero potuto ambire a quel ruolo. La discriminante è un’altra e si chiama Ciccio Cannizzaro, deputato di Forza Italia (il partito di Occhiuto) e, soprattutto, cugino di Princi. Il parlamentare azzurro è insomma riuscito a replicare quanto fatto nella scorsa legislatura, quando impose il nome di Domenica Catalfamo all’allora presidente Jole Santelli.

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Gli assessori Princi e Dolce

Avvocato con impegni lavorativi a Roma, con un lontano passato da assessore a Vibo, Varì è invece tornato in Calabria e ha assunto l’incarico in Cittadella grazie all’appoggio del numero uno di Fi Calabria, Giuseppe Mangialavori. Tra il senatore e Varì esiste infatti un forte legame di amicizia coltivato fin dall’adolescenza.
Le ricostruzioni ricorrenti, anche queste mai smentite, riportano che pure altri due assessori, sebbene politici di medio-lungo corso, sarebbero stati “raccomandati” con calore dai big dei rispettivi partiti. È il caso di Minasi, indicata dal leader della Lega Matteo Salvini, e di Pietropaolo, benedetto dalla commissaria regionale di Fdi Wanda Ferro.
Sia Minasi, sia Pietropaolo, si erano candidati alle elezioni dello scorso ottobre senza essere rieletti. I calabresi, con il loro voto, hanno cioè stabilito che non dovessero rappresentarli nelle istituzioni regionali.

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Tilde Minasi con Matteo Salvini

Bertolaso rifiuta la Regione

Dolce merita un discorso a parte. Pare che Occhiuto, nelle settimane precedenti al varo della Giunta, fosse in cerca di un nome altisonante per la sua squadra. Secondo alcuni (i soliti maligni), per camuffare il livello non proprio altissimo degli altri assessori; secondo altri (forse ancora più maliziosi), per scimmiottare la stessa Santelli, che in Cittadella era riuscita a far arrivare personaggi del calibro di Capitano Ultimo, Sandra Savaglio e, alla Film commission, Giovanni Minoli (tutti con risultati piuttosto controversi, ma questo è un altro discorso).

Il governatore avrebbe dunque corteggiato a lungo il feticcio per eccellenza del berlusconismo, Guido Bertolaso. L’ex capo della Protezione civile, in un primo momento, si sarebbe fatto convincere, per poi gradualmente richiudere la porta di casa, lasciando Occhiuto interdetto e con i piedi ancora sullo zerbino. Indiscrezioni di stampa avevano però fatto trapelare la trattativa, e a quel punto l’ex capogruppo di Fi alla Camera non poteva certo permettersi di fare una figura barbina, peraltro causata da un tecnico della propria area politica.

E così, si dice negli ambienti della politica, Bertolaso, per farsi perdonare il gran rifiuto, avrebbe suggerito la nomina di Dolce, con cui aveva collaborato gomito a gomito ai tempi della Prociv. Curriculum di tutto rispetto, quello del prof della “Federico II” di Napoli, «un uomo – ha commentato lo stesso Occhiuto – che negli anni ha coordinato e gestito tante emergenze, uno specialista in lavori pubblici, un ricercatore e uno studioso con alle spalle innumerevoli e pregnanti esperienze». A lui toccherà la funzione di «raccordo tra la Regione e i Ministeri per il Pnrr». Un ruolo che, tuttavia, forse il governatore avrebbe voluto affidare a Bertolaso e non a quello che in molti ritengono un «sostituto», per quanto super competente.

Oliverio e la riforma

Bisogna sottolineare che questa apertura estrema a figure sponsorizzate da terzi e, sostanzialmente, sconosciute agli elettori, non è un’invenzione di Occhiuto, ma di quel gran riformatore di Mario Oliverio. L’allora presidente della Regione, siamo nel gennaio 2015, come primo atto della legislatura pensa bene di far approvare dal Consiglio una legge di modifica dello Statuto regionale. Prima del suo intervento, gli assessori esterni potevano essere al massimo tre, dopo la riforma fino a sette, cioè tutti.

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Carlo Guccione e Mario Oliverio festeggiano dopo la vittoria alla Regionali: il primo sarà nominato assessore sull’onda dei risultati elettorali per poi essere sostituito in Giunta da un esterno in seguito a Rimborsopoli

Oliverio segue un suo disegno. Dopo l’inchiesta Rimborsopoli, in cui erano rimasti coinvolti gli assessori della sua prima Giunta, il governatore azzera tutto e nomina un esecutivo composto di soli membri esterni. Le ragioni di questa scelta sono in qualche modo legate anche alla riduzione dei membri del Consiglio regionale, passati da 50 a 30, così come deciso dal Governo Monti. Il taglio, per i politici calabresi, è un trauma terribile, dal momento che vengono a mancare, non proprio dalla sera alla mattina, 20 ben comode poltrone. Grosso guaio. Oliverio lo attenua con la modifica dello Statuto e, per effetto conseguente, aumentando per sette i posti/costi della Regione. Alla faccia della spending review.

Col senno di poi, è certamente interessante, oltreché istruttivo, ricordare in che modo venne bollata l’operazione da uno degli allora maggiorenti di Fi, Mimmo Tallini: «Una riformicchia che serve solo a sistemare i conflitti interni al centrosinistra». Curioso che, sei anni dopo, a trarre benefici dalla «riformicchia» sia stato l’azzurrissimo Occhiuto, che per questa via ha trovato la quadra e con i compagni di partito e con gli alleati.

La differenza

Bisogna intendersi: la nomina di assessori esterni non è certo un unicum della nostra regione e in linea teorica è perfino auspicabile, perché un presidente ha il diritto/dovere di scegliere gli uomini che ritiene più adatti per realizzare il proprio programma di governo. Il punto cruciale, a parte l’esagerato quantum di membri non eletti, ha tuttavia a che fare con la democrazia stessa. Che peso politico possono mai avere assessori nominati in ossequio a queste liturgie? Mettiamo il caso che uno di loro entri in rotta di collisione, per una qualsiasi questione, con il proprio dante causa: quest’ultimo, fautore della nomina, potrebbe cambiare repentinamente idea e chiedere un cambio in corsa a Occhiuto.

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Gianluca Gallo (FI), eletto in Consiglio regionale con più di 20mila preferenze

Questo perché i politici “alexa” (abbiate pazienza, boomer) di fatto non possiedono alcun potere contrattuale; il medesimo potere che facilita la pronuncia di quei «no» che, nell’azione di governo, spesso sono doverosi e necessari, nella logica dei pesi e contrappesi che reggono ogni democrazia. La differenza con gli assessori eletti è lampante. Gallo, ad esempio, è stato legittimato – tanto legittimato – dal voto popolare e il governatore avrebbe il suo bel da fare per levarselo di torno nel caso in cui si mettesse a fare ostruzione rispetto a certe politiche, a certe iniziative, a certe, magari, esagerazioni amministrative.

Un enorme potere

Occhiuto, invece (grazie a Oliverio), dispone di un potere pressoché enorme anche per via della presenza dei “conto terzi”, sostituibili in un battibaleno perché in possesso solo della fiducia (rivedibile) di chi li ha indicati e non di quella popolare. Non è questione da poco, in una terra in cui il presidente di Regione è anche capo assoluto della sanità (e dei fondi correlati, più di quattro miliardi), gran signore della programmazione europea e dominus del Pnrr.

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Il presidente della Regione Calabria, Roberto Occhiuto

Un governo di assessori autonomi, in questo contesto, non guasterebbe di certo. Calma, di nuovo: non si può affermare con certezza che gli esterni non lo siano. Allo stesso tempo, in linea di principio, non si può nemmeno escludere che, durante le riunioni di Giunta, vengano pronunciati ordini e non illustrate proposte. Cose tipo «Alexa, cambia canale». Perfino i boomer intravedono i rischi di una tale situazione.

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