Ciccio Cannizzaro, quando la politica è questione di profumo

Forse non ha tutto il peso che millanta, tuttavia riesce a giocare bene le sue carte. Nel deserto del dopo Scopelliti emerge. Prima sta con la Santelli, poi diventa sponsor ufficiale di Roberto Occhiuto. Eppure c'è chi dice che volesse fargli le scarpe. Da Santo Stefano d'Aspromonte ai suoi boys, l'importante resta apparire

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Profumato è profumato, nessun dubbio. La fragranza che lo identifica – adatta a chi paga tavolo e bottiglie di champagne quando la comitiva si riunisce nei privé delle disco – ne annuncia l’arrivo ancor prima che si manifesti fisicamente, alle riunioni politiche come alla Camera. È forte a tal punto, quell’effluvio, che alcuni colleghi lo hanno ribattezzato con la perfidia dei ragazzi un po’ invidiosi: «Ciccio profumo». Ecco, sta arrivando «Ciccio profumo», e partono i sorrisini beffardi di chi, ogni volta, prova a metterlo in ridicolo, pur temendolo parecchio.

Che sia un ragazzo dal buon odore, dunque, è fuori discussione. Ma Francesco “Ciccio” Cannizzaro può anche essere considerato un profumiere, ovvero uno che promette qualcosa di impossibile, che seduce nella consapevolezza di deludere, insomma uno che millanta un potere che, in effetti, non ha? Qui la questione si fa molto molto più complicata, senza che peraltro si possa giungere a una risposta univoca o condivisa.

Un politico che ostenta

Certo è che il giovane deputato e coordinatore provinciale reggino di Forza Italia, quarant’anni a giugno, è uno che ostenta parecchio. Si pavoneggia, si intesta successi, pensa in grande. E, spesso, riesce a convincere gli interlocutori di turno del fatto che lui stesso sia grande, un grande politico.
Non prova mai imbarazzo, Cannizzaro; come quando, pochi giorni fa, per ben due volte ha dato il suo personale e convinto – ancorché, ovvio, del tutto ininfluente – endorsement nientemeno che al Cavalier Silvio Berlusconi («è ultramotivato e sarà un presidente super partes»).

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Berlusconi e Cannizzaro

Solo una civetteria, in fondo, una comune cosetta da politici mitomani; ma il punto è che, quando il giovane Ciccio fa una mossa, instilla sempre il dubbio che, davvero, lui possa essere arbitro e decisore di quella ben determinata questione, fosse anche il voto per il presidente della Repubblica.
È uno che ci crede, Cannizzaro, uno che non ha mai coltivato dubbi e che la politica, quella cosa fatta di «sangue e merda», checché ne dicano i (tanti) detrattori, la mastica meglio di tanti altri mestieranti sulla breccia.

Caridi la chioccia

Inizia dal suo paese, Santo Stefano d’Aspromonte, luogo risorgimentale in cui il ventenne Ciccio viene eletto per due volte consigliere e scelto per altrettante come assessore. Il paese nei cui confini sorge la più rinomata Gambarie sta stretto alle sue ambizioni e se ne allontana presto. Coltiva amicizie e legami importanti, tra cui quello privilegiato con Antonio Caridi, potente assessore regionale nella Giunta Scopelliti e poi senatore, prima della rovinosa caduta per via giudiziaria.

Cannizzaro diventa consigliere della Provincia guidata da Peppe Raffa ma quello scranno lo occupa per poco tempo. Dopo l’elezione in Parlamento dell’amico Antonio, infatti, si libera uno spazio in Regione e lui, che di quel blocco di potere è uno dei più promettenti terminali politici, fa il primo grande salto. Siamo nel 2014 e trionfa il centrosinistra di Oliverio. Cannizzaro entra in assemblea con la Casa della libertà e con in dote più di 6mila preferenze.

Il modello Reggio a processo

L’area destrorsa che lo ha svezzato è però in pieno disfacimento. Il Consiglio comunale di Reggio sciolto per mafia nel 2012 ha fatto partire la slavina: si accavallano le inchieste sui presunti rapporti con la ‘ndrangheta di tanti protagonisti di quella stagione e poi, soprattutto, inizia il declino del leader assoluto e incontrastato, Peppe Scopelliti. Nel 2014 si dimette da presidente della Regione dopo la condanna in primo grado per il crac finanziario di Palazzo San Giorgio e, inevitabilmente, via via si trascina dietro l’intera «classe dirigente» del «modello Reggio» già sublimato in «modello Calabria».

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Antonio Caridi e Peppe Scopelliti

Finisce male, anzi malissimo, anche il politico-chioccia di Cannizzaro, Caridi. Da senatore, nell’agosto 2016 viene arrestato nell’ambito dell’operazione “Gotha” contro i capi della ‘ndrangheta reggina. Ne uscirà completamente pulito dopo sei anni e tante, indicibili, sofferenze personali, ma la sua carriera politica è già bella che morta nel momento in cui varca il portone del carcere di Rebibbia.

Cannizzaro, da sergente a generale

Pochi mesi dopo, pure Cannizzaro finisce in una brutta storia di mafia: viene indagato dalla Dda di Reggio e accusato di aver ricevuto sostegno elettorale dalla cosca Paviglianiti di San Lorenzo. Il calvario del consigliere non prevede il carcere ed è decisamente più breve di quello del senatore Caridi: meno di un anno dopo, nel settembre 2017, Cannizzaro viene assolto «perché il fatto non sussiste».

Ed è allora, probabilmente, che il giovane Ciccio si rende conto di essere l’unico superstite in quel deserto che è ormai diventato il centrodestra reggino. Fino a pochi anni prima offuscato dalla luce splendente e fatua degli Scopelliti, dei Caridi, ma perfino da quella dei Bilardi e dei Raffa, adesso Cannizzaro, da semplice ufficiale di complemento, è diventato colonnello, se non addirittura generale: non c’è nessuno più in alto di lui.

Le occasioni da cogliere

Tutto si può dire, tranne che il politico «stefanita», come lo appella chi tenta di sminuirlo, non colga le occasioni al volo. Si candida immantinente alle Politiche del 2018 ed è eletto parlamentare nel collegio uninominale di Gioia Tauro per la Camera, uno dei pochi – assieme al senatore forzista Marco Siclari e alla deputata Wanda Ferro – a resistere all’ondata grillina che in Calabria fa man bassa di seggi, ben 18.
Da lì in poi, è tutta discesa. Il Cannizzaro “onorevole” è un politico diverso rispetto agli esordi: non si può dire propriamente che studi a fondo i molteplici dossier di cui si occupa, ma riesce a perorare le cause a cui tiene come nessuno.

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Jole Santelli e Ciccio Cannizzaro in Parlamento

Porta risultati, o almeno così sembra: si intesta il merito di aver fatto arrivare 25 milioni per l’ammodernamento dell’aeroporto dello Stretto, celebra anzitempo il completamento della strada Gallico-Gambarie («pronta entro la fine del 2022»), si mette alla testa della larga opposizione al governo cittadino di Falcomatà.

Sulle orme di Peppe

Nel mentre, tiene conferenze stampa a profusione, invita ministri per ogni bazzecola (ospite fissa: l’«amica» Mara Carfagna), organizza convention con migliaia di ospiti in cui il pezzo forte di serata è sempre lui, che chiude ogni evento e ogni comizio in un crescendo di urla vibranti e ad alto tasso emozionale, che ai nostalgici ricordano tanto lo stile da capopopolo di Scopelliti.

Sembra di vederlo, Cannizzaro, mentre, da sotto il palco, poco più che ragazzo, studia mimica, movenze e repertorio del suo leader: la mano a paletta che si muove ritmica per scandire i momenti topici del discorso, l’«e alloraaaa…» usato a mo’ di intermezzo prima, magari, di una nuova intemerata contro i «nemici di Reggio» o contro i giornalisti «cialtroni».

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Roberto Occhiuto, Mara Carfagna e Ciccio Cannazzaro

Io ballo da solo

Quello stile, quei toni, quei gesti, Cannizzaro li fa suoi. E col tempo diventa un oratore efficace e sicuro di sé, in più capace di ammantare tutto il suo agire politico di uno strato composito di furbizia e cinismo sconosciuto a Scopelliti. Per dire: l’ex governatore, parallelamente alla sua ascesa, ha allevato la sua «classe dirigente»: spesso sgangherata, per certi versi ridicola, in qualche caso collusa con la ‘ndrangheta, ma pur sempre un ceto politico che a Reggio, prima, e in Calabria, poi, ha esercitato potere, il più delle volte fine a se stesso, ma pur sempre potere.

Cannizzaro, invece, ama fare il solista, forse perché teme che, domani, qualcuno possa fare ciò che ha fatto lui e soffiargli il posto. Non ha eredi, sia perché è troppo giovane sia perché, in un certo senso, teme il parricidio. La sua paranoia – alimentata dalla paura di perdere la preminenza conquistata per una serie di tragiche (per gli altri) coincidenze – traspare dalle sue scelte politiche. Si spiega in questo modo perché mai, in tutte le elezioni successive alla sua nomina a coordinatore provinciale, abbia sempre scelto candidati non reggini e, perciò, difficilmente in grado, in futuro, di rubargli il bacino elettorale più fecondo.

I Ciccio boys

Il politico di Santo Stefano ha insomma ereditato un intero mondo elettorale e ha desertificato la concorrenza interna. Il centrodestra reggino oggi è inodore, eccezion fatta per il profumo del capo; è spopolato di dirigenti, a meno che non si vogliano considerare tali i “Ciccio’s boys”. Già, loro fanno narrativa a parte: vestiti in serie, tali e quali al capo. Prediligono i risvoltini ai pantaloni, i mocassini di cuoio, possibilmente senza calzini, talvolta gli occhiali da sole a goccia e, d’estate, la camicia bianca aderente e arrotolata sulle braccia.
Non si è mai capito se si tratti di un dress code o del semplice desiderio di emulare chi sta al vertice della catena gerarchica.

L’apparenza che conta

Cannizzaro sa che l’apparenza conta tantissimo. Quando, nel 2019, Mario Occhiuto forza la mano e organizza la mega convention lametina che avrebbe ufficializzato la sua candidatura a governatore, poi naufragata miseramente, il deputato reggino fa arrivare a Lamezia diversi bus carichi di militanti. Risultato: gli applausi per Cannizzaro sono di gran lunga più scroscianti di quelli dedicati al protagonista dell’evento.

Sa, Cannizzaro, che per continuare a contare deve piazzare uomini, anzi, donne, di fiducia nelle stanze dei bottoni. È il più leale degli occhiutani quando Mario sembra in rampa di lancio per la Cittadella, ma quando Berlusconi designa Jole Santelli ne sposa senza esitare la causa fino a farsi descrivere come il migliore amico della governatrice, l’alleato di ferro che con lei balla la tarantella in chiusura di campagna elettorale. Nella Giunta Santelli, poi, Cannizzaro riesce appunto a piazzare la fedelissima Domenica Catalfamo.

La stessa trama si ripete, più di recente, con Roberto Occhiuto, che lo tiene buono nominandone la cugina, Giusi Princi, nel suo Governo. Le deleghe sono tante e di quelle che contano, tra cui l’ambitissima vicepresidenza, un tempo promessa al leghista Nino Spirlì (il ticket rinnegato). Fino a qui, quella di Cannizzaro non sembra certo la carriera di un profumiere. Eppur bisogna andare più a fondo e scoprire che quel potere così ostentato, con ogni probabilità, è meno forte di quanto Ciccio non voglia far credere. Perché, nei momenti davvero decisivi della sua carriera, Cannizzaro ha fallito, anche se nessuno se ne è accorto.

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Cannizzaro e la vice presidente della Giunta regionale, sua cugina Giusy Princi

Le sconfitte

Partiamo dalla fine. Alle ultime Regionali, il deputato azzurro, che ha il vizio di sopravvalutarsi, appoggiava almeno tre candidati (tutti “periferici”, of course): Giovanni Arruzzolo, di Rosarno, Raffaele Sainato, di Locri, e Patrizia Crea, di Melito Porto Salvo. Le ricostruzioni apocrife su quelle elezioni riferiscono di un Cannizzaro che, pochi giorni prima del voto, si rende conto del rischio di non eleggere nemmeno un consigliere per via della mal calcolata forza elettorale di altri due candidati di Fi, Giuseppe Mattiani e Domenico Giannetta, a lui profondamente ostili.

Così, secondo questa interpretazione, il coordinatore provinciale sarebbe stato costretto a dirottare tutti i “suoi” voti sul solo Arruzzolo (poi primo eletto), abbandonando al proprio destino Sainato e Crea, che infatti restano fuori. È però sempre il racconto a fare la storia, e Cannizzaro, a urne chiuse, si attribuisce tutto il merito del 21% ottenuto da Fi, record regionale e risultato, dice, in linea con i tronfi berlusconiani del 1994. I 20mila e passa voti di Mattiani e Giannetta, su un totale di 44mila, nello storytelling di «Ciccio profumo» non guadagnano neppure una piccola nota a margine.

Cannizzaro profumiere?

Un millantatore, dunque? Un profumiere? Di sicuro Cannizzaro è bravissimo nel far passare una sconfitta come una vittoria. Come in occasione della scelta del nuovo coordinatore regionale di Fi, decisiva in vista delle candidature per le prossime Politiche. Il deputato reggino schiera tutta la sua batteria di ministri amici e plenipotenziari forzisti per ottenere la nomina a scapito dell’altro pretendente, il senatore Giuseppe Mangialavori. Alla fine la spunta, e anche piuttosto agevolmente, quest’ultimo. E Cannizzaro? Un altro si sarebbe abbattuto, invece lui briga per farsi nominare “responsabile nazionale per il Sud”, uno di quegli incarichi fuffa che il Cavaliere ha sempre usato per salvaguardare gli equilibri interni.

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Cannizzaro e Occhiuto

Il passo falso sulla segreteria calabrese non sopisce le ambizioni del giovane parlamentare. Che, raccontano i bene informati, avrebbe fatto di tutto e di più per sottrarre a Occhiuto la candidatura a governatore. Proprio così: oggi, film già visto, Cannizzaro sembra il miglior amico del presidente, ne appoggia le politiche, lo difende, lo accompagna a Roma e in giro per la Calabria come fosse il suo primo cavaliere; lo stesso ha fatto in campagna elettorale, quando, da “responsabile nazionale per il Sud”, teneva sempre il penultimo discorso per riscaldare la folla a beneficio del futuro vincitore. Ma prima, quando Berlusconi e gli alleati hanno ancora dubbi sul nome del candidato, Cannizzaro avrebbe giocato tutte le sue carte – e, dicono, usato ogni mezzo politico – per ottenere quella nomination a scapito dell’«amico Roberto».

Il tonfo di Reggio

Il tonfo più clamoroso di Cannizzaro, tuttavia, avviene nella sua Reggio. Ottobre 2020: Falcomatà, uno dei sindaci più contestati della storia cittadina, si impone al ballottaggio su Nino Minicuci, improbabile candidato scelto da Salvini. Che c’entra dunque il deputato di Fi? C’entra eccome, perché Cannizzaro aveva aspettato quel momento per anni, assicurando a tutto il centrodestra che lui, l’ex consigliere di Santo Stefano diventato un big nazionale, sarebbe stato il kingmaker della coalizione e avrebbe scelto il nome più adatto per asfaltare Falcomatà.

Invece, Salvini, con il beneplacito di Berlusconi, manda avanti Minicuci e Cannizzaro, in buon ordine, si adegua e gli fa pure la campagna elettorale. Lo Scopelliti dei tempi migliori si sarebbe mai fatto imporre il candidato nella sua città? Forse no. E allora, è giusto chiedersi: è «Ciccio profumo» o è «Ciccio profumiere»? Blowin’ in the wind, canterebbe Bob Dylan: «La risposta, amico mio, se ne va nel vento». Come il profumo.

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