Chi l’avrebbe mai detto che a un uomo tutto di un pezzo, il quadrunviro col frustino, potesse battere così forte il cuore, innamorato come un ragazzino di una donna che era già, e lo sarebbe stata ancor di più anni dopo, protagonista non certo occulta delle vicende italiane.
La storia d’amore tra Michele Bianchi e Maria de Seta Pignatelli, nata Elia, sta tutta lì, in quel mazzo di lettere che Francesca Simmons, una nipote della marchesa, ha rintracciato nelle carte di famiglia, Anna De Fazio e Antonio Vescio hanno commentato e uno storico del calibro di Giuseppe Parlato ha introdotto e annotato, in un volume di quasi 200 pagine pubblicato da Brenner che avrebbe meritato, proprio per l’argomento e i protagonisti una veste editoriale migliore.
Michele Bianchi e Maria de Seta: cronaca di un amore (e dell’Italia)
Ma non è questo che conta. Contano i contenuti delle lettere finora sconosciuti. Lettere che come scrive Parlato nella sua introduzione «costituiscono non soltanto un significativo documento epistolare che segna un momento importante nel rapporto tra due personaggi pubblici, quali allora erano, ma soprattutto uno degli esempi nei quali la cronaca quasi quotidiana di un amore si intreccia con la storia italiana».
È un epistolario a senso unico, in verità, quindi parziale per scrutare a fondo in un rapporto a due. Sono soltanto le lettere d’amore e non solo che Michele inviava a Maria e che questa ha conservato quasi a “futura memoria”. Ora è vero che molto spesso Michele si dilunga a raccontare la propria giornata di lavoro come ministro, una specie di diario che affidava all’amante. Ma è altrettanto vero che intestando le lettere inizialmente con “mia preziosa amica”, “amica sempre più cara”, “amica cara e gentile”, e poi “gioia mia incomparabile”, innamorata mia”, “ti soffocherei di baci”, “mia fiamma ardente”, “tuo, tuo, tuo”, “amore mio bello” “baci e baci”, “morsi e morsi” e altre espressioni analoghe, ci dà l’idea della cotta di un collegiale più che di un uomo maturo, ministro del regime fascista che uno si immagina tutto di un pezzo come ho detto prima, parco di sentimenti, severo.
«Mio tutto»
Sono 77 lettere che il gerarca fascista Michele Bianchi, a quel tempo ministro dei Lavori Pubblici, tra il 5 agosto 1927 e il 19 settembre 1929, inviò alla marchesa Maria Elia de Seta Pignatelli. Se lette in sequenza esse danno anche il senso di un rapporto in crescendo, anche per l’intimità del linguaggio usato da Bianchi che da un asettico “amica mia sempre più cara” della prima lettera dell’agosto 1927, da “gentile marchesa” e “gentile amica”, passa ben presto (ottobre successivo) a “mia gioia divina” e poi “anima mia”, “mia tutto”, “vita mia”.
Non fu un amore clandestino quello tra Michele e Maria perché in tanti sapevano. Fu in un certo senso un amore prudente, anche perché Maria aveva ben quattro figli. Si vedevano ma con discrezione anche se, come una qualsiasi coppia, facevano anche dei viaggi e si facevano vedere in pubblico assieme.
Michele Bianchi pazzo di Maria de Seta. E lei di lui?
Se dalle lettere appare chiaro che Michele si era “perso” per Maria, lei che sentimenti nutriva nei confronti di Michele? Dalle stesse lettere, indirettamente, è evidente che Maria provava gli stessi sentimenti di Michele. Era innamorata e anche gelosa. In una sua lettera, una letteraccia come Michele la definisce, lo accusava di tradimento. E lui come in una qualsiasi coppia di innamorati risponde con una tenerezza «che avalla un po’ gli aculei della passione», dando spiegazioni: «Dov’ero quando tu, alle 6,30 del 14, telefonasti per la prima volta? Presso quale donna? Presso nessuna donna. Ero presso un uomo: S.E. Grandi. È perché? Perché pochi momenti prima avevo ricevuto l’acclusa lettera della tua “Bonne”».
Pubblico e privato
È un epistolario, insomma, che vale la pena di leggere perché consegna, se non alla storia almeno alla memoria, l’altra faccia, quella privata, di un uomo pubblico che uno si immagina senza passioni, di un sindacalista rivoluzionario, di un uomo di lotta, di un interventista della prima ora, del fondatore dei Fasci di azione rivoluzionaria, di un Sansepolcrista fondatore dei Fasci di combattimento che trasformò il movimento in Partito Nazionale Fascista di cui fu il primo segretario, di un uomo di governo, di un uomo la cui immagine pubblica stride con il contenuto delle lettere d’amore inviate alla marchesa.
Pantaleone Sergi