BOTTEGHE OSCURE| Bergamotto: l’oro verde come Reggio comanda

È arrivato quasi per caso in Calabria, non si sa bene quando. Ma ne è diventato un simbolo identitario e una fonte di ricchezza, grazie alla sua preziosa essenza e le sue applicazioni nella profumeria

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Se si chiedesse a qualcuno d’indicare un prodotto strettamente identificabile con la Calabria, al netto degli stereotipati ‘nduja e peperoncino, in molti risponderebbero «il bergamotto». Questo agrume noto per le essenze che è possibile ricavare dalla sua scorza, giunse in Calabria quasi per caso e non si sa bene quando. E ottenne un discreto successo per la sua bellezza come pianta ornamentale. Secondo la tradizione si diffuse agli inizi del Seicento, altri studiosi ne attestano la presenza più di un secolo prima.

Ma è dalla seconda metà del XVIII secolo che la coltura si è estesa gradualmente. E, comunque sia, la sua fortuna, e quella dei proprietari, giunse all’apice tra Ottocento e Novecento, quando la sua coltivazione era divenuta molto redditizia.

 

Come Reggio comanda

C’è da fare un’altra precisazione. La coltivazione di questo agrume era caratteristica non dell’intera regione ma di una zona specifica: il circondario di Reggio Calabria. In una relazione del Ministero dell’Agricoltura del 1879 si sottolinea proprio questa specialità del Reggino: «Quasi esclusivamente proprio del solo territorio di Reggio, è la cultura fatta su larga scala del bergamotto (Citrus Bergamia), il quale vi sostituisce ogni altra specie di agrumi ed è fonte di grandi guadagni per l’essenza che si trae dalla corteccia dei suoi frutti». Qui, nella zona tra Scilla e Palizzi affacciata sullo Stretto di Messina, questa coltura veniva portata avanti «con arte insigne, e con pari arte si conducono le relative industrie».

Ma cosa se ne ricavava? La coltivazione di questo agrume aveva, e in larga parte ha tuttora, come scopo principale l’estrazione dell’essenza dalla sua scorza, molto ricercata da industrie come quella profumiera. Dalla polpa si ricavava invece «agro cotto ed acido concentrato o citrato di calcio».

Quest’idea che il bergamotto fosse «una pianta tutta propria del territorio di Reggio» e che se trapiantata altrove non avesse gli stessi risultati, nell’Ottocento era tanto radicata che in regioni vicine con clima simile, come le coste siciliane, il bergamotto non aveva riscosso molto successo.  A Messina, ad esempio, «molti proprietari, allettati dai più lauti profitti che i bergamotti fra tutti gli agrumi son capaci di dare, in varie epoche ne hanno tentato con pieno successo la coltura», ma la minore richiesta e la mancanza di persone dedite alla cura e al commercio del prodotto, non permetteva di trarne «quei vantaggi che ordinariamente ne ricavano i proprietari ed i coloni del territorio di Reggio».

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Antichi macchinari per l’estrazione dell’essenza di bergamotto (foto Consorzio tutela del Bergamotto di Reggio Calabria)

Le statistiche del 1879

Le statistiche del 1879 riportano per la provincia di Reggio la presenza, contando insieme bergamotti, cedri e mandarini, di più di 400mila piante. Un numero che, da solo, rappresentava oltre il 70% dell’intera produzione italiana, percentuale che, se si considera l’alto tasso di prodotto medio per pianta, superava l’85% del totale della produzione in frutti.

Si tratta di numeri che reggevano il confronto con le vaste produzioni di aranci e limoni delle province siciliane. Meno di venti anni dopo il numero di piante di bergamotti, cedri e mandarini dei “giardini di Reggio” era ulteriormente aumentato superando le 750mila piante, segno di una industria molto florida e di una significativa vivacità economica.

La Zagara contro gli speculatori siciliani

Tra Otto e Novecento quasi tutta la produzione reggina finiva per foraggiare le industrie di Francia, Germania, Russia, Inghilterra. Il polo principale dello smercio era Messina, dove «commercianti siciliani accaparrano i prodotti calabresi che vengono esportati nelle varie direzioni». Per sfuggire a questi “accaparramenti” degli speculatori, nel 1903 a Reggio venne costituita la Zàgara, una società di proprietari terrieri che cercavano di acquistare e vendere direttamente le essenze, creare depositi di prodotti agrumari, incrementare scambi e depositi di essenze.

Nei primi anni di attività la Zàgara ottenne un discreto successo, ed era ancora attiva un trentennio dopo nel settore della produzione di essenze di agrumi. In generale, però, la produzione era «esercitata alla spicciola, proprietario per proprietario», tanto che nel 1903 erano attivi 160 piccoli stabilimenti di fabbricazione che impiegavano, nelle varie fasi, 1748 lavoratori.

Contadini, coloni, proprietari

I libri e le statistiche ovviamente tralasciano le fatiche insite nel lavoro di raccolta, o le sfiorano appena. I vantaggi economici che spinsero molti proprietari a impiantare coltivazioni di bergamotto si riflettevano solo parzialmente sui contadini, assoggettati in genere a patti agrari particolari. In generale negli agrumeti vigeva un sistema di “colonia mista”.

Se in quel fondo era possibile piantare anche ortaggi, il colono si occupava della raccolta dei bergamotti. Percepiva una percentuale del prodotto e pagava un fitto per il terreno sul quale coltivava l’orto per sé. Al colono che effettuava la raccolta dei bergamotti poteva spettare una percentuale tra 1/4 e 1/7 del prodotto. Il resto era del proprietario. Ed era quest’ultimo a occuparsi delle spese per l’estrazione delle essenze e l’acquisto e la manutenzione dei macchinari. Proprio la fase dell’estrazione dell’essenza dal frutto era particolarmente delicata.

Il reggino che inventò la macchina per l’estrazione

Anticamente si ricavava tramite spremitura a mano. I frutti venivano tagliati in due. La polpa era tolta e la scorza lavorata attraverso delle spugne con un particolare recipiente di terracotta. Intorno al 1840 la svolta. Il reggino Nicola Barillà inventò una macchina per l’estrazione dell’essenza.

Presto venne chiamata comunemente “macchina calabrese”. Permetteva di estrarre una maggiore quantità di prodotto. Col tempo i sistemi migliorarono, ma il prodotto continuò a rimanere pregiato: con 10 quintali di frutti si ricavavano in media 12 libbre di essenza e 35 kg di citrato. La quasi totalità del prodotto veniva esportata, ma non mancavano alcuni tentativi di lavorazione in loco. Negli anni ‘20 del ‘900, ad esempio, erano attivi tre stabilimenti che producevano acqua di colonia: a Melito Porto Salvo la “Melita”, a San Giorgio Morgeto la “Calabresella” e a Cannitello la “Efel” dei fratelli La Monica.

Autarchia e rilancio del Mezzogiorno

Proprio dal Reggino provenivano le sequenze filmate di un cinegiornale (in alto nel video da Youtube) del Luce del 1936. Il titolo è “Un prodotto nostrano: il bergamotto” in pieno stile autarchico. Nel video chiari messaggi in linea con la retorica del regime fascista: «Italiani che giustamente boicottate i prodotti di profumeria dei paesi sanzionisti, ecco una coltivazione e un’industria di carattere prettamente nazionale».

Meno di trent’anni dopo, il bergamotto è nuovamente al centro di  un documentario dell’Istituto Luce sulla “XVI fiera degli agrumi a Reggio Calabria” (1964). In un tono meno aulico del precedente ma fiducioso in un rilancio del Mezzogiorno, l’agrume viene presentato come l’elemento «alla base della moderna profumeria». Prodotto che, secondo il cronista, avrebbe portato a un «aumento dell’economia a tutto vantaggio delle popolazioni del Sud».

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Una fase della raffinazione dell’olio essenziale di Bergamotto (foto Consorzio di tutela del bergamotto di Reggio Calabria)

Denominazione di origine protetta

Oggi nel Reggino la coltivazione del bergamotto e la preparazione degli oli essenziali continua. Il prodotto è sempre ricercato e, per le sue peculiarità, il “Bergamotto di Reggio Calabria – Olio essenziale” ha ottenuto nel 2001 l’iscrizione nel «registro delle denominazioni di origine protette e delle indicazioni geografiche protette».

Il riconoscimento ne fissa caratteristiche, processi di lavorazione ed enti di sorveglianza, in modo che il prodotto possa mantenere alta la sua qualità, ed è sorto un apposito consorzio. Di pari passo è cresciuta la consapevolezza dell’importanza anche culturale del bergamotto, divenendo anche oggetto di studi e pubblicazioni, fino alla realizzazione di un apposito “Museo Nazionale del Bergamotto” a Reggio Calabria.

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Il pregiatissimo olio essenziale di bergamotto

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