L’articolo 116, terzo comma, della Costituzione prevede la possibilità di attribuire forme e condizioni particolari di autonomia alle Regioni a statuto ordinario.
L’attribuzione di queste forme rafforzate di autonomia deve essere stabilita con legge formulata sulla base di un’intesa fra Stato e Regione, acquisito il parere degli enti locali interessati, nel rispetto dei princìpi di cui all’articolo 119 della Costituzione in tema di autonomia finanziaria ed approvata dalle Camere a maggioranza assoluta dei componenti.
Queste disposizioni sono state introdotte in Costituzione con la riforma del Titolo V prevista dalla legge costituzionale n. 3 del 2001 e finora mai attuate, almeno fino alla nota di accompagnamento al DEF 2021, dove si ritrova il disegno di legge su Autonomia Differenziata Regionale.
Il governo Draghi con il Documento di Economia e Finanza 2021 ha confermato infatti, tra i disegni di legge collegati alla legge di Bilancio 2022-2024, il DDL “Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata di cui all’art.116, 3° comma, Cost.”.
Ricchi contro poveri
Poiché il 28 febbraio 2018 il Governo Gentiloni sottoscrisse con Emilia Romagna, Lombardia e Veneto, gli “Accordi preliminari“ per acquisire maggiore autonomia in alcuni ambiti strategici: politiche del lavoro, istruzione, salute, tutela dell’ambiente e dell’ecosistema. Vale la pena andare a rileggere tali accordi per comprendere qual è la direzione verso la quale si sta spingendo: un sistema federale di regioni, che contraddice l’unità del nostro paese, amplificando, cosa ancor più grave, le disparità esistenti tra nord e sud Italia, tra regioni ricche e regioni più povere.
Contro questo rischio, che farebbe sprofondare la nostra regione, che presenta tutti gli indicatori economici con il segno negativo, in uno stato di gravissima povertà, consegnandola definitivamente nelle braccia della malavita organizzata, si sta muovendo Progetto Sud che, accogliendo le istanze di Anaao Assomed, organizza incontri di sensibilizzazione e informazione, coinvolgendo associazioni e comitati che hanno un riferimento in Comunità Competente.
Progetto Sud ha recentemente organizzato un incontro con i consiglieri e le consigliere regionali della coalizione che aveva Amalia Bruni candidata presidente alle recenti elezioni regionali e si propone di fare altrettanto con i consiglieri e le consigliere delle altre coalizioni, con i sindacati, con la conferenza dei sindaci, con tutte le organizzazioni che possono contribuire a costruire una partecipazione dal basso, che eserciti pressione verso gli organi istituzionali deputati a prendere decisioni in merito, soprattutto alla salvaguardia del diritto alla salute.
Diritti negati
La Calabria non garantisce i LEA. Basta fare un giro negli ospedali pubblici calabresi per comprendere quali sono le reali condizioni di lavoro per chi esercita la propria professione in ambito sanitario, ma, soprattutto, per comprendere le condizioni spesso gravissime di mancanza delle cure fondamentali, di negazione del diritto alla dignità della persone che subisce chi si trova in condizioni di avere bisogno di cure ospedaliere.
Il “turismo sanitario” dalla Calabria verso regioni del nord, ormai anche per la cura di patologie leggere e facilmente risolvibili in regione, raggiunge quote da diaspora, facendo lievitare oltre misura i costi regionali per la sanità, in una situazione di gravissimo indebitamento, nonostante gli oltre dieci anni di commissariamento governativo, soluzione che aveva l’obiettivo di risanare il debito e che invece ha contribuito ad amplificarlo.
Ventuno Regioni, altrettante Sanità
La pandemia da Covid 19 ha dimostrato, nella sua drammaticità, che è fondamentale una governance unitaria del Servizio sanitario nazionale. Né possiamo illuderci che la pandemia sia un evento eccezionale: la devastazione del Pianeta dalle scellerate attività antropiche ci porrà di fronte a frequenti zoonosi e rischi di pandemia.
L’appello lanciato da Comunità competente alla società civile organizzata per mobilitarsi contro l’istituzione nel nostro paese di 21 sistemi sanitari regionali, contro una scelta politica che potrebbe portare alla distruzione del sistema sanitario pubblico italiano, già fortemente minato dai troppi aiuti economici erogati a favore di strutture private, è stato sottoscritto finora da oltre 150 associazioni, ma l’elenco è destinato ad allungarsi.
Basta commissari
E se l’attribuzione del commissariamento a Roberto Occhiuto potrebbe avere il sapore di una restituzione alla politica locale della gestione della sanità, rimane l’istituto del commissariamento che non è stato risolutivo, ma è stato parte del problema, oltre a richiedere, data la gravità della situazione, un impegno totale a tempo pieno che difficilmente potrà essere garantito da chi ha l’onore e l’onere di essere presidente di Regione.
La fine del commissariamento è conditio sine qua non per una ripartenza dignitosa e collettiva, rovesciando il paradigma che finora ha visto nell’arcipelago di monadi dei commissari e dei direttori generali il fallimento della gestione della sanità pubblica calabrese.
I bisogni della Calabria
Abbiamo bisogno di quantificare il debito della sanità calabrese, che si aggira su cifre a nove zeri, per capire come gestire la situazione. Abbiamo bisogno di costruire la medicina territoriale e ripristinare il diritto alla salute e alla dignità della persone. Di assunzioni a tempo indeterminato, con garanzia di condizioni di lavoro accettabili e dignitose, di personale medico, infermieristico, Oss in ogni ospedale pubblico calabrese.
Occorre uscire dalla visione economicistica della gestione della sanità pubblica. Serve costruire competenze specifiche nella gestione di fondi messi a disposizione della regione e rimasti finora inutilizzati.
Abbiamo bisogno di aprire consultori, importanti presidi di medicina territoriale aperti e gratuiti per tutte le persone che vi si rivolgono, e applicare la Convenzione di Istanbul ratificata dal nostro paese nel lontano 2013 e mai applicata.
Una questione politica
Una concezione partecipata della sanità pubblica è imprescindibile da ogni proposta di risanamento e ricostruzione di quanto è stato finora demolito da una classe politica incompetente, ingabbiata in un sistema clientelare che garantisce potere a discapito delle competenze professionali, a discapito di diritti inalienabili.
L’impegno della società civile nella mobilitazione è fondamentale, ma non può bastare senza un preciso impegno di chi ha responsabilità politiche. Perché la questione è una questione politica.
L’autonomia differenziata regionale, come si può evincere dagli accordi preliminari delle tre regioni italiane, è uno stravolgimento dell’assetto politico del nostro paese, rischia di essere un ritorno a una condizione preunitaria, con indebolimento importante dei poteri del Parlamento in materie fondamentali per la nostra società.
A essere penalizzate saranno le regioni più povere a maggior tasso di emigrazione e a più basso reddito pro capite. Noi non possiamo permettercelo!
Antonia Romano