Quella sera al Circolo Arci Metrò di via Zecca c’era aria di festa e batticuore, aspettavano la Bbc. C’era la band Cuori Selvaggi che arrivava da Messina, un pubblico curioso. La celebre emittente inglese, la nave scuola del giornalismo mondiale, aveva fatto una promessa: un servizio sulle realtà alternative di una Reggio appena uscita da una sanguinosa guerra di ‘ndrangheta, a quei tempi guidata da un sindaco che si era presentato dicendo «Noi siamo scalzi», Italo Falcomatà.
Era la prima estate del ’95, Roberto Calabrò, avvertito da un dirigente Arci di Catanzaro, aveva raccolto un po’ di ragazzi impegnati, una meglio gioventù mai raccontata, che facessero da cornice al servizio televisivo.
La Bbc in Calabria e quella figuraccia mondiale
Ma quella sera la Bbc non arrivò mai: i Cuori Selvaggi – nome sicuramente ispirato a quello splendido film di Lynch in cui Nicolas Cage canta “Love me Tender” a Laura Dern nella scena finale – a un certo punto attaccarono a suonare, e la serata andò nel solito modo, a fare tardi in via Marina, con la delusione che arriva dopo le occasioni perdute. La troupe inglese, a poche centinaia di metri dal Circolo, era stata invece fermata dai carabinieri. Secondo molti testimoni oculari, fra i quali il fotografo Silvio Mavilla, i producer avevano cercato di piazzare in bella mostra siringhe usate, rifiuti e preservativi, per rendere più credibile il servizio sulla “Beirut d’Europa”.
Non molto furbi, avevano scelto il salotto buono della città: erano stati scoperti subito, fermati, e quasi picchiati, da comuni cittadini. Ne seguì una polemica internazionale, e fu una delle poche volte in cui Falcomatà andò su un tg nazionale senza il suo sorriso. Ne parlarono anche in Perù. Per la Bbc fu una figuraccia mondiale, e io ci penso ogni volta che quel giornalismo viene portato ad esempio.
Stanotte ho sognato uno svolgimento diverso: la troupe arriva, scopre che i Cuori Selvaggi fanno buon rock, il servizio va in onda, un impresario londinese si incuriosisce, li chiama e cambia il loro futuro. Giuseppe, il leader del gruppo è invece rimasto a Messina, fa il giornalista ed è spesso disoccupato. Roberto Calabrò si è trasferito a Colonia per lavorare, dopo un lungo girovagare in Europa, e ha messo su famiglia. Il circolo “Metrò” ha chiuso: dopo alterne vicende, i locali sono finiti a una prestigiosa pizzeria, una delle cinquanta (contate male) della città. Chissà, in quel servizio mancato della Bbc sarebbe entrato anche quell’angolo di via Marina che guarda all’Etna, l’inviata sarebbe stata inquadrata sotto un monumentale Fico Mediterraneo. Sarebbero magari arrivati dei turisti dal Galles, avrebbero incontrato il Bronzo A fiero e il Bronzo B ombroso, questa piccola storia sarebbe andata in un altro modo. Allora non c’era internet, la tv aveva un altro peso.
Il Grande Occhio ti cambia la vita
Il Grande Occhio dei media può cambiarti la vita. Ci penso tutte le volte che una testata nazionale e internazionale si avvicina o viene paracadutata da queste parti. E non c’è servizio che non abbia una coda di risentimento e polemica. Una fiction, una Piazza Pulita dedicata alla sanità, l’inviato di Le Monde che va a caccia di latitanti sull’Aspromonte (foto a tre colonne in prima pagina, due settimane fa): sono prodotti che vanno giudicati caso per caso. In generale, il Grande Occhio è piuttosto pigro. Per esempio, i cartelli dei paesi sforacchiati ci sono ancora? Magari bisognerebbe controllare prima di ripubblicare una foto. L’Aspromonte è un covo di latitanti o anche un meraviglioso percorso che si chiama Il sentiero dell’Inglese?
Il Grande Occhio arriva da queste parti quando sente l’odore, o il rumore, della tragedia. Una migliore copertura dei mass media sui disastri degli ospedali calabresi pre-pandemia, per esempio, avrebbe impedito la morte per covid di quella bambina di due anni di Mesoraca? No, forse il giornalismo non ha più questa forza. Eppure un Commissario è saltato proprio per un servizio di una tv. Prima del Covid, la sanità non era un argomento sexy, almeno non quanto la ‘ndrangheta (che ha messo sempre le mani sulla sanità, peraltro). Poi a Piazza Pulita i telespettatori hanno dovuto sentire Corrado Formigli che paragonava la Calabria al Burundi, Selvaggia Lucarelli ha invece tirato fuori la foto dell’indio dell’Amazzonia che portava a spalle il padre a fare il vaccino.
Gli eterni pregiudizi sulla Calabria
Evitare giudizi sommari, essere meno sbrigativi nei giudizi: questa sarebbe la strada più semplice. E cercare di conoscere meglio una delle aree più povere d’Europa. Questo descrivere sempre la Calabria come legno storto del paese, isola nella penisola, “la Regione più odiata”, come da ormai vecchio ma non dimenticato sondaggio dell’Espresso, può fare molti danni. Affidereste voi i soldi del Pnrr a una Regione che nella migliore delle ipotesi, non ha saputo spendere i fondi Ue? È il leitmotiv che passa sotto traccia dalle parti di Roma.
Capisco il pregiudizio, del resto gli stereotipi hanno una base di esperienza e vita vissuta. La mia risposta è sì, a patto che ci sia un monitoraggio serio del governo, della politica locale, dei mezzi di comunicazione. Ma abbassare la quota di finanziamento pubblico, proprio servendosi dei parametri che la fanno povera come popolazione, natalità, prospettiva, significa condannarla al declino, all’abbandono. Vale per tutto il Sud, vale soprattutto per la Calabria. Servono progetti contro la solitudine.
La voce dei cittadini
Direte voi, ma che c’entra il Grande Occhio? C’entra tanto, perché orienta l’opinione pubblica e condiziona le scelte. Il Grande Occhio è (o dovrebbe essere) la voce dei cittadini. Prendiamo la storia (e l’immagine) del porto di Gioia Tauro. Nel 90% dei reportage, è descritto come il porto dei sequestri di cocaina. Per il 10% (per lo più sui quotidiani economici), come il primo porto d’Italia per movimento container. Non credo che per Rotterdam o Tangeri (dove i sequestri di droga sono frequenti) le percentuali siano le stesse.
Il Grande Occhio mette ovunque la famosa “mano della ‘ndrangheta” (formula e titolo abusatissimo) pure dove non c’entra nulla. E spesso in Calabria si confrontano i due estremi: siamo schiavi, il territorio è tutto controllato delle cosche (ma a questo punto, questa presenza così imponente della magistratura e di qualità, quali effetti ha?). E la corrente “garantista”, quella che dice che certe inchieste finiscono sempre con assoluzioni e proscioglimenti. I due estremi si fronteggiano sui social, in un dialogo spesso indecifrabile, la stessa antimafia è divisa. Anche qui, vedo tanta pigrizia. Io mi sento rassicurato dai magistrati che lavorano in Calabria, ma so che possono sbagliare, come sbagliamo tutti nel nostro mestiere. E allo Stato e al governo ne chiederei di più.
La Calabria dai mille volti
Di Calabria non ce n’è una sola: Gerhard Rohlfs, che era studioso dei dialetti, riusciva perfino, lui tedesco, a fare l’interprete fra due che arrivavano da versanti diversi della stessa montagna. Ci sono medici mafiosi e medici eroi, in ospedale troverete un reparto modello e accanto uno da cui scappare. Un paese a portata d’occhio sta a un’ora di auto. Nell’Università di Cosenza aprono start-up giapponesi, ma da quelle parti non c’è una strada decente Jonio-Tirreno e la 106 rimane la strada della morte.
Tropea accoglie migliaia di turisti tedeschi, che mai investirebbero mezz’ora per arrivare a Limbadi, che oltre ad essere la terra del clan Mancuso, è un paesino di buona agricoltura e di larghi panorami, e sede di una meravigliosa Università intitolata a Rossella Casini, una ragazza fiorentina vittima di ‘ndrangheta, a cui sono intitolate scuole in tutta Italia. Nessuno ha mai suggerito loro questa estensione del viaggio. Studiare, distinguere, non affidarsi ai giudizi in bianco o nero: se la grande informazione lo fa, i cittadini ringraziano.