Cosenza e Rende, un’Atlantide di cemento da lasciarsi alle spalle

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Torno sul tema della città storica, e, ancora una volta, prendendo Cosenza come riferimento a noi più vicino, la riflessione si muove non solo intorno alla politica urbanistica messa in atto o meno, per la sola città storica, ma quella più generale per tutta la città, ossia come sono stati gestiti, negli ultimi cinquant’anni, gli equilibri abitativi, la politica per i servizi, per gli spazi pubblici, le attrezzature, la mobilità, privilegiando soprattutto le aree di nuova edificazione e abbandonando progressivamente quelle storiche.

Occorre, perciò, andare indietro di un po’ di anni per capire cosa è accaduto tra Cosenza e Rende, in questa odierna sconfinata “Atlantide di Cemento”, resa oggi infuocata da temperature ormai disumane, fomentata da una scellerata espansione edilizia su cui ha poggiato una intera economia regionale, non solo locale.

Dal campus alla speculazione

Subito dopo l’istituzione dell’Università della Calabria, nel 1968, viene subito indetto un concorso internazionale di progettazione, con una prestigiosa giuria. È molto importante ricordare, tra i partecipanti al concorso, la proposta progettuale del gruppo guidato da Italo Insolera, che controcorrente, propone il campus dislocato nella città storica di Cosenza, ma con un sistema territoriale che avrebbe interessato tutta la Valle del Crati: un pezzo di modernità con il cuore nell’antico.

Invece la giuria decreta vincitore il gruppo guidato da Vittorio Gregotti. Nasce così la prima università italiana con un grande campus sulle brulle colline di Arcavacata di Rende, fino ad allora abitate solo da greggi di pecore, un nuovo segno architettonico lungo un tracciato rettilineo di oltre 2 km, senza dubbio un originale presenza architettonica nel paesaggio.
Insieme all’Autostrada si tratta dei due segni più moderni in una Calabria immobile in quegli anni, segni che tuttavia hanno scatenato la più massiccia speculazione edilizia e consumo di suolo, tra Rende e i luoghi limitrofi, lungo tutto l’asse centrale della Valle del Crati, altrove non rintracciabile, per l’ingente quantità di metri cubi di cemento ed esplosione urbana senza alcun limite.

La politica miope

Dunque, il primo “torto” la città storica di Cosenza, lo subisce da una miopia politicascambiata per lungimiranza – che gioca la carta del nuovo a tutti i costi, immaginando ciò volano di sviluppo, mentre la storia e la memoria sono “roba da archeologi” tuttalpiù. E così si dà avvio a quel grande equivoco della crescita edilizia, su cui si è fondata buona parte della nostra economia, ma anche, oggi, del nostro disastro ecologico e dell’oblio della memoria antica.

Qualche anno dopo Empio Malara, eccellente architetto milanese di origini rendesi, tenta un originale disegno urbano della nuova Rende, già oggetto dei fenomeni espansivi indotti dall’Università. Nel disegnare alcuni nuovi quartieri, e una fisionomia di città moderna che tenga conto del Campus, immagina, da bravo planner visionario, un dialogo urbanistico e culturale con la città alta di Cosenza, pensando che proprio l’università avrebbe potuto esserne l’anello di congiunzione.

La guerra dei campanili e le sue vittime

Ma la politica, che guarda soprattutto agli interessi elettorali, prima che dei cittadini, rimane arroccata su posizioni campaniliste e nessun dialogo sarà capace di porre in essere un ragionamento di città policentrica della Valle del Crati, in cui la storia potesse avere un ruolo da protagonista di una nuova stagione insediativa, seppure eccentrica per geografia. La competizione a sottrarre cittadini l’una all’altra sarà l’attività meglio praticata in quegli anni, il frutto è oggi l’asfittica definizione, burocratica, di “Area Urbana” Cosenza-Rende e dintorni, ovvero un indefinito, indefinibile confine senza soluzione di continuità, in cui tutto, ovvero il dilagare del costruito, è consentito in nome di una presunta “forza” dei numeri anagrafici e dei metri cubi.

Il risultato? Cosenza e Rende alte, tra tutte, sono due luoghi pregevoli, di dimensioni differenti, ma fantasmagorici, in abbandono e su cui scarsissime azioni intelligenti si sono concentrate negli anni.
Non è intenzione di chi scrive esaurire, solo in queste note, la complessa questione che si trascina da anni di come sia possibile il recupero dei patrimoni storici nel meridione, ma senza dubbio è interesse dimostrare che sono mancate e mancano le volontà politiche, le capacità amministrative, l’inventiva e la necessaria sensibilità progettuale, e che molti sono gli errori di visione commessi in queste lunghe decadi di modernità malata.

Come salvare le città storiche

Leggi regionali e provvedimenti sbagliati, come uno degli ultimi bandi della Regione Calabria, dedicato ai fantasmagorici “borghi” dietro ai quali si celavano equivoci e inesattezze, premesse sbagliate, carenti di una strategia complessiva per le città storiche, forse con il solo interesse di erogare risorse a pioggia con la solita finalità elettorale.

Ci vuol ben altro per salvare le città storiche. Tra le priorità, occorrono azioni coordinate e continue, duplici tra pubblico e privato, di manutenzione ordinaria, quotidiana, il dare supporto progettuale, amministrativo, ai privati che intendono restare, istituire uffici permanenti di supporto alla progettazione, con contratti a giovani laureati, in una sinergia tra Comune e Sovrintendenze, riattivare le iniziative commerciali, ma soprattutto quelle culturali e creative, spostare nelle città storiche “fabbriche” di innovazione e creatività, centri per l’arte con residenze internazionali per giovani artisti, demolire gli edifici fatiscenti, ad opera degli stessi privati inadempienti o con surroga del comune, fare spazio a luoghi pubblici collettivi, servizi diffusi, nuovi e coerenti interventi di manutenzione e sostituzione degli edifici, mobilità dolce e tanto altro ancora.

In nessun programma elettorale, in nessuna compagine amministrativa si intravedono sguardi e slanci in questa direzione, sarà bene che le prossime elezioni di Cosenza siano una importante occasione per riaprire questa – e altre – significative discussioni sulla città e sul suo futuro.
La vera sfida è coniugare smartness con la storia, non rimuoverla!

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