Cosenza, tra la storia e la modernità distorta

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La civiltà di un popolo si misura, oltre che dai costumi e dalle culture, anche dai luoghi e dagli spazi in cui abita e vive le proprie relazioni, attraverso l’architettura e l’urbanistica come rappresentazione emblematica del grado di civilizzazione raggiunta.

Secondo questi parametri, la Calabria, e il Sud in generale, dimostrano il fallimento rispetto all’azione di tutela e valorizzazione -pubblica e privata- di patrimoni architettonici, artistici e paesaggistici, perché lo stato di profondo degrado in cui versano le città storiche, i paesaggi naturali e persino le recenti aree di espansione rappresentano la negazione di ogni elementare principio di salvaguardia e cura della bellezza.

Le città storiche, come nel caso di Cosenza, sono gioielli preziosi, che tuttavia perdono lucentezza ogni giorno che passa, organismi che si spengono un po’ alla volta, tra incuria statica, edilizia, urbanistica, ambientale, tanto pubblica quanto privata.

Cosenza crolla

Circa un mese fa, nel Rione Santa Lucia, nella città storica di Cosenza, sono avvenuti severi crolli di manufatti, e non è la prima volta che ciò accade, ma si tratta dell’ennesimo segnale del perdurare del degrado in cui versa tutto il patrimonio abitativo storico calabrese e in generale meridionale.
Crolli materiali, che si sommano a quelli simbolici, di collettività che si sfarinano, malgrado nella storia abbiano edificato non solo edifici, bensì memoria e identità, culture. Crolli con responsabilità civili severe e ben precise, su chi in questi anni si è preoccupato dell’immagine piuttosto che della “struttura” complessiva della città.

Nel corso degli ultimi 50 anni, in tutto il Sud, a causa di scelte amministrative e urbanistiche che hanno privilegiato il nuovo al recupero dell’esistente, si sono accumulati errori, contraddizioni, fallimenti, non certo solo dei Comuni, ma anche e soprattutto dello Stato e delle Regioni, che poco hanno fatto per la tutela vera dei patrimoni, incentivando invece l’equivoca, lunga stagione di espansione edilizia selvaggia, interrotta solo dall’ultima recente crisi economica.

Cosenza storica, che è emblematica di questo distorto modello, oggi giace adagiata sulle pendici del colle Pancrazio, e vista da lontano, sotto la mole del Castello, conserva il fascino di una “bella addormentata” tra boschi e Casali. Ma a quanti, abitanti e visitatori, attraversano tra le sue vie e i vicoli, appare evidente la quantità di crolli, abbandoni, fessure, lesioni nel corpo vivo dei suoi edifici, il degrado diffuso, statico, edilizio, estetico, una povertà sociale che inevitabilmente alimenta sottoboschi delinquenziali, marginalità e miseria.

Anni fa, l’intuizione visionaria di Giacomo Mancini aveva rianimato questo esteso areale antico: tante presenze di giovani, iniziative dinamiche, attività culturali, espositive, l’avevano trasformata nella parte più attraente di Cosenza. Negli anni successivi, gli interessi di pochi – a scapito della collettività – si sono progressivamente concentrati sul privilegiare il “nuovo”, complici amministrazioni -volutamente- distratte.

Il consenso elettorale costruito sul “salotto”

Certo è stato più facile, più immediato, costruire il consenso elettorale sul “salotto” di Corso Mazzini, piuttosto che occuparsi del malato grave e diffuso che serpeggia tra città storica e periferia, laddove non esistono due città, una moderna e una storica, non esistono cittadini di serie A e di serie B, esiste una sola città che va dalla cima del castello fino al confine con Rende e oltre. Esistono i cittadini di Cosenza, tutti senza distinzione di quartiere, che meritano che chi gestisce la cosa pubblica si prenda cura non solo del salotto, scimmiottando modelli urbanistici qui improponibili perché privi di quella necessaria, solida cultura urbana e di condivisione delle scelte di trasformazione della città che rende partecipata e intelligente la crescita.

Occorre ripensare il modello urbanistico di questi folli anni di scellerato consumo di suolo, di scelte edilizie insensate, di perdita di patrimoni, per ripartire, con umiltà, dal basso, dai veri problemi, anche i più minuti del più estremo e periferico degli abitanti di Cosenza, cambiando logica: ripensando tutta la città, a partire dal suo pregevole cuore storico, senza il quale non ha vita, né futuro nessuna nuova città.

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