In un’Italia schiacciata dal caro bollette, e tempestata dallo storytelling sulla transizione ecologica fattasi persino Ministero, è normale che le fonti rinnovabili siano sulla bocca di tutti. E siccome siamo pur sempre il Paese dei Guelfi e dei Ghibellini, nel dibattito si contrappone chi pensa che per non rischiare di fare danni all’ambiente o dare soldi alle mafie non si debba toccare nulla, a chi è convinto che dare in pasto ampie porzioni di territorio alle multinazionali dell’energia serva a evitare i rincari su gas e luce.
I numeri delle rinnovabili
Come abbiamo già fatto raccontando cosa stia succedendo attorno all’eolico (in mare e in terra) tra il Golfo di Squillace e i boschi del Vibonese, anche stavolta proviamo a partire dai numeri, che non sono soggetti ad interpretazioni. Le normative comunitarie e nazionali dicono che si dovrà dismettere l’uso del carbone per generare energia elettrica entro tre anni. Nel 2030 il 72% dell’elettricità dovrà arrivare dalle rinnovabili, mentre nel 2050 dovremmo essere prossimi al 95-100%.
Come ci si deve arrivare? Soprattutto con il fotovoltaico: a fine 2020 abbiamo 21,4 GW prodotti da fonte solare, ma secondo stime forse troppo ottimistiche si potrebbe arrivare anche ai 2-300 GW. Governo e Ue lasciano comunque aperta la porta delle importazioni e dei possibili sviluppi tecnologici di fonti finora poco adoperate come, appunto, l’eolico offshore. Per raggiungere gli obiettivi fissati al 2030 si stima che si debba arrivare a circa 70-75 GW di rinnovabili, ma a fine 2019 eravamo a 55,5 GW.
Questi sono i dati nazionali, guardando alla Calabria invece va ricordato che produciamo oggi un enorme surplus di energia elettrica (+180%), ma siamo tra quelli che consumano più gas naturale (oltre 2,2 milioni di metri cubi nel 2020) per alimentare le centrali termoelettriche tradizionali. E rispetto al gas i rincari in bolletta c’entrano eccome. In questa situazione, con i miliardi del Pnrr a disposizione, l’impulso politico e la conseguente programmazione sarebbero come il motore e lo sterzo di un’enorme automobile che però rischia di restare a secco di benzina, cioè di fondi spendibili, per carenze tecniche e progettuali.
Il Piano energetico calabrese risale al 2005
Il principale strumento attraverso cui le Regioni, dagli anni della liberalizzazione del mercato energetico e della riforma del Titolo V, programmano e indirizzano gli interventi in questo settore è il Piano energetico regionale (Per), che essendo ormai indissolubilmente legato a funzioni e obiettivi di carattere ambientale negli anni è diventato Pear (Piano energetico ambientale regionale). È il Pear, dunque, che deve contenere tutte le misure relative al sistema di offerta e di domanda dell’energia sul territorio. Ma in Calabria questo strumento fondamentale non è proprio aggiornatissimo: il Pear attualmente in vigore è stato approvato dal consiglio regionale il 4 marzo del 2005.
L’Ultimo assessore all’Ambiente
Proprio così: mentre Guelfi e Ghibellini dell’energia duellano via social, la Calabria dell’era Covid-Pnrr è orfana di un assessore all’Ambiente – la delega è rimasta in capo a un già impegnatissimo Roberto Occhiuto – e il principale strumento di programmazione energetica è fermo a 17 anni fa, cioè a quando la Regione era guidata da Giuseppe Chiaravalloti. In verità nel 2009 sono state licenziate dalla giunta regionale dell’epoca delle linee guida per l’aggiornamento, ma «alla luce dei nuovi orientamenti comunitari in materia, dell’evoluzione del quadro normativo e dei nuovi strumenti di programmazione adottati nel corso degli ultimi anni, risultano ormai superate».
A metterlo nero su bianco è la stessa Regione Calabria che, nell’agosto del 2020, sotto la guida di Jole Santelli e su proposta del “Capitano Ultimo”, ha dato impulso agli uffici (Dipartimento Attività produttive, Settore Politiche energetiche) per la «costituzione di un “Tavolo tecnico per l’aggiornamento del Piano energetico ambientale regionale”» che predisponga le nuove linee guida da sottoporre all’approvazione della Giunta. Quali risultati ha prodotto tutto ciò a quasi 20 mesi dalla delibera del precedente governo regionale? Nessuno.
In attesa di Enea
Come atti ufficiali siamo insomma ancora fermi al 2005, anche se, stando a quanto è stato possibile apprendere in via ufficiosa dagli uffici della Cittadella, nel 2018 è stato stilato un documento sulla situazione energetica regionale nell’ambito del programma europeo “Horizon” che, forse, potrebbe costituire una base abbastanza aggiornata da cui partire per redigere un nuovo Pear. Quasi sempre a fare da consulente alle Regioni per questi scopi è Enea, e proprio all’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile – i cui esperti avevano lavorato anche al vecchio Piano – la Cittadella si è rivolta di recente per avere una sorta di preventivo e capire quanto possa costare la consulenza scientifica per elaborare delle nuove linee guida partendo dal documento del 2018.
Cosa hanno fatto in Emilia e Campania?
Poi, eventualmente, si dovrà passare anche attraverso il confronto con tutti i soggetti istituzionali e sociali interessati. Giusto per avere qualche termine di paragone, la Regione Emilia-Romagna ha in vigore il Per adottato nel 2017 che fissa la strategia e gli obiettivi per clima ed energia fino al 2030 e si realizza attraverso un Piano triennale di attuazione (Pta). Questo strumento è stato aggiornato nel 2020 ed è stato già avviato il percorso partecipato che porterà al Pta 2022-2024. Scendendo più a Sud, il Piano energetico ambientale della Regione Campania è stato approvato nel luglio del 2020.
Unical e Comuni per abbattere i costi delle bollette
Intanto noi restiamo impantanati nei buoni propositi e nelle dispute ideologiche che finiscono per dividere anche il fronte ambientalista tra intransigenti e possibilisti. La politica ovviamente non è da meno in quanto a verbosità e divisioni, con l’aggravante che certe posizioni sono evidentemente dettate dalla ricerca di facili consensi più che dal merito di un tema di vitale importanza, oggi e nell’immediato futuro, per ognuno di noi.
L’Università della Calabria (Dipartimento di Ingegneria Meccanica Energetica e Gestionale) in collaborazione con sedici Comuni Calabresi (Aprigliano, Belmonte, Carlopoli, Cerzeto, Cervicati, Crotone, Francica, Galatro, Morano Calabro, Mongrassano, San Marco Argentano, Parenti , Platì, Panettieri, San Fili, Tiriolo) , ha cominciato a lavorare, con un incontro avvenuto nei giorni scorsi, alla costruzione delle prime Comunità di energia rinnovabile (Cer) con lo scopo di andare «oltre l’obiettivo di soddisfare il fabbisogno energetico delle comunità locali, abbattendo drasticamente i costi per cittadini le imprese e gli enti locali».
Eppur qualcosa si muove
Lunedì 21 febbraio sullo stesso tema è previsto un ulteriore incontro in Regione a cui parteciperà il presidente Roberto Occhiuto, la sottosegretaria al MiTE Ilaria Fontana, il deputato Giuseppe d’Ippolito (Commissione Ambiente) e il docente Unical Daniele Menniti. Qualcosa – complice la tempistica del Pnrr – dunque si muove. La potenziale collaborazione tra governo, Regione, Comuni e università potrebbe rappresentare un’occasione irripetibile per costruire una nuova solidarietà energetica tra le comunità locali e superare l’approccio passivo dei cittadini-consumatori.
Quanto questa impostazione improntata alla cooperazione dal basso possa essere conciliabile con il business dei colossi dell’energia, che hanno evidentemente il profitto come obiettivo ultimo, non è difficile intuirlo. Per evitare commistioni di interessi, che sotto l’ombrello della transizione energetica magari nascondono nuovi tentativi di sfruttamento dei beni comuni, servirebbero dunque, innanzitutto, una chiara volontà politica e degli strumenti pubblici adeguati di programmazione e regolamentazione del settore. Proprio ciò che, almeno finora, in Calabria manca.