Tanti Comuni, pochi servizi: ok per i poltronisti, non per i cittadini

Oltre l'80% degli enti locali calabresi amministra meno di 5.000 abitanti, ma pochissimi hanno scelto la strada delle unioni o della fusione nonostante gli incentivi. Una decisione che tutela la classe dirigente ma rischia di danneggiare i residenti

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In Calabria si contano 327 comuni con meno di 5.000 abitanti, su un totale di 404 enti locali: rappresentano l’80,9% del totale, una delle percentuali più alte tra le regioni italiane. Un terzo della popolazione calabrese vive in questi piccoli comuni. Ma è il nanismo istituzionale che si esprime sul territorio mediante una maggiore frammentazione.
Sono 17 in Calabria i comuni con meno di 500 abitanti: sette di questi, quasi la metà, sono concentrati nella sola provincia di Cosenza: Carpanzano, Castroregio, Panettieri, Nocara, Alessandria del Carretto, Serra d’Aiello, Cellara. Quando i comuni sono polverizzati per numero di abitanti, è davvero difficile poter offrire ai cittadini servizi adeguati alle necessità.

Comincia spesso in questi casi un pendolarismo territoriale alla ricerca delle condizioni compatibili, che in diversi casi, come nella sanità, conduce alla l’approdo verso altre regioni del Paese, nella maggior parte dei casi verso il Settentrione.
Questa realtà vale, sua pure con un caratteristiche meno accentuate, per l’intero territorio nazionale. Su poco meno di 8.000 comuni presenti in Italia, se ne contano 882 comuni con meno di 500 abitanti; quelli con meno di 1.000 abitanti sono poco meno di 2.000.

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Alessandria del Carretto vista dall’alto

Poche unioni di Comuni in Calabria

Per rispondere a questa eccessiva frammentazione del modello istituzionale ed organizzativo, si è adottata la formula della Unione dei comuni, in modo tale da assicurare una migliore erogazione dei servizi ai cittadini. Non dappertutto questa formula è stata utilizzata con la stessa capacità di superare i localismi nell’interesse delle comunità presenti sul territorio. Sono soltanto 12 le unioni di comuni in Calabria, su 564 che se ne contano in Italia: una percentuale pari appena al 2,1%. La scarsa utilizzazione della formula della Unione dei comuni ha impedito di mettere assieme fattori e risorse per assicurare una migliore risposta ai cittadini.

L’ente consorziato è costituito da due o più comuni per l’esercizio congiunto di funzioni o servizi di competenza comunale.
L’Unione di comuni è dotata di autonomia statutaria nell’ambito dei principi fissati dalla Costituzione, dalle norme comunitarie, statali e regionali. A questo istituto si applicano, per quanto compatibili, i princìpi previsti per l’ordinamento dei comuni, con specifico riguardo alle norme in materia di composizione e numero degli organi dei comuni, il quale non può eccedere i limiti previsti per i comuni di dimensioni pari alla popolazione complessiva dell’ente.

Casali del Manco è tra i pochi Comuni calabresi nati dopo la fusione di diversi enti di minori dimensioni

Cui prodest?

Per quale motivo non si è affermato anche in Calabria, ed in generale nel Mezzogiorno, un disegno di razionalizzazione degli enti locali capace di dare risposta ai bisogni del territorio? Se continua a prevalere la frammentazione istituzionale vuol dire che il territorio ricava la sua convenienza: a partire dalle organizzazioni criminali, che hanno sempre da guadagnare dalla debolezza istituzionale, per finire alle consorterie politiche, che evidentemente trovano vantaggioso moltiplicare le poltrone per governare meglio il controllo del consenso.

La frammentazione istituzionale del Mezzogiorno trova radici antiche: da un lato conta un fattore sociologico permanente, che resta ancora primario rispetto al resto del Paese, vale a dire quel familismo amorale studiato proprio in Calabria da Edward C. Banfield negli anni Cinquanta del secolo passato. D’altro lato pesa una classe dirigente politica più attenta a preservare le poltrone del potere rispetto alla soddisfazione degli interessi e dei diritti del cittadino.

Il contesto normativo

Eppure, il contesto normativo ha definito anche sistemi di incentivazione per spingere verso le unioni dei comuni ed anche verso altre forme più spinte di aggregazione. La fusione di uno o più enti, con l’istituzione di un nuovo comune, costituisce la forma più compiuta di semplificazione e razionalizzazione della realtà dei piccoli centri. Anche le fusioni di comuni godono di incentivi statali.

L’entrata in vigore dell’esercizio obbligatorio di tutte le funzioni comunali dei piccoli comuni è stato prorogato più volte, da ultimo al 31 dicembre 2022 da parte del DL 228/2021. Si contano sinora nove proroghe, ma ora dovremmo essere al punto di non ritorno. Questo ennesimo appuntamento dovrebbe indurre ad accelerare non solo ragionamenti, ma anche decisioni, per accorpare i comuni di piccole dimensioni e per raggiungere quelle masse critiche necessarie per una maggiore efficienza amministrativa.
Insomma, non resta molto tempo per superare una organizzazione comunale che non corrisponde all’ottimo sociale, ma solo ad una geografia politica che ha fatto il suo tempo.

I Comuni e il PNRR

In Calabria la strada da percorrere è lunga. La qualità amministrativa del governo territoriale è una delle condizioni essenziali dalle quali dipende il futuro dello sviluppo. Partiamo da una base largamente insoddisfacente. Mentre tutta l’attenzione si concentra sul PNRR, molto di quello che sarà il destino del Mezzogiorno dipenderà dalla configurazione istituzionale dei poteri locali.
Costituire unioni di comuni e favorire fusioni di comuni sono due indicatori che ci dimostreranno la capacità di innovazione del ceto politico locale in Calabria e nel Mezzogiorno.

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La Camera dei deputati

Mentre il Parlamento ha tagliato della metà il numero dei rappresentanti, tra senatori e deputati, a livello locale è cresciuta nei recenti decenni una selva di “cadreghe” territoriali che costituiscono un ostacolo alla modernizzazione della macchina amministrativa.
Ma, mentre sulla casta nazionale sono state scritte quantità impressionanti di letteratura, sulle caste territoriali è mancata la stessa meticolosa attenzione. Eppure, in termini di danni prodotti, il federalismo asimmetrico degli ultimi decenni è stato molto più dannoso dei poteri centrali sempre meno efficaci.

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