Tragedia di Crotone: l’apocalisse vista dai superstiti

Quattro testimoni inchiodano gli scafisti e raccontano i dettagli della tragedia. Nessuna richiesta di soccorso dell'equipaggio, che ha tentato la fuga. Quella barca doveva rientrare, perché valeva più della vita dei migranti. Una manovra sbagliata e poi lo schianto

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Una manovra sbagliata e poi lo schianto.
Il mare non perdona, specie quando è molto agitato. A forza 7, come abbiamo appreso dai primi lanci di agenzia, subito rimbalzati sui tg.
Foce è una spiaggia di Steccato, a sua volta frazione di Cutro, poco meno di 10mila anime in provincia di Crotone. Uno di quei luoghi che qualcuno ogni tanto ricorda come meta turistica e qualcun altro associa a un campione di scacchi del XVI secolo.
Ma dal terribile 26 febbraio questa zona sarà ricordata anche come teatro di una strage di migranti. Di cui emergono alcuni dettagli inquietanti: sessantaquattro persone sono morte non per un incidente, ma per “presunta” colpa degli scafisti. E, ciò che è peggio, vicino a quella meta pagata cara: ottomila euro per migrante.

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Soccorritori e forze dell’ordine in azione

Strage di Cutro: gli indagati

Tre turchi, due pakistani di cui un minorenne, e un siriano: sarebbero loro gli scafisti responsabili del viaggio della speranza finito in tragedia.
E questa tragedia sarebbe dovuta al panico scatenato non dalla tempesta ma da alcune luci a riva: pensavano che fosse la polizia e avrebbero tentato una folle inversione di rotta. Proprio questa manovra avrebbe causato l’incidente.
Usiamo i condizionali per mero garantismo. E per lo stesso garantismo non facciamo nomi: queste cose spettano all’autorità giudiziaria.
Ma quattro superstiti, interrogati dalla polizia il 27 febbraio, non hanno dubbi. Identificano gli scafisti e ricostruiscono nel dettaglio quei minuti concitati.

Strage di Cutro: il caicco marcio

I primi testimoni sono tre stranieri: due bielorussi e un romeno. Pescatori che si trovavano sulla spiaggia alle 4 del mattino e hanno visto tutto: gli sos lanciati con le luci dei cellulari, la barca che si rovescia e si spacca e le persone che finiscono in mare.
Nel gergo nautico si chiama caicco: è un’imbarcazione di medie dimensioni, nata come peschereccio e poi usata per le crociere.
Ma il caicco, piuttosto comodo per un numero di passeggeri ridotto, può diventare una trappola quando a bordo ci sono dalle 140 alle 180 persone, a seconda delle ricostruzioni. Ed è pericoloso quando è in pessime condizioni. E quello naufragato a Crotone era addirittura marcio, come ha riportato qualche media.

Il relitto visto dall’alto

Strage di Cutro: la partenza

Non si scappa solo dai drammi epocali, come le guerre. Ma anche dai drammi quotidiani, come la miseria e la mancanza di prospettive.
Le storie di questi migranti sono simili: partenza dal paese di origine. Arrivo e permanenza in Turchia con un solo desiderio: raggiungere l’Italia, il primo approdo in quell’Europa considerata da molti la salvezza.
Uno di loro è rimasto a Teheran un anno. Vi ha lavorato alla meno peggio e poi ha tentato la sorte in Turchia. La prima volta gli va male: le autorità lo arrestano e lo costringono a restare in un campo. Poi, dopo il terremoto, i controlli saltano, lui riesce a scappare e si imbarca.
Un altro proviene dall’Afghanistan, altro teatro tragico. Resta in Turchia un anno, dove lavora come può. Poi si imbarca.
I soldi del “biglietto” sono versati, di solito, a qualche agenzia compiacente che attiva l’organizzazione.

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Una tutina da neonato: l’immagine simbolo della tragedia

La parte finale dell’imbarco è uguale per tutti: permanenza in una “safe house”, un covo lontano da occhi indiscreti, in questo caso nei pressi di Istanbul. Poi un viaggio via terra a bordo di pick up e finalmente l’imbarco a Cesme: è il 22 febbraio.

Strage di Cutro: il contrattempo

La nave, racconta uno dei testimoni, sembra bella: è rivestita di vetroresina di color bianco. E sarebbe persino confortevole.
Peccato solo che il motore sia andato. Infatti, dopo poche ore, gli scafisti sono costretti a chiedere aiuto. Arriva la seconda imbarcazione, il caicco, su cui salgono lo scafista siriano e i migranti. E il viaggio riprende, da una bagnarola all’altra.
Ma queste bagnarole sono preziose, per gli scafisti e per chi li manovra. Infatti, racconta un testimone, i quattro accompagnatori si sarebbero impegnati solo a “sbarcare in sicurezza” i migranti. Quindi non a chiedere soccorso se le cose si fossero messe male.
Di più: gli scafisti avrebbero dovuto portare indietro la barca. Questi dettagli, se confermati, spiegherebbero tanto. Troppo, forse.

Strage di Cutro: vietato comunicare

Gli scafisti, per fortuna, non sono violenti. Ma rigidi sì: vietato fare filmati a bordo. Vietato, soprattutto, comunicare finché non si arriva a destinazione.
Per precauzione, l’equipaggio della bagnarola utilizza uno Jammer, un disturbatore di frequenze che blocca i segnali dei cellulari.
I migranti potranno telefonare solo per dire che tutto è andato bene e, quindi, per sbloccare le somme che finiranno nelle casse dell’organizzazione.
È successo anche questo, a cento metri dalle coste di Cutro: vocali lanciati dai migranti poco prima del naufragio. Una beffa nella beffa: la costa vicina ma impossibile da raggiungere e il messaggio rassicurante (ai parenti rimasti in patria e all’organizzazione) e, pochi minuti dopo, il disastro.

Un momento dei soccorsi

Strage di Cutro: il linciaggio

Sono le prime ore del mattino del 26 febbraio. Impossibile sbarcare in sicurezza. Ma impossibile anche restare in mare.
I passeggeri vedono la costa e protestano. Gli scafisti hanno paura e tentano di tornare al largo. Poi, quando si accorgono che la bagnarola imbarca acqua, gonfiano un gommone e mollano i migranti alla loro tragedia.
I carabinieri del Nucleo radiomobile arrivano alle 4,30, soccorrono i primi superstiti e portano a riva i primi cadaveri.
Un migrante li avvicina e identifica uno degli scafisti: un turco, che è il principale indiziato. Occhio agli orari: una pattuglia di terra della Guardia Costiera arriva alle 5,30, circa un’ora dopo. Giusto in tempo per consentire ai militari di sottrarre lo scafista al linciaggio dei superstiti.
Siamo garantisti, d’accordo: ma si può pretendere altrettanto da chi ha visto annegare i propri cari a pochi metri dalla costa? E cosa si può provare nei confronti di chi non ha lanciato l’allarme perché una bagnarola è più importante della vita dei passeggeri?

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I detriti del caicco in spiaggia

Strage di Cutro: gli interrogatori

Tutti i testimoni concordano su quel che è avvenuto in quelle ore terribili. E tutti riconoscono gli scafisti dalle foto.
Già: i migranti non potevano scattare foto a bordo. Ma loro, gli scafisti, si riprendevano con la massima tranquillità.
Ancora: i carabinieri hanno trovato addosso al primo indiziato – quello sottratto al linciaggio – passaporto, carta d’identità, patente, cinquecento dollari in banconote e quattro carte di credito. Bastano a distinguerlo dal resto dei passeggeri?
Per tre persone gli inquirenti hanno emesso il fermo. Gli altri sono ricercati. E il resto è cronaca e polemica. E lacrime.

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