Quando si parla di spazzatura, in Calabria, i propositi sono sempre buoni, ma le certezze sono davvero poche. Per provare a capirci qualcosa conviene dunque partire dalle seconde. Innanzitutto: la Regione non ha al momento adottato nessun nuovo Piano rifiuti. In Calabria è in vigore quello approvato nel 2016 e modificato nel 2019. La giunta Santelli aveva licenziato delle Linee guida di aggiornamento su proposta del “Capitano Ultimo” ma sono rimaste solo un atto di indirizzo. «Il Piano che cambierà la Regione» vagheggiato a novembre 2020 dall’allora assessore Sergio de Caprio in realtà non è mai neanche arrivato in consiglio regionale.

Probabilmente invece ci arriverà, senza grandi ostacoli, quello annunciato da Roberto Occhiuto: la sua giunta ha approvato una delibera con gli indirizzi per un Piano stralcio. Prima di andare a vedere quali siano, proviamo a ragionare su qualche altro dato certo. Il più drammatico riguarda la raccolta differenziata, l’unica via per uscire dal medioevo delle discariche che tutti da anni dicono di voler seguire – lo impone la legge – senza riuscirci.
Differenziata ferma al 52%
Nel 2020 (la fonte è la Regione) i calabresi hanno prodotto 715.976 tonnellate di rifiuti urbani (381,3 kg per abitante) ma la differenziata si è fermata a 373.610 tonnellate. Rispetto al 2013 i rifiuti prodotti sono diminuiti (erano 829.792 tonnellate, 422,8 kg per abitante) ed è aumentata la differenziata (erano 122.844 tonnellate). Però siamo ancora al 52,2%, molto poco se si pensa che il target del 65% si doveva raggiungere nel 2012. Esatto: siamo in enorme ritardo rispetto a un obiettivo che andava centrato già 10 anni fa. E che il Piano rifiuti del 2016, quello ancora in vigore, aveva fissato per il 2020.
Cosenza: rifiuti in Svezia per 300 euro a tonnellata
Proprio il 2020, scrive il dipartimento regionale Ambiente, è l’anno che ha sancito «la cronicizzazione dell’emergenza per l’esaurimento delle discariche pubbliche e private». Risultato? Sono state incenerite fuori regione 67mila tonnellate di rifiuti, a cui se ne aggiungono altre 2mila conferite in discariche extra-regionali. A costi, dice sempre la Regione, «esorbitanti». Un esempio: la provincia più grande della Calabria, quella di Cosenza, per parecchi mesi ha spedito la sua spazzatura a Mantova e addirittura in Svezia. Al modico prezzo di oltre 300 euro a tonnellata. Il canale svedese si è bloccato da qualche settimana a causa della guerra e, ora, si rischia una nuova emergenza nell’emergenza.
Emergenza rifiuti in Calabria mai finita
Già. E pensare che in teoria il settore calabrese sarebbe rientrato nella «gestione ordinaria» dal 2013. Lo stato di emergenza dei rifiuti in Calabria era stato proclamato nel 1997 ed è ufficialmente scaduto il 31 dicembre 2011. Ma nei fatti è sempre rimasto tale. Con un’altra certezza: una montagna di denaro pubblico è stata spesa senza mai fare passi avanti. È utile anche su questo guardare ai numeri, tenendo a mente che il servizio viene coperto con la tassa (Tari) pagata dai cittadini. Nel 2019 i rifiuti calabresi ci sono costati 168,44 euro per abitante (fonte: Catasto rifiuti Ispra su un campione del 42% dei Comuni). Il che significa 319 milioni di euro in un anno. I costi di gestione sono andati quasi sempre crescendo nel decennio: nel 2013 si spendevano 124,15 euro per abitante (245,8 milioni all’anno).
Sommando i costi per abitante del Catasto Ispra, dopo averli moltiplicati per i residenti rilevati di anno in anno, viene fuori che tra il 2012 e il 2019 la gestione dei rifiuti calabresi è costata in totale oltre 2,2 miliardi di euro. Ancora prima, stando alle risultanze della Commissione parlamentare di inchiesta che se n’è occupata, in più di 13 anni di commissariamento le spese erano «lievitate a ben oltre il miliardo di euro, a fronte degli insufficienti risultati ottenuti».
Il termovalorizzatore da raddoppiare
Già in quel dossier, datato maggio 2011, si parlava del raddoppio del termovalorizzatore di Gioia Tauro. Sul quale ora Occhiuto vuole puntare per renderlo «più performante e meno inquinante».
Al di là dell’ammissione implicita del presidente della Regione – «meno inquinante» significa che attualmente inquina e in futuro lo farà pure, ma di meno, e prima poi bisognerà farci i conti – a descrivere la situazione è il documento tecnico allegato dal dipartimento Ambiente alla manifestazione d’interesse per il project financing.

Si parte dal «malfunzionamento» attuale del termovalorizzatore – termine meno inquietante dell’«inceneritore» comunque ricorrente anche in questi atti – che «incenerisce quantitativi molto inferiori rispetto alla potenzialità autorizzata di 120mila tonnellate all’anno». A Gioia Tauro viene trattato per produrre energia solo il combustibile solido secondario, l’attuale tecnologia «non consente di termovalorizzare gli scarti di lavorazione». Negli ultimi due anni, inoltre, si sono registrati «continui fermi impianto».
Il grande problema resta sempre e comunque la mancanza di impianti pubblici sul territorio. Il Piano del 2016 ne prevedeva diversi riuniti in 8 «ecodistretti», ma risulta che «nessuna attività è stata avviata» per quello di Cosenza e le sue due discariche di servizio, così come per quelle previste a Lamezia, Crotone, Siderno e per l’impianto che dovrebbe sorgere nella Piana. «Bloccato», invece, l’iter per la discarica di Melicuccà. Ma secondo il dipartimento la configurazione degli ecodistretti va «integralmente confermata».
Rifiuti in Calabria? Incenerire per non differenziare
Quindi l’unica novità, al netto dell’aggiornamento dei target per la differenziata (65% nel 2023, 70% nel 2025 e 75% nel 2030), è il maggiore ricorso all’incenerimento dei rifiuti a Gioia Tauro. Dove, con l’entrata a regime delle ulteriori linee «completate ad oggi all’80%», si dovrebbe arrivare, secondo la Regione, a una «valorizzazione energetica» di circa 270mila tonnellate all’anno, garantendo così «l’autosufficienza» con il trattamento di tutti i rifiuti urbani residui e degli scarti della differenziata. Il termovalorizzatore, di proprietà della Regione, nel Piano stralcio dovrà essere individuato come «di rilevante interesse strategico regionale» e servire tutta la Calabria. Una previsione che, guardando ai propositi sulla differenziata, appare contraddittoria: se dobbiamo incenerire di più vuol dire che pensiamo che non differenzieremo di più.

Quando la giunta Spirlì voleva stoppare i privati…a parole
Due digressioni necessarie. La prima: la Ue dice che entro il 2035 dovrà andare in discarica non più del 10% del totale dei rifiuti urbani, mentre la Calabria è oggi oltre il 44%. La seconda: il Tar ha annullato un’ordinanza – l’ennesima «contingibile e urgente» – emanata dalla giunta Spirlì a luglio 2021 dando ragione al Comune e all’Ato di Crotone. Rappresentati dall’avvocato Gaetano Liperoti, gli enti crotonesi si sono opposti alla decisione di portare in discarica fino a 600 tonnellate al giorno pagando 180 euro a tonnellata (dunque fino a oltre 100mila euro ogni 24 ore).
Si tratta della stessa giunta che aveva garantito di voler stoppare i privati. E che nella stessa ordinanza ammetteva che avremmo pagato nei mesi successivi «prezzi esorbitanti» per portare i rifiuti fuori dalla Calabria. Secondo il Tar però non si possono «adottare ordinanze contingibili ed urgenti per fronteggiare situazioni prevedibili e permanenti». L’emergenza è dunque diventata così stabile da costituire, illegittimamente, la normalità.

Addio Ato, ecco la multiutility di Occhiuto
C’è poi un’ulteriore, grossa novità: gli Ato provinciali verranno soppressi con l’entrata in vigore della «multiutility» che gestirà l’intero ciclo di acqua e rifiuti. Si tratta di un cambio di rotta rispetto all’impostazione che stava andando nella direzione della gestione locale consorziata tra i Comuni. Alcuni territori sono effettivamente bloccati perfino nella scelta dei luoghi per gli ecodistretti, ma altri stavano facendo dei passi avanti. Adesso, mentre continuiamo a pagare bei soldoni per lo smaltimento, inseguiremo l’autosufficienza incenerendo in un solo impianto i rifiuti di tutta la regione. Ma dimenticando che la normativa europea e il Codice dell’ambiente (art. 182 bis) fissano anche il principio di prossimità: i rifiuti andrebbero smaltiti «in uno degli impianti idonei più vicini ai luoghi di produzione o raccolta».