‘Ndrangheta stragista: ergastolo a Graviano e Filippone

Condannati in appello per l'omicidio dei carabinieri Fava e Garofalo. La strategia della tensione di Riina e le dichiarazioni dei pentiti. Una sentenza che potrebbe gettare nuova luce su uno dei periodi più bui della storia d'Italia

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Un accordo tra Cosa Nostra e ‘ndrangheta, per colpire lo Stato, per destabilizzare il Paese. La sentenza di secondo grado del processo “Ndrangheta stragista” riscrive la storia d’Italia.  La Corte d’Assise d’Appello di Reggio Calabria (Bruno Muscolo presidente, a latere, Giuliana Campagna) ha infatti confermato gli ergastoli già emessi in primo grado nei confronti del boss di Cosa Nostra, Giuseppe Graviano, e dell’uomo forte della ‘ndrangheta della Piana di Gioia Tauro, Rocco Santo Filippone, nell’ambito del procedimento “Ndrangheta stragista”. I due sono stati condannati anche in secondo grado quali mandanti del duplice omicidio dei carabinieri Antonino Fava e Vincenzo Garofalo, fatto avvenuto nei pressi di Scilla il 18 gennaio del 1994.

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Il pubblico ministero, Giuseppe Lombardo

Una notte della Repubblica

I giudici di secondo grado, quindi, hanno avvalorato l’impianto accusatorio portato avanti dal pm Giuseppe Lombardo (applicato anche nel procedimento d’appello) circa l’esistenza di un accordo tra le due principali organizzazioni criminali del nostro Paese nella strategia stragista che doveva cambiare gli equilibri d’Italia, in una fase di passaggi tra la Prima la Seconda Repubblica, dopo l’annus horribilis, il 1992, con l’uccisione dei giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, nelle stragi di Capaci e via D’Amelio.

Il piano di Totò Riina

L’inchiesta, mastodontica, ha ricostruito il ruolo delle principali cosche della ‘ndrangheta, i Piromalli e i De Stefano, che, attraverso alcuni summit (il più famoso dei quali, a Nicotera Marina), avrebbero aderito al piano eversivo voluto da Totò Riina, in quel momento capo indiscusso della mafia siciliana. Infatti, nel complessivo attendismo della ‘ndrangheta, dove molte famiglie e molte cosche, abituate ad una pacifica e fruttuosa convivenza con lo Stato, erano restie ad azioni eclatanti, le famiglie più potenti invece, quelle che ruotano intorno ai Piromalli/Molè ed ai De Stefano-Tegano-Libri – che, non a caso avevano, ad un tempo, i più profondi legami con Cosa Nostra e con la massoneria deviata di Licio Gelli – si muovono nell’ombra, all’insaputa del resto della consorteria.

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Totò Riina dietro le sbarre

Una sentenza di secondo grado che, quindi, inserisce questi fatti in un disegno complessivo, quando, invece, per anni, gli attentati ai militari dell’Arma erano stati inquadrati come episodi sganciati da contesti più grandi. Per gli assalti ai Carabinieri, infatti, vengono utilizzati due giovanissimi criminali, Consolato Villani e Giuseppe Calabrò, certamente fedeli, efficienti e spregiudicati, ma non immediatamente riconducibili alle famiglie di ‘ndrangheta che erano alle spalle dell’azione. L’ennesimo, geniale, depistaggio della ‘ndrangheta.

Franco Pino e gli altri collaboratori di giustizia

Una inchiesta che si basa, soprattutto sulle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, tra cui quelle di Franco Pino, del 2018. Frasi commentate da due soggetti vicini alla famiglia Piromalli in una intercettazione che ha rappresentato il colpo di scena finale nel procedimento di secondo grado. In quelle captazioni del 2021, divenute pubbliche solo in queste ultime settimane, si faceva infatti riferimento al volere dei vertici della cosca di Gioia Tauro di insanguinare anche la Calabria. Apparentemente con azioni scollegate (proprio come gli attentati ai carabinieri) ma, di fatto, inserite in un medesimo e inquietante disegno criminale.

«Il colpo di grazia allo Stato»

Collaboratori di giustizia, tanto calabresi, quanto, soprattutto, siciliani. Come Gaspare Spatuzza, per anni braccio destro del boss Graviano. La voce di Spatuzza postula dunque l’esistenza di una intesa fra Cosa Nostra ed i calabresi che avevano disposto, ordinato ed organizzato gli assalti ai carabinieri avvenuti fra il dicembre 1993 ed il febbraio 1994 nel reggino. In questo contesto la frase di Graviano «… bisognava agire per dare il colpo di grazia allo Stato e che i calabresi già si erano mossi…» pronunciata per fare comprendere a Spatuzza (cioè a colui che più di ogni altro aveva collaborato con lui, coordinando e svolgendo materialmente le attività criminali connesse alla esecuzione delle stragi continentali) che non si poteva più indugiare oltre e che si doveva procedere e colpire ancora.

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Il collaboratore di giustizia, Gaspare Spatuzza

Da Moro a Berlusconi

I lunghi, lunghissimi, dibattimenti di primo e secondo grado hanno allargato quasi all’infinito il raggio d’azione, coinvolgendo nella narrazione dei collaboratori figure influenti della politica italiana: da Bettino Craxi a Silvio Berlusconi. Ma il procedimento ha attraversato decenni di storia italiana e locale: dal ruolo che la ‘ndrangheta avrebbe potuto avere nel sequestro del presidente della Democrazia Cristiana, Aldo Moro, alla carriera politica di Giuseppe Scopelliti, ex governatore calabrese, che spiccò il volo dopo l’attentato a Palazzo San Giorgio del 2004, fasullo secondo l’impostazione accusatoria.

Crimine, servizi segreti e massoneria

Il quadro inquietante nella commistione tra organizzazioni criminali, politica, massoneria, viene completato dal ruolo rivestito dai servizi segreti. Impegnati per decenni in attività volte ad assicurare la permanenza del paese nel blocco occidentale, prevenendo ed impedendo infiltrazioni del blocco avverso, venuto meno, per l’appunto, la controparte, sentivano di avere perso la loro missione e con essa gli enormi spazi di manovra – talora illegali –  che la stessa gli garantiva. Così come per Cosa Nostra il procedere del maxi processo verso le condanne definitive era stato il preoccupante annuncio dell’inizio di un declino inarrestabile, così, per alcuni settori di tali apparati, lo smantellamento di Gladio (autunno 1990) era stato il segnale di un intollerabile ridimensionamento del proprio potere.

Insomma, le mafie e le schegge infedeli di apparati statali sembrerebbero accomunati, in quegli anni, ad uno stesso destino: i nuovi equilibri geo-politici stavano mutando i meccanismi di un sistema in cui erano prosperate. La loro sopravvivenza era quindi legata alla necessità di impedire che quei cambiamenti travolgessero quel sistema: entrambe avrebbero concorso per il mantenimento dello status quo. La strategia stragista doveva proprio permettere di individuare i nuovi referenti politici, in grado di portare avanti i piani granitici elaborati ed eseguiti nel corso della Prima Repubblica. Perché più le cose cambiano, più restano le stesse.

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