«Lenti deformanti», «visioni» del processo «da lontano», «fughe in avanti»: sono numerose le pagine che i giudici del Tribunale di Locri dedicano alle tesi difensive che gli avvocati di Mimmo Lucano (e le migliaia di persone che hanno manifestato in tutta Italia all’indomani della condanna) hanno sostenuto durante il processo che ha visto l’ex sindaco di Riace condannato a 13 anni e 2 mesi di reclusione e ad una serie di risarcimenti record nell’ambito del processo Xenia.
Persecuzione politica? No, «arrembaggio»
Tesi che sostenevano «una presunta persecuzione di natura politica» che di fatto, scrivono i giudici nelle 904 pagine di motivazioni della sentenza di primo grado, «si dimostrerà essere del tutto inesistente». Nella sostanza, il modello Riace sarebbe stato solo fumo negli occhi per nascondere «un arrembaggio» fatto di «meccanismi illeciti e perversi, fondati sulla cupidigia e sull’avidità».
Virtù e vizi
Usano parole pesantissime i togati locresi che, pur ammettendo «l’integrazione virtuosa e solidale che nei primi anni veniva senz’altro praticata su quel territorio, ove si era riusciti mirabilmente a dare dignità e calore a uomini e donne venuti da terre remote» puntano l’indice «sulla sottrazione sistematica di risorse statuali e della Ue» che avrebbe messo in secondo piano l’accoglienza stessa, rimasta «in forma residuale e strumentale… così alimentando gli appetiti di chi poteva fare incetta di quelle somme senza alcun a forma di pudore».
E alla guida di questo gruppo – sono 27 in tutto gli imputati – ci sarebbe Mimmo Lucano che avrebbe costruito «un sistema clientelare che gli ruotava attorno» e che «lo sosteneva politicamente, con fedeltà assoluta, ben sapendo che quell’appoggio che essi gli fornivano – di cui egli aveva spasmodica necessità e che, peraltro, costituiva l’unico criterio tramite il quale essi erano stati prescelti – era ampiamente ricambiato da forti ritorni di natura economica».
Senza un soldo
Parole durissime che rappresentano una pietra tombale su un progetto durato più di venti anni e che aveva portato Riace fuori dall’immobilismo in cui versava, impoverita e abbandonata dai suoi stessi abitanti. E poco importa, se di soldi a Lucano non ne sono stati trovati in tre anni di indagini. Per i giudici di Locri si tratta di «un falso mito».
L’ex sindaco, scrivono, «è stato molto accorto nell’allontanare da sé i sospetti dell’essere stato autore del sistematico accaparramento di risorse pubbliche» e quindi «nulla importa che l’ex sindaco sia stato trovato senza un euro in tasca – come orgogliosamente egli stesso si è vantato di sostenere a più riprese – perché ove ci si fermasse a valutare questa condizione di mera apparenza, si rischierebbe di premiare la sua furbizia, travestita da falsa innocenza».
Modello o menzogna?
In sostanza, mette nero su bianco il presidente Fulvio Accurso, l’intero modello Riace si sarebbe trasformato in una grossa menzogna: menzogna era l’integrazione, menzogne erano i bimbi nella scuola riaperta e le case abbandonate nuovamente vissute. Menzogne create da Lucano «per alimentare l’immagine di politico illuminato che egli ha cercato di dare di sé ad ogni costo». Menzogne, annota il giudice sgambettando l’onda popolare da mesi schierata in sostegno dell’imputato Lucano, condivise «da tanta gente che non ha voluto vedere quanto sussisteva a suo carico nel processo»