Il 26 marzo scorso ho visitato per la prima volta la chiesa di San Martino di Giove, a Canale di Pietrafitta, in provincia di Cosenza. Si tratta di un sito immerso nel verde di un fitto bosco, raggiungibile anche in macchina, seguendo una strada stretta ma asfaltata. La maggior parte delle persone presenti quel giorno, però, ha raggiunto questo luogo bellissimo a piedi, seguendo probabilmente gli stessi sentieri percorsi dai monaci compagni e discepoli di Gioacchino da Fiore, che morì qui, il 30 marzo del 1202.
La moda dei cammini
Marciare per antichi sentieri ormai va di moda. Migliaia di pellegrini si muovono ogni anno lungo la via che attraverso i Pirenei porta a Santiago de Compostela, in Spagna, oppure lungo la via Francigena, che dal Nord Europa, attraverso le Alpi e i passi appenninici, conduceva i penitenti a Roma, per pregare nelle grandi basiliche della cristianità e lucrare l’indulgenza.
Il fatto che si stampino libri intitolati Come sedurre la cattolica sul cammino di Compostela (Castelvecchi) lascia intuire che le motivazioni di questi marciatori incalliti possono essere le più varie, non tutte riconducibili a un’esigenza religiosa.
Dobbiamo ammettere che qualcosa del genere accadeva anche ai tempi di Dante Alighieri, quando personaggi di ogni genere si mettevano in cammino per desiderio di avventura, per sfuggire alla giustizia, per cercare un luogo migliore in cui vivere.
Molti testi ispirati raccontano, invece, il valore del pellegrinaggio, il senso di questi viaggi che potevano durare anni, attraverso selve oscure e pericoli di ogni sorta, e trasformavano la sensibilità del pellegrino, gli spalancavano la conoscenza di altri mondi, altri stili di vita e culture materiali.
E oggi? Prendiamo ad esempio la giornata dedicata a uno dei luoghi di Gioacchino da Fiore, un personaggio noto in tutto il mondo agli studiosi di Medioevo, citato a proposito e a sproposito da politici, rivoluzionari, agitatori e scrittori di ogni epoca, per la sua forza visionaria, per la prefigurazione di un’età della Spirito, in cui tanti hanno voluto vedere un sogno messianico e utopistico.
Più Gioacchino da Fiore, meno peperoncino e calabriselle
Gioacchino da Fiore è quasi certamente il calabrese più famoso di tutti i tempi. Ma nella sua terra i luoghi in cui ha vissuto e operato sono fuori dalle strade principali. Non fanno parte dell’immaginario collettivo, che può spingere gli stessi calabresi e i visitatori di questa regione sulle sue tracce. La Calabria ama presentarsi con il logo dei Bronzi di Riace, ma più prosaicamente e banalmente si racconta con le calabriselle, le cipolle, i peperoncini festivalieri e altri prodotti enogastronomici su cui si fa affidamento, per invogliare i viaggiatori a percorrere le sue strade dissestate.
A me i prodotti sott’olio non sembrano una motivazione sufficiente per mettersi in viaggio. Si parte per un’esigenza interiore, per cercare qualcosa, per capire una parte di sé che nascondiamo a noi stessi, a volte, per timore che ci scombussoli la vita ordinata e noiosa che conduciamo. Possiamo anche ammettere che, durante il cammino verso Santiago de Compostela o qualsiasi altra meta, i falò serali, le chitarre e il vino per ristorarsi dalle fatiche della giornata favoriscano la reciproca attrazione e seduzione, ma si tratta sempre di un’alta e nobile necessità (questo sentimento popolare nasce da meccaniche divine, un rapimento mistico e sensuale… cantava il vecchio Battiato).
Contro le direzioni ovvie e banali
A me la strada verso San Martino di Giove, a Canale di Pietrafitta, ha fatto pensare che di solito, nella nostra vita, imbocchiamo quotidianamente le direzioni più ovvie e banali, che ci appaiono le più semplici e rassicuranti. Perché sono quelle più affollate, c’è sempre tanta gente e ci pare naturale ficcarci pure noi nella confusione.
Invece gli antichi sentieri sono solitari, incutono un po’ di timore, facciamo bene ad avventurarci da soli?cNon sarebbe più normale andare a spasso sul corso oppure al centro commerciale?
Alla fine, il 26 a Canale, ci siamo ritrovati in cinquanta persone, che non è proprio una situazione eremitica, di quelle che piacevano tanto all’abate Gioacchino. Forse vorrà dire che nel manicomio inconcludente che è la nostra vita, non siamo gli unici a pensare che bisognerebbe fermarsi, rallentare il passo, guardarsi intorno e recuperare questi luoghi incantati che, per miracolo, ancora sopravvivono in Calabria.
La chiesa di Gioacchino diventò una stalla
San Martino di Giove, come tanti altri monasteri, era diventato una stalla di proprietà privata. In periodo napoleonico prima e poi con l’Unità d’Italia, le leggi sul patrimonio ecclesiastico hanno espropriato molti beni della Chiesa, venduti all’asta o trasformati in edifici pubblici, caserme, uffici, scuole.
Solo di recente questo piccolo edificio è stato recuperato e liberato dalle murature più arbitrarie, e ci appare in tutta la sua bellezza. Quest’anno Demetrio Guzzardi, editore di Editoriale Progetto 2000 e irrefrenabile animatore culturale, ha in programma di guidare le pattuglie di intrepidi camminatori a riscoprire, dopo San Martino di Giove, anche altri luoghi gioachimiti nascosti lungo quelle strade secondarie, che sembrano tagliate fuori dai circuiti più consueti.
I luoghi di Gioacchino da Fiore in Calabria
La Sambucina a Luzzi, che non si trova in paese, ovviamente, ma lungo la strada poco frequentata che porta in Sila. Santa Maria della Matina a San Marco Argentano, lungo la vecchia statale. Sono due luoghi uniti da una lunga storia e il 26 giugno prossimo Guzzardi propone un preoccupante tour automobilistico-pedonale, tra questi due centri della Calabria medievale. Preoccupante per me, che mi perderò di sicuro.
E che dire della giornata del 23 luglio? Da Fontelaurato, nel comune di Fiumefreddo Bruzio, alla Badìa e a Sotterra a Paola, tre luoghi incredibili, che meriterebbero pagine e pagine di racconto, e invece hanno rischiato la distruzione totale e la cancellazione dalla memoria. La Badìa ci riporta alla storia delle Crociate, in particolare a un piccolo ordine monastico-cavalleresco, quello di Santa Maria di Valle Josaphat.
Questi monaci e cavalieri, dopo la perdita dei luoghi santi, si riorganizzano tra la Sicilia e la Calabria, che rappresentavano una prima linea contro il mondo musulmano. All’epoca il dialogo interconfessionale non andava di moda. Cristiani e musulmani si combattevano ferocemente. Quanti libri sono stati scritti sui Templari e sulla loro tragica fine? Sicuramente conosciamo meglio le loro vicende rispetto a quelle che si sono intrecciate intorno alla Badìa. Luoghi che non hanno trovato ancora un narratore, che riesca a farli rivivere per un pubblico più vasto di quello degli storici di professione.
Guzzardi da molti anni affianca al suo lavoro di editore questa missione di animatore e organizzatore, a cui si dedica con un accanimento che gli invidio (ne avrei bisogno per certe faccende mie).
A spasso tra le rovine
La riscoperta dei luoghi gioachimiti proseguirà, dal 20 al 27 agosto, intorno alle suggestive rovine di Corazzo, nel comune di Carlopoli (CZ). In Sila, tra i boschi più alti, dove Gioacchino amava ritirarsi per meditare e pregare. E dove ognuno di noi potrebbe avere l’occasione di passeggiare e riflettere sulla propria situazione. Lontano dai lidi affollati, dalla musica sparata al massimo, dalla spazzatura che si accumula, come ogni estate, nelle nostre marine. E non mancheranno, non mancano mai, gli articoli giornalistici sugli sversamenti di liquami a mare, ricorrenti ogni anno per la serenità e la gioia delle famiglie che ci portano i bambini.
Il bed and breakfast del pellegrino
Un’altra vita è possibile? Non riesco a immaginarmi nei dintorni di Corazzo ad occuparmi di mucche al pascolo. I bovini mi sembrano grossi e pericolosi per i dilettanti allo sbaraglio. Non mi azzarderei ad avviare una produzione di vini dell’abate, né ad impiantare un Bed and Breakfast del pellegrino lungo uno di questi percorsi. Io mi accontento di visitarli, certi posti, e di conoscerne o immaginarne le storie.
Ognuno dovrebbe concedersi la libertà di cercare quello di cui sente il bisogno, in un determinato momento della sua vita. Forma fisica e fidanzate, silenzio e preghiera, lontananza e anche, se capita, l’idea di candidarsi come apprendista pastore, boscaiolo, guida turistica, eremita a tempo indeterminato.
Non possiamo portarci tutto appresso
La Calabria medievale è lontana. Possiamo vagamente intuire come fosse, ma la nostra vita è un’altra faccenda. Il mondo in cui siamo immersi è complesso e inquietante. Per affrontarlo con cautela e sensibilità abbiamo bisogno di sapere da dove veniamo. Abbiamo bisogno di aggrapparci alle nostre radici, di capire cosa custodire e cosa abbandonare, se non ci interessa più. Non possiamo avere tutto e nemmeno portarci tutto appresso; i pellegrini di una volta lo sapevano, e pure i viaggiatori di oggi sono consapevoli che il bagaglio deve essere leggero.