La Sardegna quest’anno rischiava di soffiarci il campionato dei roghi. Che di solito è calabrese. C’entra poco il caldo e la scusa del global warming non basta. La Calabria brucia. È la regione più ustionata d’Italia, ci sono stati già adesso più di 1200 incendi boschivi. La provincia più colpita negli anni scorsi è stata quella di Cosenza, con ben 413 kmq di aree percorse dal fuoco, l’equivalente di 60.000 campi di calcio, 45,8 kmq di boschi in cenere, come succede ormai quasi ogni anno, da troppi anni. Comunque è buona abitudine che la Sila e il Pollino brucino per mesi durante estati sempre più torride e arse. La Calabria è un lungo ininterrotto barbecue silvestre. Un olocausto verde. L’ustione più vasta di tutta l’Europa continentale.
Ma quale autocombustione?
I boschi qui non sono mai bruciati per autocombustione e comportamenti distratti. La montagna in Calabria è stata il regno dei mistici e dei briganti, il deserto spirituale dei santi ecologisti in fuga dal mondo e il rifugio preferito di furfanti e irregolari in lotta col potere.
La storia della Calabria dice che qui la gente non ama la natura che regna per sé. Le montagne che incombono incontrastate sui paesi dalla marina alla Sila fanno paura, e i boschi e le foreste un tempo fitte ed estese sono stati considerati sin dall’antichità un danno più che una ricchezza, «terra rubata» all’agricoltura.
I tagli dei boschi per far legna e il debbio, l’incendio regolato di porzioni del manto forestale per far posto alle coltivazioni e ai pascoli, sono sempre stati praticati da contadini e pastori per limitare l’estensione delle superfici considerate improduttive.
Cancellata la più grande risorsa di questa regione
La più grande risorsa pubblica di questa regione, la terra e le aree protette, negli ultimi 50 anni è stata cancellata e immiserita in nome della speculazione continua e degli scambi incrociati del consenso. Il settore della forestazione in Calabria è un’altra delle piaghe dolorose della crisi civile di questa regione.
Le inchieste sulla corruzione dei dirigenti sono all’ordine del giorno. Chi appicca i roghi delle aree verdi che ogni anno a centinaia divorano con ordine geometrico macchie e boschi in ogni contrada della Calabria? Non c’è forse una regia occulta anche per gli incendi che scoppiano ogni estate in questa regione in cui tutto ormai è occulto e trasversale? Chi ha interesse a bruciare, e perché?
La Calabria brucia, ma non è solo colpa della mafia
La colpa è, solo, della mafia? E gli speculatori che dopo i roghi incettano biomasse per le centrali, gli intermediari che a vario titolo si disputano fette di territorio per i loro comodi? E i costruttori senza scrupoli di nuovi slums abusivi, e i vecchi pastori di una perduta arcadia che fanno terra bruciata per ridurre i boschi a pascolo per pecore e capre? E gli stessi forestali, che (si dice sempre sottovoce) bruciano quello che loro stessi piantano per assicurarsi il lavoro sui cantieri di rimboschimento?
In prossimità delle centrali a biomassa
Un dato soprattutto fa riflettere: praticamente tutti gli incendi estivi in Calabria si sviluppano da anni in prossimità delle centrali a biomassa, disposte ad anello rispetto ai roghi. Si consideri che in situazioni normali non è possibile tagliare nemmeno un ramo all’interno dei parchi, mentre in caso di incendi si ottiene un permesso speciale per la potatura degli alberi. E in questi casi parliamo di alberi carichi di resina, cioè facilmente infiammabili.
Il doppio ruolo di Calabria Verde
L’azienda che in Calabria si occupa dello spegnimento dei roghi è poi la stessa che è incaricata della bonifica delle aree incendiate: Calabria Verde (che con legge regionale 25 del 2013 ha sostituito le funzioni delle Comunità Montane). Altro dato anomalo registrato dalla Protezione Civile calabrese, è il boom di iscrizioni di nuove ditte boschive nate negli ultimi 5 anni. Non poche sono in odore di mafia.
La favola dell’autocombustione
Sarà pure l’estate più calda del secolo questa, ma riesce sempre difficile credere all’autocombustione (puntiforme), ai piromani isolati, ai fanatici del fuoco in gita di piacere, ai mozziconi gettati distrattamente dai finestrini. Forse il totale che assomma i fuochi che estate su estate divampano incontrastati è il risultato di tutte queste scelleratezze messe assieme. C’è un bel mucchio di persone che appiccano incendi dolosi conto terzi.
Nessuno sa più come custodire i boschi
Il fatto è che nessuno sa più come custodire i boschi. Nessuno più sa come si fa. Non più i forestali riformati, con il nuovo Corpo Forestale (diventati Carabinieri, sono scarsi di mezzi e con poca esperienza), non gli eclettici volontari-disoccupati delle squadre antincendio. Sapeva come farlo la gente di montagna. Che in montagna, spopolata da tempo, non vive più. La buona volontà di ambientalisti e gruppi ecologici è un palliativo da fine settimana en plen air. Una volta lo facevano pastori, i boscaioli e i «mannesi», gli operai forestali di un tempo. E persino i carbonai sapevano come trattare e accudire il fuoco nei boschi.
Di questi tempi invece non bastano i Canadair, le squadre di vigili del fuoco e gli interventi antincendio della Protezione Civile a mettere fine a questo scempio di roghi incontrollati che da anni fa olocausto dei boschi e dei monti della Calabria che brucia.
La Calabria va a fuoco
La Calabria va a fuoco, in tutti i sensi. Il nostro è un mondo democraticamente caduto nella follia dei roghi autostradali e dell’olocausto incurante di boschi e foreste. Si bruciano i boschi secolari, si brucia la Sila, il Pollino, l’Aspromonte, si bruciano i parchi nazionali e le oasi naturalistiche da cui dovremmo, si dice tra l’altro, ipocritamente, saper trarre opportunità di sviluppo per un “turismo sostenibile”.
La verità è che qui la tragedia della natura è il seguito degli altri disastri di una democrazia senza qualità, degenerata in abuso, governo caotico di un blocco di potere disordinato, tetragono e quasi privo di regole intellegibili.
Il sacco del territorio
Domani pagheremo di nuovo con le frane e con le alluvioni ciò che il fuoco ha distrutto in estate. Con il seguito dissimulato e peloso di pretese e lamentazioni rituali. La pianificazione del territorio in questa regione continua ad essere una piaga. Si costruisce ovunque, sparisce la campagna, il sacco del territorio favorisce l’espansione senza limiti. Il paesaggio è abusato senza soste, la bellezza dei luoghi stuprata di continuo.
Il delirio nichilistico
La natura stessa, in tutte le sue molteplici manifestazioni, resta cosa dissacrata, spazio da occupare, materia denudata a disposizione di ogni sfregio: res extensa. Non più natura vivente al centro di pratiche e sapienze tramandate provenienti dal passato e dalla spiritualità popolare. E, quel che è peggio, nemmeno argomentata da ragioni e strumenti di un pensiero del moderno che possa dirsi tale.
La Calabria continua a bruciare. Brucia per il delirio nichilistico di una volontà umana ebbra e devastante.