Dalla vendetta a colpi di pistola a bordo di un vespino 50, alla strage di Natale; dall’attentato che lo costringe alla sedia a rotelle, fino alla follia sanguinaria di Duisburg. E in mezzo, evasioni, fughe all’estero e ricoveri sotto falso nome: la storia di Francesco Pelle, alias Ciccio Pakistan, riportato giovedì in Italia dopo il suo arresto in Portogallo, si lega a doppio filo con quella della faida di San Luca e chiude il cerchio, a 16 anni dall’eccidio tedesco, con una delle pagine più violente della storia criminale italiana.
Trenta anni di omicidi, agguati e lupare bianche sullo sfondo di un paese, San Luca, in ginocchio. Trenta anni in cui l’uomo che fu la causa scatenante della strage davanti al ristorante “da Bruno”, ha avuto il tempo di ritagliarsi un posto alla tavola di quelli che contano. Un posto guadagnato sul sangue di una faida senza fine, iniziata con quella che sembrava un’innocua bravata nel giorno di Carnevale del 1991, e terminata a Ferragosto del 2006 con i sei cadaveri di Duisburg.
Sangue caldo
Francesco Pelle è ancora un ragazzino quando entra in diretto contatto con le guerre di ‘ndrangheta. È il primo maggio del 1993 – il crimine organizzato calabrese lega da sempre le proprie azioni omicide con le giornate di festa – e San Luca è diventato un posto pericoloso già da due anni, con i primi morti della guerra sulla montagna. Durante la mattina del giorno dei lavoratori, in una stalla arroccata in una frazione montana, cadono sotto i colpi dei killer, Giuseppe Vottari e Vincenzo Puglisi, organici della potente cosca dei “Frunzu”, giustiziati da un commando degli storici rivali dei Nirta – Strangio.
Un agguato a cui sarebbe dovuto seguire una nuova azione degli alleati dei killer, con il “pattugliamento” del paese per frenare sul nascere ogni tentativo di reazione. Ma nei primi anni ’90 le comunicazioni possono essere un problema serio anche per gente organizzata e disposta a tutto, e la seconda parte del piano salta, favorendo l’immediata reazione delle famiglie dei Pelle – Vottari.
È una fonte confidenziale raccolta dai carabinieri di San Luca a indicare proprio l’allora giovanissimo Ciccio Pakistan come uno degli autori del commando che al doppio omicidio della mattina risponderà, nel primo pomeriggio, con gli omicidi di Giuseppe Pilia e Antonio Strangio, ammazzato nella propria auto il primo, freddato davanti alla sua macelleria in paese il secondo.
Secondo quell’anonimo informatore, Ciccio Pakistan avrebbe guidato l’assalto guidando una Vespa truccata. Mai formalmente accusato di quel doppio omicidio, Ciccio Pakistan, che a quei tempi è ancora un pesce piccolo ma dalle parentele (i Gambazza e i Vanchelli) pesantissime, sparisce dai radar, rifugiandosi in Germania. Un esilio volontario, alla maniera dei boss, che gli servirà per acquisire nuovi contatti.
Ammazzateli tutti
Le faide di ‘ndrangheta non sono guerre “normali”, a volte vanno in sonno, per poi riesplodere violentissime alla prima occasione. Nel caso della faida di San Luca l’elemento che riapre le ostilità è segnato dalla cattura di uno degli storici boss del crimine organizzato calabrese, Giuseppe Morabito “il tiradritto”, scovato dalle forze dell’ordine dopo una latitanza da guinness dei primati.
In seguito alla cattura del mammasantissima africoto, restano sul terreno Antonio Giorgi e Salvatore Favasulli. I due pezzi grossi delle ‘ndrine della montagna vengono uccisi a pochi giorni di distanza l’uno dall’altro e segnano il passo per l’agguato che lascerà per tutta la vita su una carrozzina il nuovo boss dei Pelle.
In questo vortice impazzito di violenza folle, dove al sangue si risponde solo col sangue, Ciccio Pakistan viene colpito alla schiena da un commando di fuoco che ha sparato da lontano: «Mi hanno voluto fare il regalo per il bambino» dirà Pelle intercettato dai carabinieri nella sua stanza d’ospedale durante la degenza per i colpi subiti.
Proprio quel giorno, il 31 luglio del 2006, il figlio neonato di Pelle era stato portato a casa, ad Africo, per la prima volta.
La strage di Natale e quella in Germania
Il clima a San Luca è pesante come non mai in quei giorni, persino il ramo dei Pelle “Gambazza” tenta di mediare con il boss ferito per evitare nuovo sangue, ma senza risultato. Nel pomeriggio del giorno di Natale del 2006 infatti, un gruppo armato fino ai denti si presenta davanti al n. 150 di via Corrado Alvaro, a San Luca, la casa del boss Giuseppe Nirta, capocosca dei “Versu”. Sono decine i colpi esplosi che uccidono Maria Strangio, moglie di Giovanni Luca Nirta, vero obiettivo del commando di fuoco che intendeva vendicare il ferimento di Pakistan, e feriscono in modo grave altre tre persone, tra un cui un bambino di 4 anni.
Sarà proprio la strage di Natale a costare la condanna a fine pena mai per il boss di San Luca, che di quell’azione è stato considerato il mandante. Passano pochi mesi, a San Luca si continua a morire (ma in quel periodo erano attive anche le faide tra i Cataldo e i Cordì a Locri e quella tra i Commisso e i Costa a Siderno) ma è in Germania che la vendetta assumerà i termini più tremendi. A Duisburg, duemila e passa chilometri dal paesino arroccato in Aspromonte, vengono trucidati in sei. A guidare il commando, Giovanni Strangio, giovane fratello della donna morta ammazzata pochi mesi prima. Sarà l’atto finale della faida della Montagna, una follia di violenza senza senso che oggi, con l’arrivo in manette a Ciampino di Ciccio Pakistan, può, forse, ritenersi definitivamente chiusa.