Il 22 marzo 2023, in Australia, sul canale commerciale Channel 9, è andato in onda The Hit, un episodio del programma Under Investigation, che in stile talk-show si occupa di riconsiderare, riaprire e discutere le prove su casi criminali controversi, finiti male o non ancora del tutto finiti.
Chi ha ucciso il superpoliziotto Winchester?
The Hit, anche disponibile su YouTube, si pone due domande chiare: chi ha ucciso Colin Winchester, Assistant Commissioner della Polizia Federale Australiana (AFP), il 10 gennaio del 1989? E un’altra domanda che fa rabbrividire: e se la mafia l’avesse fatta franca nell’omicidio di un poliziotto d’alto rango? Siccome siamo in Australia, ed era il 1989, mafia significa Honoured Society, l’Onorata Società, quindi la ‘ndrangheta.
Riaprite questo caso
A questo talk-show per Under Investigation ho partecipato da remoto, come accademica esperta di ‘ndrangheta: ma ero affiancata da persone che il caso Winchester lo conoscono molto bene: Terry O’Donnell, uno degli avvocati di David Eastman, colui che per anni è stato considerato il colpevole dell’omicidio, poi scarcerato con tante scuse; Jim Slade, un ex capo dell’intelligence nel Queensland vicino alle indagini, e un altro avvocato, Geoffrey Watson, coinvolto nel caso in vari momenti per assicurarne l’integrità. L’obiettivo – guidato primariamente da Watson, non è solo raccontare il caso, ma chiedere ufficialmente che si apra un’inchiesta pubblica sull’omicidio Winchester che, ad oggi, risulta non solo impunito, ma praticamente “chiuso”.

La Polizia federale australiana: non ci sono prove
La AFP ha infatti dichiarato nel luglio 2022, in seguito a una serie di articoli che ripercorrevano alcuni degli indizi della cosiddetta pista mafiosa nel caso: «L’AFP non ha riaperto i fascicoli precedentemente chiusi sull’assassinio di Winchester. Non ci sono prove che suggeriscano che la criminalità organizzata italiana sia responsabile della morte di uno dei nostri, il vicecommissario Colin Winchester. I nostri pensieri sono sempre rivolti alla famiglia Winchester».
Nello stesso documento si legge: «L’AFP vuole essere chiara: non c’è alcun esame, rapporto o intelligence recente dell’AFP che suggerisca che la mafia sia responsabile dell’omicidio dell’ex vicecommissario Winchester. Non c’è alcuna indagine aperta su questa vicenda. Non è in corso di revisione».
Winchester, ‘ndrangheta e Rapporto Martin
Il caso Winchester è piuttosto complicato dopo decenni di tira e molla giudiziari. Un funzionario pubblico, David Eastman, fu condannato per l’omicidio nel 1995, ma 20 anni dopo, nel 2014, a seguito di una Commissione d’Inchiesta (“Rapporto Martin”), un tribunale ha ordinato un nuovo processo e ha riaperto il caso. Il rapporto disse che altre piste investigative non erano state esplorate a fondo; alcune cose erano state attivamente insabbiate. C’erano, tra queste, anche alcune “piste calabresi”. Il 22 novembre 2018, la giuria del nuovo processo dichiarò Eastman non colpevole dell’omicidio. Eastman, che aveva intanto scontato 19 anni di detenzione, ottenne un risarcimento di 7 milioni di dollari australiani nell’ottobre 2019: il caso collassò per problemi legati all’ammissione delle prove, e soprattutto perché ai tempi dell’indagine le forze di polizia avevano avuto una cosiddetta tunnel vision e non avevano adeguatamente escluso altre piste investigative.

I calabresi coinvolti nella produzione di droga
Il Rapporto Martin aveva descritto come Winchester fosse percepito come un poliziotto corrotto da alcune famiglie di origine calabrese coinvolte nella produzione di droga. Si tratta di famiglie della zona della Riverina Valley, in particolare legate ai clan di Platì stabilitisi a Griffith, nel Nuovo Galles del Sud. Questi clan hanno fatto la storia della mafia italiana in Australia, in quanto coinvolti in altri eventi “misteriosi” della storia australiana, indirettamente o direttamente. Tali clan, disse l’inchiesta, avrebbero ritenuto che Winchester – corrotto – avesse fallito nel proteggerli, come aveva invece promesso di fare – lasciandoli quindi esposti al controllo della polizia. Erano gli anni delle operazioni Bungadore 1 e 2, condotte da Winchester quando era ancora nella polizia a Canberra, prima della promozione a vice-commissario, sulle piantagioni di cannabis nella Riverina Valley, a firma Sergi-Barbaro-Trimboli.
Ammazzato prima del processo
Winchester fu ucciso due settimane prima dall’inizio dei processi per Bungadore, contro alcuni calabresi ‘ndranghetisti. Giuseppe Verduci, che era l’informatore primario di Winchester – colui che forse faceva il doppio gioco tra i clan e la polizia – si rifiutò di testimoniare a processo per paura, e il processo di fatto finì in un nulla di fatto.
La pista di mafia, però, fu eliminata quasi subito dalla polizia federale che gestiva l’indagine. Un misto tra difficoltà investigative e possibili insabbiamenti. Non tutti all’epoca si trovarono d’accordo con l’abbandono della pista mafiosa. Per esempio, si legge in una dichiarazione dell’Australian Bureau of Criminal Intelligence del dicembre 1990: «L’omicidio del vicecommissario Winchester, avvenuto il 10 gennaio 1989, è stato commesso da, o per conto di, un gruppo organizzato di italiani, residenti a Griffith e Canberra per proteggere i beni e la libertà delle persone coinvolte nella produzione e commercializzazione su larga scala della canapa indiana in Australia».

I soliti sospetti
Dello stesso avviso si era in Italia, dove l’omicidio viene infatti annoverato tra i reati di ‘ndrangheta. I dati del rapporto Martin sulla pista calabrese citano i soliti sospetti: membri della famiglia Barbaro-Sergi a Griffith e Melbourne; noti esponenti della criminalità organizzata italo-calabrese con cognomi importanti – Pelle, Nirta, Tizzoni – tutti affiliati a clan mafiosi estremamente noti in Calabria nel locale di Platì, tutti intrecciati in reti familiari e d’affari, come rivelato anche in Australia proprio nelle operazioni Bungadore 1 e 2 e da altre indagini, ad esempio, in occasione della scomparsa (e presunto omicidio) dell’attivista e politico Donald MacKay, nel 1977, a Griffith, commissionato – disse una Royal Inquiry del tempo – dai clan Sergi-Barbaro-Trimboli. Anche in quel caso non si arrivò a un processo penale.
Winchester, ‘ndrangheta nella pista calabrese?
C’è comunque una pistola abbastanza fumante, quanto meno come pista investigativa, in tutta questa storia. Riguarda un’altra indagine, l’Operazione Seville, un’operazione congiunta dell’AFP di Canberra e della polizia del Nuovo Galles del Sud, all’inizio degli anni ’80 sulla produzione di canapa indiana all’interno della comunità italiana. Nei file di Seville – che ho visionato nel 2017 quando ho espresso un parere da esperta per la difesa di David Eastman nell’ultima parte del processo che poi lo avrebbe assolto – c’è un documento redatto dai Carabinieri, in Calabria, il 25 gennaio 1989, sei mesi prima dell’omicidio Winchester. Due individui, B. Musitano e G. Ielasi, dice il documento, sarebbero partiti dall’Italia, da Platì, per commettere l’omicidio di un poliziotto, dicono le autorità italiane. I Carabinieri avevano inviato queste informazioni all’AFP dicendo che l’atto sarebbe stato compiuto per “riscattare l’onore della famiglia”.

Le autorità italiane avevano avvertito
Le autorità italiane avevano dunque avvertito che «B. Musitano è noto per le sue associazioni di ‘ndranghita [sic]» ed era considerato una «persona pericolosa a causa del suo background familiare». Inoltre, era un abile maneggiatore di armi. Il 12 giugno 1989, un mese prima dell’omicidio, le autorità italiane inviarono ulteriori informazioni, informando che Musitano era stato mandato in Australia per uccidere il vicecommissario Winchester e che erano stati presi accordi per farlo rimanere in Australia e sposare una residente australiana. Ulteriori dettagli fanno poi riflettere. I carabinieri dicono che Musitano fosse già stato in Australia in passato, nel 1985, per pagare quel «capo della polizia» (che sarebbe Winchester) corrotto, e per garantire, grazie a lui, il passaggio della droga. Musitano dovette poi tornare in Italia ma, quando Winchester apparentemente non accettò la tangente, Musitano tornò per ucciderlo.
Tutto ciò fu incluso nell’Operazione Peat del 1989 che era sottotitolata “Sospetti di coinvolgimento della criminalità organizzata calabrese nell’omicidio del vicecommissario Colin Stanley Winchester”. Sembra ovvio chiedersi, come è possibile che queste informazioni non abbiano ribaltato all’epoca l’intero caso, se non altro per introdurre un ragionevole dubbio nel processo contro Eastman?

Musitano e Ielasi
Operazione Peat si concluse e all’epoca l’AFP dichiarò di non aver trovato «alcuna prova concreta a sostegno delle informazioni ricevute» anche se «le informazioni di Musitano/Ielasi sono state l’indicazione più promettente fino ad oggi che l’omicidio sia stato organizzato ed eseguito da elementi della criminalità organizzata calabrese». Qualche riscontro emerse però in seguito: Musitano aveva parenti a Melbourne – nella famiglia Barbaro – e ad Adelaide – nella famiglia Perre; fu arrestato nel 1993 per produzione di stupefacenti nell’HIdden Valley, in un’organizzazione criminale di matrice ‘ndranghetista guidata da Domenic Perre (e la storia di Perre e un’altra delle storie significative australiane). Ielasi, l’altro uomo citato dalle autorità italiane, rimase invece a Melbourne.
Troppi ragionevoli dubbi
Ad oggi i dubbi sono tanti. Ci sono dubbi sul fatto che Winchester fosse o meno corrotto; ci sono dubbi che Verduci, il suo informatore, fosse effettivamente affidabile per Winchester; ci sono i processi falliti di Bungadore 1 e 2; ci sono i documenti dalla Calabria; e c’è, infine, oggi, ma non c’era forse ieri, la consapevolezza che in quegli anni quei clan e in quella zona dell’Australia erano effettivamente all’apice del proprio potere, criminale, sociale, economico ma anche e soprattutto politico.
Al netto dei dubbi c’è forse una certezza: dopo 34 anni, l’omicidio di uno dei poliziotti più titolati e più senior d’Australia al suo tempo, vicecommissario della polizia federale, non dovrebbe poter rimanere insoluto, che ci sia di mezzo la ‘ndrangheta o meno.