Che Calabria è e che città è quella che si chiama Vibo Valentia?
Vibo è un altro di quei luoghi che mi interroga ogni volta che ci rimetto piede. Specie da quando è diventata capoluogo della sua omonima, e sparutissima, provincia. Un territorio che fa in tutto 150.000 abitanti sparpagliati in 50 Comuni e comunelli disseminati tra le Serre e le marine del Tirreno.
Lo stesso capoluogo è poco più di un paesone, con una sua certa araldica, se rievochiamo i suoi tanti nomi (Hipponion, Valentia, Monteleone) e il passato. Ma oggi?
Il crollo demografico
Oggi conta un po’ più di 30.000 abitanti ed è in drastico calo demografico come il resto della regione, nonostante quasi 1.700 stranieri residenti. Però Vibo Valentia è “il comune più popoloso della cosiddetta Costa degli Dei”. Il maggiore distretto turistico calabrese, dove la ’ndrangheta è monopolista. E fa affari d’oro tra alberghi a 5 stelle, ristoranti e resort di lusso da Nicotera a Tropea, fino a Pizzo Calabro.
In Calabria – vuoi mettere? – ci si consola con i nomi aulici e si convocano gli Dei a ogni piè sospinto. Specie se il presente lascia invece poche speranze all’immaginazione. E rende opaca la sorte di intere comunità per il futuro prossimo e quello venturo.
Il disastro urbanistico
Capisci il senso dei luoghi già dalle strade malmesse che – dal tronco della Statale 18, alla provinciale che sale da Porto Salvo e Triparni all’ingresso di Vibo Sud – sono cosparse ai lati da mucchi di rottami sparpagliati ovunque. A tacere del trionfante disordine urbanistico che precede il centro città, lungo Viale Affaccio.
Un posto certamente ricco di passato Vibo. Ma un passato remoto saccheggiato, svisto, trascurato con stizza e con disprezzo dagli abitatori moderni.
Che qui tutto cancellano nella fretta smemorata e oltraggiosa dell’oggi.
Gli dei non abitano più qui
Arrivato in cima alla vecchia Vibo, mi guardo intorno dal piazzale antistante alla tetra muraglia del Castello normanno-svevo, sede del Museo Archeologico Statale intitolato a Vito Capialbi, che conserva cose bellissime in sale drammaticamente deserte. E guardandomi intorno a giro d’orizzonte dal posto dove fu costruita probabilmente l’Acropoli dell’antica Hipponion dei greci mi sono chiesto: «Ma gli Dei da queste parti da quanto tempo non ci mettono più piede?».
Di sicuro non si vedono da qualche millennio. Dai tempi della polis fondata dai locresi tra il VI e l’inizio del V sec. a.C. che guidò una guerra contro Crotone, come ricorda Tucidide.
Oggi tutto quel che resta delle monumentali mura greche di Hipponion è seppellito sotto intrichi di rovi ed erbacce. Altri pezzi stanno al riparo di una tettoia di lamiera. Quasi misconosciuti ai più, soprattutto agli ingrati abitanti del luogo. Un’assurdità. Un avanzo di storia millenaria sperso in mezzo alla campagna aggredita dai palazzoni della periferia.
Brutture postmoderne
Cubi di calcestruzzo dalle forme più bizzarre e pretenziose tirati su alla buona dalla speculazione degli anni d’oro del mattone, età che qui non sembra conoscere tramonto. Le divinità del mattone e del cemento pressofuso regnano da queste parti. La dea Speculazione spadroneggia indisturbata.
Tutto sottosopra. Il passato classico e le memorie monumentali, greche e romane, oberate da un presente di cemento armato e casermoni a spaglio, villette sgraziate, cooperative di abusivi condonati e in attesa di condono.
In quartieri che si chiamano “Moderata Durant”, “Cancello Rosso”, “Feudotto”. Terre di nessuno abbandonate al proprio destino. Esempi sommi di urbanistica disperata e arraffona, dove nel 2022 ancora manca l’acqua. Ma non è il presente che qui sembra fare più scandalo. Il passato da queste parti è considerato invece una maledizione da cui non ci si libera in fretta. Preferibilmente a colpi di ruspa, come si suole fare per non intralciare affari e speculazioni a buon mercato.
Guai agli onesti
Chi sta con lo Stato e la cultura e si oppone allo scempio non se la passa bene a Vibo. Ne sa qualcosa Maria Teresa Iannelli, archeologa e solerte funzionaria del Mibact.
Iannelli ha subito minacce e soprusi per sottrarre i resti antica Hipponion dalla furia degli speculatori alla Cetto la Qualunque che qui spadroneggiano.
Non è una piazza decisamente sensibile anche ad altre sfumature della cultura la città che fu dell’euruditissimo barone-archeologo Vito Capialbi.
Né conserva un bel ricordo di Vibo Valentia Christian de Sica. In una recente intervista, l’attore ha richiamato un suo souvenir “teatrale” del capoluogo: «Avevo 21 anni e conducevo una serata a Vibo Valentia, con giacca rosa e capelli lunghi. Cantavo una canzone francese, Chaînes, cioè “Catene”, mentre la gente dalla platea mi urlava “Ricchione”. Da allora a Vibo non c’ho più rimesso piede».
Si muore male e si vive peggio
C’è poco da stare allegri in quanto a sensibilità civili. L’aria che si respira in città sembra ovattata dalle abitudini, da una acquiescenza al peggio diventata folclore e stile di vita.
A guardarla da fuori, dalla poco lusinghiera classifica stilata da Italia Oggi sino ai più recenti reportage delle grandi testate, Vibo sembra un’emergenza più nazionale che regionale. È la provincia d’Italia in cui si registrano più omicidi. E, neanche a dirlo, anche quella messa peggio per qualità della vita.
Nicola Gratteri l’ha definito il territorio a più alta densità mafiosa del Paese. E, con recenti conferme dalle inchieste, è anche una le città più massoniche d’Italia.
Terra di grembiuli e ’ndrine
Ci sono ben dodici logge su una popolazione risicata. Sono invece ben sedici le ’ndrine censite dalla Dia in un rapporto semestrale del 2018.
Altri dati certificano un quadro a dir poco fosco. Il 30% delle aziende della provincia è stato confiscato dalle autorità negli ultimi 10 anni per infiltrazioni e contiguità con le ’ndrine.
Vibo ha celebrato con gran pompa la proclamazione a Città del Libro 2021. Ma risulta che più di due ragazzi su dieci lasciano la scuola entro i 15 anni.
L’ospedale Jazzolino, tristemente famoso per episodi di malasanità tragicamente frequenti e per corruzione amministrativa, cade a pezzi e se ne reclama uno nuovo.
Per giunta, anche il tribunale, simbolo dei poteri legali che qui da sempre faticano ad attecchire, versa in una situazione altrettanto critica. E lo Stato ha collocato stabilmente una caserma di “Cacciatori”, il corpo dei carabinieri a elevatissima specializzazione anticrimine, che stana ‘ndranghetisti e mafiosi latitanti.
Abusi e caos
Invece prosperano in ogni angolo di Vibo gli abusi urbanistici, le discariche, le strade che si perdono nel caos, i cartelli stradali completamente cancellati e ricoperti dalla vegetazione.
L’occhio basta a cogliere molti aspetti del degrado. Ancor prima di registrare i pochi, timorosi, commenti raccolti dei cittadini perbene che ancora sopravvivono a fatica in questa città. Dichiarazioni da stato di assedio. In quasi tutti prevale il risentimento o la rassegnazione: «Senza sanità, trasporti, lavoro. Qui stiamo peggio degli africani che sbarcano alla marina».
Oppure qualcuno più preoccupato delle sorti civiche: «Qui ormai la delinquenza sta vincendo su tutto, e i politici sono pure peggio dei mafiosi, non ci sono speranze».
Troppe banche per tanti poveri
Percorrendo le strade del centro sono molte le saracinesche abbassate e le insegne di negozi chiusi. Mentre proliferano, apertissime e animate da giovani vocianti, le numerose sale per slot e i centri per scommesse sul corso principale e nelle adiacenze.
E c’è una quantità sospetta di sportelli bancari. Troppi per una città in cui il reddito medio (dichiarato) è spesso molto al sotto la soglia di povertà. «Questa città non ha futuro», commenta sconsolato un piccolo imprenditore, «e ai miei figli ho chiesto io di allontanarsi da qui finché sono in tempo».
I ricordi di Prestia
Così prosegue il lento, inarrestabile declino di una città che un tempo era un «belvedere, un giardino fiorito su un mare di storia e di bellezze».
Me lo racconta Mario Prestia, ingegnere idraulico, perito nelle inchieste per le alluvioni che negli anni scorsi hanno fatto danni e morti nella zona marina di Vibo, a causa degli abusi sfrenati e del saccheggio sistematico di un territorio bello quanto fragile.
Prestia è anche figlio di uno scultore notevolissimo: Gregorio Prestia, che a Vibo pare non aver lasciato tracce ed eredità culturali. Né e andata meglio al più noto e famoso pittore Enotrio Pugliese,
È doloroso ammettere che oggi Vibo Valentia registra una serie incredibile di tristi primati.
È una realtà decisamente ostile ai cambiamenti, in netta controtendenza rispetto anche agli alfieri della “restanza”, la testimonianza di una fedeltà alle radici a tutti i costi che sa di lezione ex cathedra. Quando a restare sono, invece, troppo spesso, i peggiori.
Il teatro dell’assurdo
Negli ultimi 15 anni oltre 180.000 calabresi sotto i 35 anni hanno abbandonato le proprie residenze. E il Vibonese è stabilmente in testa all’esodo.
Molte migliaia di ragazzi e ragazze, con un titolo di studio superiore o universitario, hanno abbandonato la città per cercare altrove un futuro migliore.
A Vibo Valentia restano gli inossidabili simulacri di socialità rappresentati da Rotary e Lions, con le loro azzimate riunioni periodiche, i riti associativi che tra inni e gagliardetti raccolgono il pubblico-bene, sempre in grande spolvero nei saloni dello storico Hotel 501.
Chi non si rassegna continua invece a organizzare cultura dal basso nell’isolamento. Una specie di deserto dell’ascolto e dell’attenzione, come nel teatro dell’assurdo alla Ionesco. Le iniziative tese a risvegliare la città dal torpore cadono nel vuoto spessissimo. O, peggio, nell’irrisione, che parla sempre in dialetto forte e fangoso, e usa spesso toni offensivi.
Gli sforzi delle associazioni
«Dobbiamo essere bravi – mi dice un operatore culturale impegnato nell’associazionismo cattolico cittadino – a far capire che l’omertà e un certo modo di vivere i rapporti col prossimo genera mostri. Bisogna combattere le minacce, e soprattutto il codice mafioso del silenzio che qui è la regola».
Queste parole contraddicono le dichiarazioni rassicuranti rese tempo fa dall’ex sindaco Elio Costa, ex magistrato.
Interpellato in un’intervista sul peso imbarazzante dei poteri criminali nella vita di Vibo Valentia, Costa rispondeva mostrando con ammirazione il mare e lo Stromboli all’orizzonte. E alla replica, «Bello, sì, però la ‘ndrangheta?», rispondeva: «C’è, però la maggior parte degli affari li fa altrove…».
Un brutto ricordo
Ho un ricordo particolarmente sconfortante di una delle ultime volte che passai da Vibo per trovare degli amici. Nei pressi di un incrocio del centro, fui tamponato, del tutto incolpevolmente, da un guidatore distratto dal telefonino che rispettò lo stop.
I danni al mezzo erano mei, alla sua auto neanche un graffio. Ma questi non si scompose.
Chiamai i vigili per un accertamento del sinistro. Il vigile arrivò, mi squadrò e diede un’occhiata d’intesa all’investitore. Per tutto il tempo si parlarono in un dialetto strettissimo. Protestai. Ma il suo intento era però chiarissimo. Giocavo fuori casa, e quel tizio doveva essere uno conosciuto: alla fine mi trovai dalla parte del torto. Come Vibo.