L’analisi del derby Cosenza-Reggina (0 a 1) a due giorni di distanza dal triplice fischio finale, più che aggiungere elementi nuovi alla narrazione, rischia di trasformarsi in un esercizio di stile retorico fine a sé stesso. Proverò a non cadere nella trappola dicendo subito ciò che probabilmente venerdì sera avrà pensato un calabrese su due: la partita è stata brutta, bruttissima, come quasi tutte quelle di una categoria, la B, che da circa un ventennio a questa parte, viene definita una A2 da esperti del settore, o pseudo tali, privi di fantasia. Come se la serie A, poi, fosse un campionato di fenomeni, con De Sciglio e Bernardeschi titolari della Juve e una marea di 40enni che dettano legge sotto porta.
Al “San Vito-Marulla” l’altra sera il clima era ideale per una sfida d’altri tempi. Piovigginava senza fastidio, i gradi erano una quindicina e sugli spalti lo show offerto dai paganti era – quello sì – di categoria superiore. Tutto questo avrebbe meritato giocate d’alta scuola e divertimento. Invece no. La squadra più forte ha vinto senza dannarsi l’anima, mentre chi ha perso non lo ha fatto a testa alta. Anzi.
Un vincitore, due delusioni
D’altronde, che la direzione dell’evento fosse questa si era capito già alla vigilia della partita guardando in faccia i due allenatori. Da una parte Aglietti, sicuro dei fatti suoi a tal punto da strapazzare pubblicamente uno come Jeremy Menez («È fuori dai radar»). Dall’altra Zaffaroni, pensieroso e teso come una corda di violino ancora prima di aprire bocca.
Insomma, due conferenze stampa le loro più rivelatrici di quelle messe in scena nel dopo gara. Eppure, nonostante sia emerso un vincitore, entrambe hanno deluso.
Certo, criticare una squadra come la Reggina (22 punti e vetta della classifica assaporata per qualche ora) sarebbe da folli. Ma da una rosa come quella amaranto, che può permettersi di snobbare uno come Menez, sarebbe stata gradita una recita migliore. Anche perché di fronte aveva un Cosenza piccolo piccolo. Senza la difesa titolare, con una mediana incapace di fare più di due passaggi di fila e un attacco abbandonato al suo destino.
Rossoblù e amaranto
Approfondendo un po’ il discorso sui rossoblù, lascia perpless il cambio di mentalità delle ultime settimane, da propositivo a totalmente rinunciatario. A fine agosto il ds Goretti e Zaffaroni sostenevano che il vero Cosenza sarebbe venuto fuori tra la metà di ottobre e i primi di novembre. Fino a quel momento, dunque, bisognava arrabattarsi alla meno peggio. Invece, a novembre i Lupi ci sono arrivati rimpiangendo il mese e mezzo precedente quando lo stile della manovra era nettamente più ragionato. Non si tirava a campare di palle lunghe e pedalare e la saggezza tattica di Palmiero (voto 5), in coppia con Carraro, permetteva di immaginare un futuro migliore. Ovviamente non è ancora il caso di spaventarsi.
Per chi avesse la memoria corta, c’è da rammentare come un mantra l’inizio di stagione ad handicap e le assenze pesanti dei vari Vaisanen, Tiritiello, Boultam, Bittante, Eyango e Anderson. A volte, però, pur riconoscendo l’ottimo lavoro svolto da Zaffaroni (voto 5,5), viene il dubbio sul perché si debba insistere su certe scelte. Vedi Corsi a sinistra, Gerbo centrocampista e non esterno destro (suo ruolo, ben interpretato, negli ultimi tre anni) e Millico in campo una manciata di minuti.
Tornando alla Reggina, l’ha spuntata con esperienza, solidità difensiva e compattezza tra reparti. Un po’ meno con la fantasia, lasciata a farsi esami di coscienza in panchina (e non mi riferisco al solo Menez). La squadra ha mantenuto con facilità il possesso palla rendendosi pericolosa quasi mai. Questo a conferma che lì davanti, nonostante i grandi nomi, non tutto fila come dovrebbe. I tredici gol in campionato sono poca roba se si vuole puntare in alto. Ecco perché fa bene Aglietti (voto 6,5) a non esaltarsi troppo. La strada che avvicina la città al ritorno in serie A non è ancora così delineata come qualcuno, tra i soliti esperti del settore o pseudo tali, vorrebbe far credere.
Il tagliagole
Due dei tredici gol reggini stagionali li ha messi a segno Adriano Montalto, match winner del derby e titolare poco fisso di Aglietti. Che, però, quando vede il Cosenza si rianima. Due anni fa, con la maglia del Venezia, fu protagonista di un siparietto nervoso con il portiere dei silani Pietro Perina. Rigore realizzato ed esultanza non apprezzata dall’avversario, con tanto di rissa sfiorata. In quell’occasione l’attaccante di Erice, provincia di Trapani, disse che il gesto di mimare uno sgozzamento dopo un gol gli appartiene da sempre. Non è un caso che il suo soprannome sia proprio il “tagliagole” (contento lui). Al “San Vito-Marulla” lo ha riproposto sotto il settore dei suoi sostenitori.
Voto 7,5 alla coerenza del killer.
I presidenti
Nel post derby si sono rivolti ai rispettivi popoli. Luca Gallo con un tweet, Eugenio Guarascio con una nota stampa. Il patron amaranto ha sottolineato il successo storico della Reggina a Cosenza a vent’anni dopo l’ultima volta: rete di Bogdani al San Vito e promozione in serie A a fine stagione. «Un’altra pagina di storia – ha cinguettato – da regalare alla tifoseria» che lo ama.
L’imprenditore lametino ha ringraziato la città, che non lo sopporta, per aver «regalato un grande spettacolo alla Calabria intera» e alle sue tasche (8.506 spettatori).
Ruffiani entrambi, con le dovute differenze di linguaggio e di ambizioni.
Voto 6 ai regali che ognuno può permettersi di fare.
Crotone triste ma ancora vivo
Se si parla di regali, non si può evitare di pensare anche al Crotone. Prima della sfida dello “Scida” contro il Monza bello senz’anima di Berlusconi e Galliani, parlando con i cronisti Pasquale Marino (voto 6,5) aveva deciso di partire dalle basi: «Le vittorie bisogna cercarle, non arrivano da sole». Un’ovvietà gigantesca che, però, sarà stata trasferita ai suoi calciatori con un tono di voce da attore consumato. Le conseguenze si sono viste in campo. Soprattutto nel secondo tempo: gioco arrembante, azioni da gol e, soprattutto, tanto cuore. Peccato soltanto (e qui ritorna il tema dei regali) per l’immancabile incertezza difensiva che ha permesso ai brianzoli di passare in vantaggio con Colpani.
Il gol del definitivo 1 a 1 di Donsah (voto 7) a pochi passi dal 90’ è stato accolto come una liberazione, ma resta l’amarezza per una partita giocata alla grande e non vinta. La classifica resta deficitaria e piccoli passi e complimenti nel calcio non servono a niente. In casi come questo, per non buttare tutto a mare e lasciarsi mangiare dalla depressione, l’unica cosa da fare è affidarsi ai progressi che, almeno questa volta, non sono stati pochi. Uno su tutti, il cambio di modulo. Il 4-3-3 con cui i pitagorici si sono opposti alla squadra dell’ex Stroppa ha fatto capire che la difesa a tre proposta testardamente da Modesto era un’idea sbagliata. Per strada si sono persi punti e sicurezze che il tecnico di Marsala dovrà ora recuperare alla velocità della luce. Ha l’esperienza e il carisma per farlo. Ma ancora non è chiaro se il giovane materiale umano a sua disposizione saprà seguirlo fino in fondo.
Il Catanzaro stavolta esulta
Chiudo con la serie C. La prima notizia che mi va di dare è la seguente: la maledizione della mancata esultanza dopo un gol del Catanzaro si è interrotta. Dopo il no ai festeggiamenti di Cianci contro il suo Bari e di Curiale in Coppa contro il Palermo, oggi i calciatori giallorossi hanno riassaporato il gusto della gioia alla Tardelli. Contro il Messina (2 a 0 il risultato finale di una gara iniziata in ritardo per la presunta positività al Covid di un peloritano) a sbloccare l’incantesimo ci ha pensato Carlini (voto 7), seguito a ruota da Vandeputte (6,5). Palla in rete e urla, abbracci e testa alta.
La seconda notizia è il ritorno al successo in campionato delle Aquile. Meritato, anche se la prestazione, specie in fase di impostazione, non è stata indimenticabile. Contava solo vincere per riagguantare il secondo posto perso in terra pugliese una settimana fa. Obiettivo raggiunto anche grazie alla Vibonese che sabato in casa ha bloccato sul pareggio (1 a 1) il Monopoli, avanti tre punti sui giallorossi. Nelle ultime sei partite, i ragazzi di D’Agostino (voto 6 per non essersi fatto condizionare dai malumori dell’ambiente) hanno raccolto una vittoria, una sconfitta col Palermo e quattro pareggi. Pensando a com’erano partiti, c’è da tirare un sospiro di sollievo. Non lunghissimo però. Se i segnali positivi emersi di recente non sono ancora bastati a lasciare i bassifondi del girone, vuol dire che alla base c’è un progetto fallimentare (voto 4 a chi prometteva una annata esaltante). Da salvare con ogni mezzo a disposizione.