GENTE IN ASPROMONTE | A spasso nel tempo: quando il trekking insegna il passato, ma senza cliché

Si può raccontare un territorio bello e maledetto senza cascare negli stereotipi o negare le evidenze? Ci hanno provato un generale dei Carabinieri e un pioniere dell'escursionismo con la loro "Guida all’Aspromonte misterioso – Sentieri e storie della montagna arcaica". Tra briganti, sequestri, meraviglie della natura e speranza

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In questo mio vagare per la Montagna, mi sono chiesto più volte se ci fosse un modo corretto di raccontarla e, se sì, quale fosse. Dopo un anno di peregrinare, portato a volte dalla casualità, altre dal passaparola, altre ancora da contatti che avevo o che sono arrivati, mi sono accorto che il modo più giusto era quello dettato assieme da intuito, curiosità e flusso. E con flusso intendo la capacità di farsi trasportare verso un apparentemente noto in grado di farsi ignoto. Ripulendosi, in un certo senso, gli occhi e la bocca, per tutto quanto, pur guardandolo, non era stato visto. Pur udendolo, non era stato ascoltato. Pur contemplandolo, non era stato colto. Perché, crogiolandosi nella familiarità di schemi cognitivi confortevoli, che consentono di inferire sommariamente risparmiando energie, spesso ci si accomoda. Ma tale comodità ha un prezzo alto: lo stereotipo.
Chi invece si è battuto contro questa tendenza che spesso porta ad oscillare tra sciovinismo e manicheismo non è né un ritornato, né un restato. Ma un arrivato. Che poi, a modo suo, è diventato un ritornante e con il quale ho condiviso diversi momenti, più o meno lunghi, di confronto e riflessione: il generale Giuseppe Battaglia.

Storia e geografia

Oggi consulente presso la Commissione Europea, emiliano di origine, è un uomo di legge e di passioni. «Sono stato assegnato al Comando provinciale dei Carabinieri di Reggio Calabria per un caso fortuito. La mia destinazione doveva essere Milano. Ho obbedito ai comandi e mi sono ritrovato in una terra inaspettata e sorprendente, dove ho avuto la fortuna di incontrare l’Aspromonte e i suoi sentieri. L’ho battuto palmo a palmo, vivendolo e respirandolo, ora per lavoro ora per diporto. Il primo alimentava il secondo e viceversa. Appena posso, vi torno sempre. Per quanto abbia girato, non ho mai scovato altrove ciò che ho trovato in Aspromonte: una terra primordiale, selvaggia, ancorata a un’antropologia, a tradizioni e a culture complesse che troppo facilmente sono state etichettate».
Grande appassionato di alpinismo, esploratore e viaggiatore, per il generale tutto ruota attorno un concetto semplice: «La geografia viene prima della storia, la plasma e l’ha sempre indirizzata. È così che l’Aspromonte deve essere osservato e analizzato». Col generale ho camminato, ho viaggiato e ho anche affrontato l’esperienza di Polsi che tratterò nella prossima puntata.

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Antonio Barca con la moglie Marie Therese Italiano

Siamo al rifugio Il Biancospino, gestito da altri due pezzi da novanta, Antonio Barca e la moglie Marie Therese Italiano: uno dei luoghi incantati della Montagna, nascosto tra i Piani di Carmelia nel territorio di Delianuova. Lo ha costruito a mano lo stesso Antonio, pezzo dopo pezzo. In occasione della presentazione del libro Guida all’Aspromonte misterioso – Sentieri e storie della montagna arcaica si è radunata una piccola folla di appassionati. Battaglia ne è l’autore insieme ad Alfonso Picone Chiodo, scrittore, fotografo, ricercatore, trekker, alpinista, agronomo. Restato di questa puntata, primo tra i primi camminatori degli anni Ottanta e tra i primi a intravedere le opportunità di questo territorio.

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La copertina del libro scritto da Battaglia e Picone Chiodo

La Calabria brutta e cattiva

«Tornare qui a fare questa presentazione è una fortissima emozione. Si tratta del luogo in cui sono stato accolto come un pellegrino. Perché – inizia Battaglia – pellegrino lo sono stato davvero. La mia storia è cambiata nel 2017, l’anno della riunificazione del Corpo Forestale dello Stato coi Carabinieri. Durante la ricerca di alcune piantagioni alcuni operai forestali si persero in località Ferraina, piena zona A del Parco. Un caso molto imbarazzante per il Comando Generale a un mese dall’accorpamento. Anche perché si trattava del comune di Africo, stereotipo della Calabria brutta e cattiva. Durante un viaggio col Comandante Generale che stava assegnando le destinazioni dei provinciali (comandanti, ndr.), quegli si ricordò che sono un alpinista: da Milano mi dirottò a Reggio Calabria, dove c’era tutto un territorio da esplorare e serviva gente esperta. A distanza di anni mi colpisce ancora che, dalle prime ricerche che effettuai per documentarmi su un territorio a me ignoto, emerse una narrazione nera. Negativa. Nemmeno il sito dell’Ente Parco conteneva informazioni aggiornate».

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Il generale Giuseppe Battaglia

Drammatica bellezza

«Il mio primo giorno di incarico, il 5 ottobre, lo trascorsi a Polsi – prosegue Battaglia – dove c’era la chiusura dell’anno liturgico. Chi conosce i luoghi sa quanto lunghe e impervie siano le uniche due strade che arrivano al santuario. Fu un’epifania. Non facevo altro che fermarmi per potere scattare delle foto. Il mio primo contatto diretto con l’Aspromonte si consumò all’insegna di una drammatica bellezza. Iniziai poi un’attività di esplorazione sistematica di tutte le stazioni, dalle alture al mare, constatando che ogni vallata aveva una storia peculiare, diversa dall’altra. Avevo bisogno di battere quelle vaste aree palmo a palmo per potere operare. Mi resi conto di due cose: constatai quanto complesso e articolato fosse il territorio di Reggio ed ebbi la conferma che ogni cosa – nel bene e nel male – aveva una sua radice geografica. Se una certa famiglia aveva tenuto cinque sequestrati nel suo territorio, non era un caso: quel nucleo gestiva una determinata porzione di territorio ben noto che gli consentiva di latitare e di tenere sotto diretto controllo i rapiti».

La Guida ai sentieri dell’Aspromonte

È una giornata di metà autunno. Il tempo non si decide a volgere al meglio o al peggio e resta sospeso. Frescheggia nonostante sia l’ora di pranzo. Nell’ampio giardino del rifugio Teresa e Antonio hanno allestito un salottino con sedute rustiche e comode. Alla chetichella, alla presentazione arrivano invitati e avventori. Si presenta, in omaggio al generale, anche un manipolo di carabinieri.

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Carabinieri al rifugio Il Biancospino per la presentazione del libro

«L’idea e la nascita di Guida all’Aspromonte Misterioso – Sentieri e Storie di una montagna arcaica – derivano dall’incontro mio e di Alfonso. Come Arma dei Carabinieri avevamo già avviato delle pubblicazioni storiche che racchiudevano quanto acquisito nei nostri archivi a livello provinciale e centrale sulle vicende che avevano coinvolto questi luoghi negli ultimi 60 anni. Con Alfonso abbiamo poi ragionato sulla possibilità di prendere questo materiale, isolare determinati episodi contenuti in quegli archivi e nei verbali e associarli a itinerari escursionistici. L’obiettivo era quello di liberare questa montagna da uno stereotipo negativo collegato a fatti storici criminali, senza tuttavia negarli. Ossia associare la parte escursionistica positiva, rappresentata da un pioniere come Alfonso, a una memoria, in modo che l’Aspromonte di oggi possa essere percorso, sia con la consapevolezza di ciò che è avvenuto, sia con la sicurezza e la libertà di un nuovo corso. Senza negare quanto accaduto né il sacrificio dei tanti carabinieri e civili vittime della criminalità, ma celebrando questa nuova vita nella bellezza», mi spiega Battaglia.

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Il tavolo dei relatori alla presentazione del volume. Da sinistra: Alfonso Picone Chiodo, Francesco Bevilacqua, Michele Albanese, Giuseppe Battaglia e don Pino De Masi

Un modo di chiudere i conti con la storia e di operare una rifondazione che – continuano in coro gli autori – «fa soprattutto parte di una più ampia operazione di liberazione: agevolare e promuovere la frequentazione di questi luoghi, restituendoli alle persone per bene e sottraendoli ai simboli e al malaffare delle organizzazioni criminali».

Comprendere l’Aspromonte attraverso i sentieri

In effetti il volume è una guida per i camminatori e al tempo stesso deposito di memorie che segnano la storia della montagna dall’Ottocento fino ai nostri giorni: 17 itinerari e 124 fotografie suddivisi in cinque parti in cui gli autori compongono affascinanti percorsi escursionistici lungo i sentieri dell’Aspromonte, più o meno lunghi e complessi, sulla falsariga delle storie e degli uomini che li hanno attraversati o contraddistinti. Dal brigantaggio, sulle orme di Giuseppe Musolino, ai primi fenomeni di ‘ndrangheta ambientati tra Pentedattilo, Montalto e Casalnuovo, fino alla lotta dello Stato contro la criminalità e ai luoghi della stagione dei sequestri. Tra boschi, asperità, pendici di origine alpina e vie di fuga. Un percorso per fare un viaggio tra storia, legalità e nuove opportunità relative al circuito di trekking, sport di quota, torrentismo, canoying e ospitalità.

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Il brigante Musolino

«Era per noi essenziale legare l’ambiente ai fatti che vi sono avvenuti. Storie di successi e sconfitte per lo Stato, come nel caso di Musolino. Difficoltà. Quelle che oggi l’escursionista incontra sono le stesse che hanno affrontato i carabinieri nel cercare il fuggitivo e ancora le medesime che utilizzava il fuggitivo per nascondersi. E solo in questo gioco di specchi e immedesimazioni, solo recandosi, camminandoci sopra, si può comprendere cosa sia avvenuto in questo teatro remoto e brulicante, in termini di sentimenti, modo di operare, errori, fortune, successi di chi ci ha vissuto. Dove il Luogo ha determinato la dinamica di certi episodi. Questa è la chiave per comprendere l’Aspromonte nella sua integrità», spiegano Battaglia e Picone.   

La Montagna liberata

«Abbiamo voluto coinvolgere anche Libera, cui andranno devoluti gli introiti dei diritti di autore e a cui abbiamo affidato la prefazione del volume, nella persona di Don Luigi Ciotti. Da antesignano escursionista sono testimone di come quell’atto del camminare in luoghi ritenuti pericolosi e malfamati a ridosso della stagione dei sequestri abbia contribuito a liberare questa montagna e a trasformarla in vera risorsa, anche a partire dall’istituzione del Parco Nazionale. Un progetto allora impensabile in cui in pochi credevamo ma che ci ha dato ragione, se oggi i sentieri dell’Aspromonte sono battuti da migliaia di escursionisti», continua Alfonso che è anche autore del noto blog L’Altro Aspromonte, una miniera di informazioni e ricerche sulla Montagna e fondatore della Coop Nuove frontiere, prima realtà eco-turistica nel meridione.

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Alfonso Picone Chiodo, tra i principali esperti dei sentieri in Aspromonte

Anche lui ha trascorso un pezzo della sua vita a battersi contro gli stereotipi. È stato tra coloro che hanno creduto di poter riscattare un territorio coniugando legalità ed escursionismo. Insieme a Sisinio Zito – socialista con importanti ruoli di governo che creò le premesse legislative per la nascita dell’area protetta – e Guido Laganà, ex assessore regionale al Turismo, ha promosso la creazione del Parco Nazionale a partire dalla realizzazione di un pezzo del Sentiero Italia in Aspromonte, avviando, tra le altre cose, contatti con tour operator stranieri.

La trappola della legalità

La liberazione dei luoghi, la loro restituzione a quella parte di comunità sana, l’impegno a rigenerarli attraverso l’avvio di processi di rinascita, riscoperta o sviluppo è lo strumento per evitare quella che il generale Battaglia definisce «trappola della legalità»: un certo oltranzismo nell’applicazione pedissequa di regole e norme in assenza delle necessarie e commisurate risorse a garanzia della sostenibilità di una tale operazione. Solo per scaricarsi da certe responsabilità. Cadere preda di questa trappola castra il principio stesso di legalità, ponendo divieti senza potersi occupare di – o avere le condizioni per – effettuare i dovuti controlli. Inducendo così nelle popolazioni coinvolte la chiara consapevolezza che si tratti solo di divieti formali che possono essere violati allegramente, quando così non è. Comunità e luoghi da tutelare allora rischiano di diventare vittime vulnerabili, perché privati di opportunità di sviluppo e tutela realmente ed oggettivamente sostenibili.

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L’antropologo Vito Teti

Sono quegli stessi luoghi – per dirla con le parole di Vito Teti – che non sono solo «articolazione spaziale, ma anche dimensione della mente, organizzazione simbolica di tempo, memoria e oblio, luogo antropologico in senso lato in quanto abitato, umanizzato e riconosciuto, periodicamente rifondato dalle persone che se ne sentono parte e che, nell’essere parte di una storia che ha a che fare con noi stessi, ci interroga ancora tutti: restanti ritornanti e partiti».
Luoghi che, in quanto tali, sono il nucleo di vita, memoria, riconoscimento, speranza, visione, sperimentazione. Nonostante la propaganda che li ha umiliati, la dignità che è stata sottratta e lo stereotipo che li ha fagocitati.

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