Sangineto è ciò che non si vede. E, di conseguenza, non è ciò che vedete. Tanto per cominciare non è un “posto di mare”, piaccia o non piaccia, ma semmai è un territorio pedemontano “prestato” al mare. Prestato e mai restituito, o restituito malamente e in parte, con gravi segni dell’uso. Il mare, insomma, non è nelle sue corde e per convincersene basterebbe osservare la brevità della costa sanginetese (meno di 2 km) rispetto a quelle dei Comuni immediatamente confinanti (i 5,5 km di Bonifati – per intenderci: Cittadella – o i ben 10 km di Belvedere Marittimo): una costa che sembra più il residuato di una servitù di passaggio dal paese antico verso il mare, alla foce del torrente omonimo. Ancor più se si tiene presente quella strozzatura della mappa comunale a metà tra il mare e il paese, dove la larghezza massima è di appena 500m in linea d’aria.
Prova del nove del carattere poco balneare di Sangineto? Dal paese, in genere, il mare nemmeno si vede, se non da un paio di angoli panoramici o da qualche balcone fortunato. Non basta? Parte del territorio comunale ricade nel Parco Nazionale del Pollino. Anzi, ha il primato di esserne la punta più meridionale. Come a dire: a Sangineto crescono i pini loricati, bisogna farsene una ragione. Anzi, i loricati più meridionali d’Italia, e quindi – superando addirittura i colleghi greci – i più meridionali d’Europa (e quindi del mondo, visto che fuori d’Europa non ve ne sono). Ancora non basta? Il confine comunale orientale, quello con il Comune di Sant’Agata d’Esaro, è una linea in mezzo ai boschi lunga ben 8 km. Altro che spiagge.
Dal re agli amici degli amici
Una mappa del 1901 segnala su Sangineto un sistema viario degno di una metropoli, e pertanto difficile – ma non del tutto impossibile – da riconoscere nell’attuale teoria di strade rurali secondarie. Una cartolina degli anni ’40 mostra ben 6 vedutine del luogo: ce ne fosse una del mare, o delle spiagge… niente di niente, non se ne raffigura neppure il castello, benché in quegli anni venisse visitato finanche dal prossimo Re di maggio, con tanto di foto d’ordinanza (ben prima di diventare discoteca in libero crollo per il pubblico pagante).
La Sangineto conosciuta è invece un’altra: è quella chiassosa – anche metaforicamente – che nacque all’indomani delle speculazioni edilizie della prima metà degli anni ’60, quando per particolari congiunture vi confluirono interessi di investitori, appaltatori e amici degli amici.
Sangineto, fase n. 1:
Ne nacquero prima un grande albergo con i suoi improbabili bungalow (ora smantellati, dopo anni d’abbandono) e tutto un complesso residenziale più pretenzioso che realmente elegante, chiuso tra la ferrovia, l’albergo, il torrente e il mare. E poi altre ville più su, verso la statale, su quel pianoro che la toponomastica inopportuna ha pomposamente intitolato a un antico popolo (come ad altro popolo una sua traversa) e che io continuo a chiamare così come era sempre stato indicato sulle mappe: Renga. Lì dove spuntava un piccolo casino gentilizio e ancora spunta, sebbene oggi soffocata, l’antica Torre della Finanza (in cima alla rupe sopra al vecchio mulino) diventata poi per qualche tempo una discoteca dal nome fatato. Altro che Finanza.
Sangineto, fase n. 2:
Dove già esisteva qualche sparuta casa di contadini nasce, a nord del suddetto albergo, tutta una teoria scriteriata di edifici privati, villini bi e quadrifamiliari, villette a schiera e residence di gusto non proprio eccellente che, lasciando incredibilmente sopravvivere qualche ulivo secolare, si arrampicano dalle spiagge (allora sconfinate e punteggiate di bunker bellici, ora ridotte all’osso le prime, ingoiati dal mare i secondi) fin sulla strada statale. Terreno buono per ex bambine, mie coetanee, che diventeranno mogli di comici napoletani e, oggi, per padri di calciatori in vista o finanche per il fu Coriolano, mosca bianca stufa di posarsi sulla solita cosentinità a vocali sguaiate per lui poco renzelliane.
Di case vecchie, qui, ne resta una in particolare, nel bel mezzo della piazzetta: da almeno 30 anni imbavagliata e incatenata a un sequestro giudiziario. Fa la sua Resistenza.
Un’altra stava sotto al curvone alla fine del lungomare: se la mangiò in pochi bocconi una mareggiata, dopo il ’66. Come tante cose qui, era dei nobili Spinelli di Belvedere, che ancora in quegli anni venivano a cavallo, spiaggia spiaggia, a riscuoterne pigione.
Le mareggiate, ho detto: ammesso che Sangineto e i suoi ‘utilizzatori’ abbiano abusato del mare, è altrettanto vero che il mare, qui violentissimo, s’è vendicato a piene mani, negli ultimi decenni, distruggendo più volte case e lungomare (fotografai una mareggiata, a fine agosto di trent’anni fa che, per quanto esistessero già le massicciate a T, creò una voragine in pieno lungomare, a due passi da quella casa ora in totale abbandono ma che già allora meritava il soprannome di “casa di Beirut”, per quanto oggi sembri sul serio bombardata).
Sangineto, fase n. 3 (abbastanza coeva alla seconda):
Nasce Pietrabianca, straordinario esempio di quartiere-dormitorio balneare, che usurpa il nome della collina alle sue spalle. Solo villini, a due passi dalla Torre omonima, oggi abitazione privata, immersa nel bosco lungo il fiume. Per anni, ricordo, l’unico modo per raggiungere questo gruppo di case evitando la statale era una passerella di legno sul torrente, in mezzo al canneto. Al buio più totale (quel torrente che, leggenda vuole, un politico villeggiante negli immediatissimi paraggi avrebbe fatto addirittura deviare, novello proconsole imperiale).
Mancini, pippibaudi e cotillons
Fu così, insomma, che a Sangineto mise radici, anzi, fondamenta, prima di tutto la Cosenza manciniana: amici, collaboratori, parenti, e chi più ne ha più ne metta, si trovarono muro a muro, siepe a siepe tra di loro. Medici, farmacisti, imprenditori, avvocati, professionisti d’ogni risma acquistarono nella seconda metà degli anni ’60 quei primi cubi bianchi vagamente merlati alla moresca. Convenienza economica e sociale: spirito di gruppo, per non dire forse tribale. Perché comprare una villa molto più bella in un luogo molto più bello (per dire, in tratti di costa certamente più scenografici; in località con centri storici gradevoli), quando c’è la possibilità di essere vicini d’ombrellone di chi, alla fine dei conti, appunto “conta”? Perché andare in ferie quando in spiaggia si può parlare di affari mentre le mogli spettegolano in perfetto stile “Donna Pupetta”?
Si aggiunsero, sulla collina, quelli che preferivano maggiore privacy o il nido più alto (la saga dei Gullo o Mario Misasi che qui morì), mentre Mancini restava nella sua villa defilata ma crocevia di personaggi dello spettacolo (tra cui la recentemente scomparsa Wertmüller, ma giusto per dirne una). Perché – panem et circenses – tra Mancini e l’altro villeggiante storico, Covello, la Sangineto dei tempi d’oro era anche passerella non irrilevante per il cinema, con tanto di festival, pippibaudi e cotillons.
E forse funzionava ancora la stazione ferroviaria, che di sicuro nel ’55 c’era già (sebbene in ritardo rispetto ai caselli di cinquant’anni prima) ma personalmente ho sempre visto abbandonata e semmai utile a due cose: posizionare gli spiccioli sulle rotaie e sottoscrivere l’isolamento di Sangineto (benché qualcuno di mia conoscenza abbia talvolta preferito addirittura scendere a Capo Bonifati e raggiungere Sangineto via spiaggia o scendere a Belvedere e farsela in bici).
Napoletani e cosentini
A Sangineto si arriva in tre modi (escludendo dal mare e dal cielo e, volendo, dal sottosuolo). E già questo indica i tre diversi approcci caratteriali, per non dire “sentimentali”. I napoletani vi arrivano da Nord, a 200 all’ora, con vano spirito di conquista (parentesi: esistono molti, dico molti napoletani che vengono qui da quarant’anni e ritengono ancora Cosenza un paesino di montagna. Senza esservi ovviamente mai stati). I cosentini vi arrivano da Sud, pigramente comodi, con spirito domenicale o, peggio, dominicale. Chi, come me, non è né l’uno né più si sente l’altro, arriva dall’interno, già in polemica col resto, per spirito di contraddizione. Ovvero da una strada che è già un punto d’osservazione elevato e panoramico sul tutto. Quella strada-balconata che taglia con una riga netta l’ultimo fianco del Parco del Pollino.
La si prende da Sant’Agata, per esser chiari, e porta fino ai piedi di Belvedere. Su questa strada interna si scollina al Passo dello Scalone e poi è tutta discesa con vista sul mare. Strada antica, senza ponti o gallerie. Una di quelle strade che definisco “a misura d’uomo”. Una volta vi si poteva deviare direttamente per Sangineto paese, qualche tornante più giù del Passo, a patto di non soffrire di vertigini. E vi sareste trovati nel bel mezzo di un paesaggio marziano, sulle rupi della zona archeologica di Timpa di Civita. Oggi quella strada è chiusa per motivi di sicurezza, addirittura da una cancellata, non essendo stato forse sufficiente il divieto di accesso che già da qualche anno campeggiava all’incrocio incustodito. Al sito suddetto si può arrivare da un’altra parte, ma il bello delle cose è soprattutto scoprirle da sé. Detto diplomaticamente.
Verso Sangineto tra panorami e cartomanti
C’è poi, più su, un altro bivio tutto sanginetese e conosciuto a pochi forestieri: quello che volta a Sud per l’impenetrabilissimo bosco lungo la stradina per il Lago La Penna. A continuarlo, dopo il lago, vi porterebbe sull’antica dorsale che corre da Torrevecchia di Bonifati fino a Fagnano Castello. Non roba per chi ama l’ombrellone, va detto. O c’è quello che gira a Nord per i panorami mozzafiato della Contrada Pantana, luoghi dove l’antropizzazione arriva piuttosto ad ogni tornante sotto le sembianze degli immancabili manifestini colorati di quei noti cartomanti monopolisti di un buon quarto di Tirreno (bravo Brunori ad averlo osservato, pur se omettendo – forse per metrica – la fu Madame Fifì, mica inferiore in fatto di marketing capillare).
E sempre sulla strada-balconata incrociai, tempo fa, una coppia di sconosciuti motociclisti. S’erano fermati nel punto più panoramico. Felicemente d’accordo, lui fotografava lei – graziosa bionda vestita di un romper in denim – gioiosamente a braccia aperte e seno al vento. Sarà stata la strada? Sarà stato il primitivo e totale senso di libertà che quel panorama riesce a restituire?
La Banalità del mare
E anche questa è una metafora, appunto, dell’approccio: Sangineto è stato un ottimo punto d’osservazione, suo malgrado. Già da bambino, in spiaggia, sedevo con le spalle al mare, a guardare quant’era strano il profilo di quelle montagne, oppure a indovinare dal solo modo di gesticolare dei lontani passanti sul lungomare se erano cosentini o napoletani (facilissimo). Gli altri mi parevano tutti rimbambiti a guardare l’orizzonte, la piattezza dell’acqua. La Banalità del Mare. (CONTINUA…)