MAFIOSFERA| Al servizio di sua maestà, il re della cocaina: i fixer e Rocco Morabito

Lo chiamano 'U Tamunga ed era il secondo ricercato più pericoloso d'Italia. Lo hanno arrestato dopo oltre 20 anni di latitanza in Brasile, che lo estraderà. Ma per evitargli il ritorno in patria c'era chi si dava da fare oltreoceano, specialisti che sanno muoversi nei territori chiave per i clan in Sud America

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Rocco Morabito, detto U Tamunga verrà estradato in Italia. Così ha deciso la prima sezione della Corte Suprema Brasiliana il 9 marzo scorso, approvando la richiesta di Roma. Ci sono voluti 10 mesi dall’ultimo arresto di U Tamunga, nel maggio del 2021, a Joao Pessoa in Brasile. E ci sono anche delle condizioni per l’Italia: la detenzione di Morabito non potrà durare più di trent’anni e si dovrà tener conto anche del tempo già trascorso in carcere precedentemente.

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Rocco Morabito negli anni ’90 e al momento dell’arresto in Sud America

Narcotrafficante e membro apicale del clan omonimo di Africo, sulla costa ionica reggina, Morabito era stato condannato in Italia nel 1994 in seguito all’Operazione Fortaleza. Trenta gli anni di carcere per associazione mafiosa e traffico di stupefacenti, dall’America Latina alla Calabria e, soprattutto, nel Milanese. Secondo InsightCrime il reggino avrebbe forgiato una collaborazione tra la ‘ndrangheta e il Primeiro Comando da Capital – PCC, un network para-mafioso brasiliano dominante, tra le altre cose, nel traffico di cocaina.

U Tamunga, il re della cocaina

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Il documento falso ritrovato a Rocco Morabito

U Tamunga rimane latitante fino al 2017 quando fu catturato a Montevideo, in Uruguay. A quanto pare aveva vissuto lì per 15 anni sotto falsa identità; aveva ottenuto documenti uruguaiani presentando certificati brasiliani con il falso nome di Francisco Antonio Capeletto Souza, nato a Rio de Janeiro. Durante i suoi 23 anni di latitanza, conosciuto come il “Re della Cocaina”, era considerato il secondo latitante italiano più pericoloso dopo il siciliano Matteo Messina Denaro.

L’evasione e il nuovo arresto: dall’Uruguay al Brasile

Rocco Morabito si è fatto conoscere anche per la sua rocambolesca evasione dal carcere con altri tre detenuti nel 2019. Dopo essere fuggito da un passaggio che portava direttamente sul tetto del carcere di Montevideo, insieme agli altri tre compagni di evasione, U Tamunga si sarebbe introdotto in un appartamento al quinto piano di un palazzo vicino. Avrebbe quindi derubato la donna che ci viveva per poi scappare in taxi.

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Rocco Morabito e i suoi tre compagni di fuga

Dopo oltre un anno passato lungo la Triple Frontera tra Brasile, Argentina e Paraguay, secondo IrpiMedia, viene ricatturato dalla polizia brasiliana nel maggio 2021 grazie a una partnership promossa da Interpol, I-CAN (Interpol Cooperation Against the ‘Ndrangheta). I-CAN, un programma voluto, sostenuto e guidato dal Dipartimento di Pubblica Sicurezza in Italia, ha altri 11 stati partner in giro per il mondo:

  • Stati Uniti
  • Australia
  • Canada
  • Brasile
  • Argentina
  • Germania
  • Svizzera
  • Colombia
  • Francia
  • Spagna
  • Uruguay

Al servizio di sua maestà Rocco Morabito

E proprio grazie all’Interpol e ad I-CAN un altro tassello si aggiunge alla parabola di Rocco Morabito con l’Operazione Magma. A guidarla è la procura distrettuale antimafia di Reggio Calabria e si concentra sui traffici di stupefacenti del clan Bellocco di Rosarno in America latina. Nell’estate del 2020 – in seguito a sei arresti guidati da Interpol tra Argentina, Costa Rica e Albania – Magma ha rivelato come Carmelo Aglioti, un imprenditore nel settore import-export associato del clan Bellocco (per cui curava gli affari del narcotraffico in America latina) si stesse impegnando anche per conto del clan Morabito, per trasferire 50.000 euro in Uruguay per facilitare la liberazione di Rocco Morabito. Dopo il suo arresto a Montevideo nel 2017 per la famiglia Morabito bisogna evitare l’estradizione.

Rocco Morabito scortato dalla Polizia brasiliana

Questa estradizione non s’ha da fare

Aglioti agiva dunque per conto di Antonio Morabito, cugino di Rocco, U Tamunga: «Il cugino vostro, per riciclaggio è? […] Quindi, il motivo … per cui bisogna fare tutte questa operazione … pi mu staci ddocu (per farlo stare in quel luogo, ovvero in Uruguay, ndr) quindi non estradato qui in Italia, giusto!? […] Di farlo rimanere là! Perché i reati contestati là (Uruguay, ndr) non sono gli stessi di qua, giusto o no!? […]». E Antonio Morabito confermava «[…] Mh mh … questa è la prassi che stiamo cercando di fare! […]».

L’avvocato del diavolo

I messaggi whatsapp su un’utenza in uso ad Aglioti rivelano i contatti dello stesso Aglioti con Fabio Pompetti, avvocato italiano residente in Argentina, arrestato nel luglio 2020 a Buenos Aires per operazione Magma con I-CAN. «Mi hanno contattato delle persone per dirmi se conoscevo un avvocato in Uruguay, io gli ho fatto il tuo nome perché hanno bisogno di essere assistiti per un loro parente che si trova carcerato in Uruguay. Questi sono persone che pagano, praticamente e lo stesso problema di cui ti sei occupato in passato capito?». «Tutto ok per le tue persone in Uruguay. Mi devo muovere con molta cautela», risponderà Pompetti.

Un caso, tre temi

Il caso di Rocco Morabito offre spunti di analisi su tre temi interconnessi:

  1. le sfide alla cooperazione internazionale per finalità di polizia;
  2. la natura della ‘ndrangheta all’estero;
  3. il ruolo dei fixer in località come Argentina, Uruguay o Brasile, strategiche per gli affari dei clan.

Indagini: serve collaborare e in fretta

I-CAN è un progetto sicuramente innovativo, il cui massimo impegno sta nel facilitare la comunicazione tra paesi e forze di polizia molto diverse tra loro. Quando si tratta di fare indagini transnazionali o transcontinentali infatti il problema primario, soprattutto fuori dall’Europa, rimane la difficoltà delle istituzioni nei vari paesi coinvolti di comunicare velocemente e altrettanto velocemente condividere dati e intelligence.

È necessario valorizzare, come cerca di fare I-CAN, team di indagine unitari che dall’inizio dei lavori possano condividere ipotesi e dati. Soprattutto perché, e qui arriviamo al secondo spunto di analisi, la ‘ndrangheta all’estero non ha sempre la stessa faccia. Ed è necessario non solo saperlo ma ipotizzare quale faccia ci si possa trovare davanti.

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Milano, la provocazione di Klaus Davi, Pasquale Diaferia e Alberto Micelotta all’indomani dell’arresto di Morabito in Uruguay

Rocco Morabito e la ‘ndrangheta all’estero

Prendiamo il caso di Rocco Morabito. Abbiamo un soggetto, Aglioti, che – da associato di un clan tirrenico, i Bellocco – si pone come intermediario per un clan della ionica, i Morabito, grazie alla sua frequentazione di alcuni luoghi, nello specifico Uruguay e Argentina. «No, basta che li avvisano… non c’è problema! Buenos Aires e Uruguay sono due passi, con il traghetto si fa… arrivi a Rio de La Plata e vai fino a Buenos Aires e viceversa!»; Aglioti dimostra di conoscere i paesi in cui egli stesso fa affari. E sa dare consigli a riguardo a chi li chiede, nel suo clan o in altri clan. Questo rende alcuni soggetti particolarmente importanti all’estero.

La ‘ndrangheta all’estero, infatti, non si presenta mai come un’organizzazione fissa, pre-strutturata e razionale, dunque prevedibile. Occasioni e opportunità individuali per i singoli clan dipendono in larga misura dalla capacità e dalla reputazione internazionale di alcuni soggetti in supporto ai clan; il tutto ovviamente si adatta di volta in volta a cosa conta nei contesti di destinazione, che sia denaro, potere o anche il capitale relazionale di individui e di associati.

Fixer e broker: un aiuto oltreoceano

Lo spaccato di Operazione Magma che riguarda Rocco Morabito e il tentativo (vano) della sua famiglia di proteggerlo dall’estradizione ci racconta anche altro. E cioè che è grazie alla figura del fixer – colui che aiuta i clan nelle questioni specialistiche – oltre che alla figura del broker – colui che aiuta i clan negli affari – che si mantiene un piano criminale oltre oceano. Quando il fixer e il broker sono la stessa persona, o sono molto legati come a Buenos Aires sono Fabio Pompetti e il suo ‘collaboratore’ Giovanni Di Pietro (alias Massimo Pertini) – che si occupava anche della gestione del narcotraffico per vari clan calabresi – allora si garantisce la continuità del servizio e dunque la possibilità di espanderlo a più gruppi criminali.

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Pantaleone Mancuso

Non manca di far notare, Aglioti, che la ragione per cui si è rivolto a Pompetti è perché l’avvocato italo-argentino aveva già dimostrato di poter gestire questioni simili a quella di Rocco Morabito. «Dato che allora hanno fermato qua, a coso qua … a Mancuso …… l’ha cacciato lui (lo ha fatto uscire lui, ndr) … per riciclaggio, praticamente» Il riferimento è a Pantaleone Mancuso, estradato in Italia, dall’Argentina, a febbraio del 2015. Per la sua assistenza legale si sarebbe attivato proprio Pompetti insieme ad altri soggetti vicini ai clan della tirrenica.

Non solo Rocco Morabito

Tra colletti bianchi che diventano fixer, opportunità di fare affari sia nel legale che nell’illegale grazie a broker che utilizzano i contatti con la nutrita comunità migrante per diversificare il proprio operato, non è difficile vedere come per certi clan, con disponibilità di soldi e uomini, alcuni paesi possano diventare territori chiave.

Rocco Morabito, uomo di punta del potentissimo clan di Africo era il secondo latitante più pericoloso d’Italia

Rocco Morabito verrà estradato in Italia, ma a preoccuparci adesso dovrebbero essere i contatti che ha forgiato e dunque avviato in paesi come Uruguay, Argentina e Brasile. Quei contatti lo hanno protetto per anni, da latitante o da evaso, e potrebbero proteggere altri come lui, se a chiederlo sono le persone col giusto know-how.

 

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