MAPPE| Massoni e comunisti, cibo e atelier: le mille vite dei Rivocati

Cosenza, viaggio nel quartiere centralissimo eppure marginale che cerca di ricavarsi una nicchia tra arte, commercio, enogastronomia

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Alle sei del pomeriggio una quindicina di ventenni, in cerchio, discute animatamente in un magazzino di via Rivocati. Non parlano dell’ultimo trend di TikTok né della mise di Damiano dei Maneskin e nemmeno di chi vincerà lo scudetto, ma molto probabilmente della crisi russo-ucraina. È la federazione dei giovani comunisti: il che sarebbe già una notizia se non fosse che tutto ciò accade in uno dei quartieri più marginali eppure – o forse, proprio per questo – affascinanti della città.

Era il cuore della “Cosenza città di provincia”, ma con cinque cinema, raccontata da Stefano Rodotà, che proprio in questo quartiere, nel palazzone nobiliare di via Sertorio Quattromani, crebbe e maturò prima del grande salto a Roma.

I ragazzi della Federazione dei giovani comunisti animano il dibattito pubblico del quartiere (foto Alfonso Bombini 2022)

Prologo. Tre fiere: il commercio nel dna del quartiere

“Fino a tutto il 1300 e il primo quarto del 1400 Cosenza non superò le sponde dei due fiumi tranne che con il borgo dei Rivocati al di là del Busento, a nord, nella zona pianeggiante occidentale”, scriveva Enzo Stancati nel primo dei quattro volumi di Cosenza nei suoi quartieri (Luigi Pellegrini editore, 2007): nel Duecento, dal 21 settembre al 9 ottobre vi si teneva la fiera annuale dei santi Matteo e DionigiFederico II elesse nel 1234 Cosenza una delle sette sedi delle esposizioni generali del regno con Sulmona, Lucera, Capua, Bari, Taranto e Reggio – con lana e oreficeria tra i prodotti in vendita e soprattutto seta (qui “si stabiliva il prezzo del prodotto che poi veniva accettato dalle altre fiere”).

Già nel 1416 era il luogo della fiera della Maddalena (iniziava il 22 luglio e durava 15 giorni), poco dopo il convento dei Domenicani – dove transiterà Tommaso Campanella – contribuirà a farne abitato popolare in espansione, tra commercianti e artigiani, ortolani e fornaciai “insediati a debita distanza dai cittadini più abbienti, accanto all’acqua del fiume necessaria al loro lavoro”.
Una terza fiera stagionale (Annunziata, dal toponimo della piana oggi ereditato dall’ospedale) “accordata da Filippo II con un privilegio del 4 agosto 1555 (…) in base a un documento del 1839 (…) si svolgeva in un solo giorno, il 25 marzo, in piazza San Domenico”.

Perché Rivocati?

Il compianto storico di Lago racconta anche che questo “quartiere suburbano” era “collegato al nucleo urbano dal ponte – poi appunto detto “delli Rivocati” – che immetteva direttamente in città mediante l’antica via consolare (oggi corso Mazzini, ovvero isola pedonale, ndr). Nella zona (…) si rinvennero nel 1840 i resti di un pilone di ponte romano, forse un secondo ponte sul Busento, che aggirava l’abitato e, circuendo il Pancrazio, conduceva forse a Portapiana”.

Le tracce romane si ritroverebbero anche nella conformazione ortogonale delle strade, con via Rivocati asse principale e viale dei Platani e Viaròcciolo – oggi rispettivamente corso Umberto I e via Piave – assi paralleli procedendo verso nord.
E l’etimologia dei “Rivucati”? Vexata quaestio: dialettizzazione di “ad rivum casae” (umili casupole a ridosso del fiume) o toponimo riferibile alla “revoca” della decisione di un feudatario limitrofo, tra XII e XIII secolo, di negare la concessione abitativa ai cosentini in questo lembo demaniale e non infeudato?

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La statua dedicata a Lucio Battisti (foto Alfonso Bombini 2022)

1. Dal puttan-tour ai servizi segreti

Corsi e ricorsi: Stancati cita cronache del 1891 che riportano “reclami per la nettezza urbana trascurata” mentre “nel 1893 si lamentavano schiamazzi notturni e indecenza igienica”.
Quegli stessi “Rivucati”, un secolo fa zona di cantine e accoltellamenti ma anche bagni nel Busento non ancora irreggimentato, oggi cercano una nuova identità: una spinta arriva dalla recente intitolazione a Battisti dei “giardini di Lucio”, con tanto di accenti sbagliati nei titoli riportati sulla scultura bifronte inaugurata da Mogol, ma un primo segnale di agognata renaissance – l’ennesima, dopo i bombardamenti e il degrado sempre dietro l’angolo, letteralmente – si era avuto già con l’inaugurazione in pompa magna del “distretto di cybersecurity” nella vecchia e sontuosa sede delle Poste, alla presenza dell’allora premier Matteo Renzi (era il 2015).

Una raccolta di foto e stampe tratte dal gruppo Fb “Il senso del tempo, il valore di un posto. Cosenza.”

 

Fu allora che arriat’ii poste virò da toponimo di pecorecce iniziazioni sessuali perlopiù verbali a polo di alta tecnologia con una spruzzata di servizi segreti. Un mood da spy story reso ancora più attuale, qualche giorno fa, dall’ufficializzazione della destinazione d’uso del palazzotto liberty di via Trento restaurato alla grande nell’ultimo anno e sul cui ingresso – incastonato tra due alti cipressi appena posti – troneggia finalmente, dopo iniziali chiacchiericci e segreti di Pulcinella finali, la scritta Grande Oriente d’Italia. Il mega-tempio massonico a un paio di metri dal palazzo comunale. Giusto per titillare le battutine dei detrattori del neo-sindaco Franz Caruso esponente di spicco proprio del Goi — dìciche.

 

2. Il vecchio che resiste al brutto modernista

Il tappeto multicolor di piazza Riforma che in pieno stile-Penelope dell’evo occhiutiano (scascia e conza, scascia e conza…) se ne sta già venendo via, è il segno dei tempi: ricorda la pavimentazione stradale attorno a piazza Bilotti, che si sfonda in virtù di implacabili leggi di obsolescenza simili a quelle che regolano la durata dei frigoriferi: con la differenza che quei blocchi di pietra si sfondano e vanno cambiati ogni 2, 3 mesi mentre l’elettrodomestico almeno a dieci anni ci arriva.

Ai Rivocati, al contrario, alcuni manufatti resistono agli anni, alle intemperie e al cemento che avanza sbranando le antiche vestigia: da decenni abbevera i viandanti, per esempio, la fontanella resa iconica da uno scatto in b/n del compianto Fabio Aroni, zampillo che in un angolo della fu via Montello (oggi Davide Andreotti, storico) con via Pasubio serviva gli espositori del fu mercatino ortofrutticolo oggi rimpiazzato da uffici di nuovissima costruzione dell’Azienda ospedaliera e altro.
È invece sparita da un paio d’anni la targa Cristiani Banane – altrettanto iconica – che svettava qualche metro più avanti. Era il quartiere dei commerci, qualcuno dei quali è oggi rimasto, come vedremo. Palazzoni moderni sono entrati a gamba tesa, con esiti alterni, tra i vecchi palazzi sventrati dalle bombe del 1943.

3. Cultura, in attesa del pubblico il privato si organizza

Il cine-teatro Italia Tieri, una delle strutture cittadine in cerca di identità, è il fulcro di una zona che galleggia tra innovazione e abbandono: proprio davanti all’ex Gil, edificio figlio del Ventennio, ecco il Centro di Salute mentale: non proprio l’Eden per chi ha bisogno di cure.
Attorno, accanto ad altri poli istituzionali come la Casa della Musica collegata al conservatorio Giacomantonio, non mancano le nuove iniziative private: sta per partire l’Atelier AC (iniziali di Adele Ceraudo, artista cosentina celebrata anche oltre i confini calabresi) su corso Umberto; alle spalle, sullo stesso isolato, c’è quello di un’altra artista: Luigia Granata (via Davide Andreotti 23).

Il cine-teatro Tieri diventato rifugio per i senzatetto

Sul lato opposto della strada, in pochi metri sullo stesso marciapiede troverete le officine visuali “Ovo” di Andrea Gallo e la sede della Fgci e, a breve, la nuova sede della casa editrice Coessenza, già galleria d’arte Vertigo dove una ventina di anni fa trovarono nuova collocazione e linfa gli esponenti del “Laboratorio delle due anime” raccontato da Concetta Guido nell’omonimo libro edito da Le Nuvole (2001).

La targa che ricorda lo scrittore Nicola Misasi

Un passaggio poco prima della casa in cui visse Nicola Misasi “illustre scrittore calabrese” (1850-1923) conduce nella sede di Tecne, lo studio musicale di Costantino Rizzuti, cerebrale sperimentatore di suoni.
Sono tutti soggetti che operano con dedizione e nel silenzio ma meriterebbero qualche attenzione.

4. Negozi: chi ha chiuso e chi resiste reinventandosi

Se il mitologico Cimbalino, cantato anche da Totonno Chiappetta, ha chiuso poco prima del traguardo delle 70 candeline (le avrebbe spente l’anno prossimo), come pure il salone del barbiere presente poco distante dal 1955, altre insegne storiche come Montalto sport (dal 1937) si sono reinventate adeguandosi, in questo caso, al mercato delle bici elettriche.

Poco lontano, il negozio di cordami Mazzuca – tempio degli imbottigliatori e dei preparatori di conserve – ha ceduto il posto a un ristorante (CalaBry, via Sertorio Quatromani / piazza Tommaso Campanella) mentre si sente anche la mancanza della bancarella-cappelleria all’innesto nord del ponte Mario Martire.
Fratelli Bruni (via Trento 7) è un’insegna che in questo 2022 festeggia i 130 anni. Un altro Bruni (corso Umberto, di fronte al Gran Caffè Renzelli) si vanta ancora oggi di essere l’unico concessionario di Borsalino. Insegna vintage che fa il paio con il lezioso lettering della cartoleria Morano, un civico prima.

Caso a parte Scarpelli, che dal 1946 a oggi si è trasformata da bottega di quartiere – carattere che ancora conserva per la clientela autoctona – a tappa gourmand, tra cantina sconfinata e prodotti localissimi o internazionali di fascia altissima. Nell’arco di tre quarti di secolo ha annesso locali su locali creando infine un isolato interamente dedicato al gusto. Degno dirimpettaio il rivenditore di sale Borrelli, che non rinnega il piccolo spaccio accanto alla presenza nella grande distribuzione. Ma qui siamo già entrati di diritto in zona cibo.

5. I Rivocati a tavola (da 10 euro in su)

Nel quartiere bifronte potrete concedervi una tappa cosentinissima dal crapàro (trattoria Miseria e Nobiltà, largo dei Visigoti / Lungobusento Tripoli) e da Grandinetti (via Sertorio Quattromani 32, dove la leggenda vuole che il conto sia sempre di 10 euro) oppure una serata super-chic nel neonato Fellini (via Trento 15), dove se siete fortunati trovate anche la musica dal vivo.
Negli anni novanta la rosticceria Reda, a gestione familiare, sfornava – si fa per dire: era tutto frittissimo – panzerotti a ciclo continuo: adesso i locali sono tra i tanti della zona in affitto.

È però questa tutta una zona a tale vocazione gastronomica che potrete trovare ristoranti anche in due civici attigui (è il caso de Il paesello e A gulìa, su via Rivocati 95 e 91) oppure uno di fronte all’altro (Tina Pica e Osteria gemelli Tucci al 104 e 102).
Da segnalare infine due presenze, una storica e una recentissima: EnoBruzia, l’apprezzato spaccio di vini di Lattarico per tutti gusti e le tasche, e il panificio l’Aurora, punto vendita dell’azienda Carelli che evidentemente ha intuito la vocazione di un quartiere vecchio 800 anni eppure dinamico come pochi altri. Il quartiere dei fornai e delle fiere.

Silverio Tucci, chef dell’omonima osteria nel quartiere Rivocati

COSA VEDERE

Il giardino della Banca d’Italia (corso Umberto) curato nei minimi dettagli davanti a un edificio maestoso ma vuoto è uno dei simboli della città sospesa tra inespresse potenzialità e triste realtà.

DOVE COMPRARE

Siamo nel quadrilatero compreso tra il Renzelli a due passi dal municipio (assolutamente da provare la varchiglia) e la bottega delle meraviglie di Scarpelli: bisogna solo scegliere.

DOVE MANGIARE

Anche in questo caso tocca solo scegliere: consigliamo un tuffo nella cosentinità del crapàro o di Grandinetti, ma anche il pesce dell’osteria dei gemelli Tucci.

(1. continua)

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