A Polsi le carovane, cioè i gruppi di pellegrini, entrano nel santuario a suon di tarantella. La tarantella è una danza anarchica eppure precisa. Precisa nella ripetitività delle note e nel cerchio che si forma tra i danzatori; anarchica nei suoi passi, nel come si “sente” l’energia della musica. L’energia della tarantella e della sua danza è parte dell’arrivo a Polsi, è tutta Polsi.
Il Santuario della Madonna della Montagna è a oltre 800 metri sopra la superficie del mare, ma non si “erge”; piuttosto, si inabissa nelle gole dell’Aspromonte, tra i 2.000 metri di Montalto e le colline da cui partono i pellegrini dai paesi tutti attorno. È nel territorio di San Luca, ma dista dal paese oltre due ore di macchina oggi, perché le strade sono quelle che sono.
Un santuario “difficile”
È un santuario “difficile” Polsi. Le strade sono mulattiere che nessuno davvero si premura di rendere adatte alla percorrenza. Buche, voragini, cemento ormai distrutto da anni, asfalto inestistente da decenni. Doppio senso di marcia che blocca in una direzione come nell’altra e senso di sconforto che dà l’assenza di segnale telefonico per chilometri. E, dunque, la consapevolezza del disagio e del pericolo se succedesse qualcosa.
Per il più importante culto religioso della Calabria ci si aspetterebbe un interesse maggiore delle autorità locali e regionali, politiche quanto religiose.
Ma nonostante questo Polsi è un luogo dove si può emozionare fino alle lacrime anche chi non crede. Il silenzio ovattato della montagna; l’equilibrio precario tra natura e umanità; l’integrazione tra fede, cultura e storia; la tarantella che sgorga da dentro; la danza che livella e connette tutti.
Polsi è un luogo che non ha eguali, non solo per chi è devoto, ma anche, forse soprattutto, per chi lo vive nella sua essenza spirituale e culturale.
A Polsi la Calabria è solo e soltanto terra di energia positiva e forte di una primitiva autenticità.
Polsi e la ‘ndrangheta
Forse è proprio per le sue difficoltà orografiche e infrastrutturali – e per le sue atmosfere ritmate tra musica e silenzio – che Polsi si presta a essere strumentalizzato.
Da un lato come luogo di interessi occulti, criminali, da parte di clan di ‘ndrangheta di paesi limitrofi. Ma dall’altro come centro di attenzione morbosa da parte di giornalisti a caccia di scatti che contengano la graffiante bellezza del luogo, mista al suo lato percepito come sinistro, e la solita immagine della Calabria da malaffare, meglio ancora se condita con l’imbrattamento della fede cattolica.
Il filmato dei carabinieri a Polsi, finito tra i documenti della famosa operazione Crimine, è ancora su YouTube. Dopo quasi 15 anni possiamo ancora vedere come attuali quelle conversazioni di uomini riunitisi in cerchio, venuti da Rosarno, da Platì, da San Luca stessa, da Sinopoli. Si parlava di Crimine, Capocrimine, Contabile e doti varie. E si “sistemavano” faccende di ‘ndrangheta che a Polsi non avrebbero dovuto mettere piede.
Profanato da interessi mafiosi: parola della Cei
Nel giorno della festa della Madonna di Polsi, il 2 settembre scorso, il cardinale Matteo Maria Zuppi, presidente della Conferenza episcopale italiana, ha inviato un messaggio letto da monsignor Francesco Oliva, vescovo di Locri e abate del Santuario.
«Il Santuario della Madonna di Polsi – scrive Zuppi – è stato profanato nel recente passato. La casa della Madre di Dio è diventata luogo per interessi privati che dobbiamo chiamare con il loro nome: mafiosi. Papa Francesco a Cassano all’Ionio il 21 giugno 2014 ha avuto parole inequivocabili di condanna verso i mafiosi e la ‘ndrangheta in particolare, dichiarandone la scomunica. Chi fa della casa di Dio luogo di interessi di alcuni offende Maria, la Chiesa tutta, la comunità umana e, in realtà, anche la loro stessa dignità umana».
Il luogo di culto per eccellenza
Non è la prima volta, dunque, che la Chiesa disconosce la strumentalizzazione di Polsi per interessi mafiosi. Ciononostante, si parla ancora spesso di summit di ‘ndrangheta a Polsi, amplificando, come spesso accade, ciò che di male può accadere in quei luoghi.
Summit, però, implica un’organizzazione specifica. Implica dei fini precisi. Implica anche un’appropriazione consapevole del territorio. E così non è.
Non è la strategia mafiosa che porta la ‘ndrangheta a Polsi. E non è nemmeno solo la volontà di avere un luogo appartato dove potersi riunire.
Ciò che può portare esponenti della ‘ndrangheta a Polsi – e li spinge poi a discutere più o meno apertamente di strutture e attività criminali – non è la lucida consapevolezza o volontà di manipolare la religione o profanare il Santuario. È proprio il fatto che la Madonna della Montagna è il luogo di culto per eccellenza di quei territori.
Polsi nel DNA della ‘ndrangheta
Gli ‘ndranghetisti sono calabresi e, che ci piaccia o no, sono uomini (a volte anche supportati da donne). Come tali hanno identità plurali.
Il lato religioso si mischia qui a quello culturale. La pratica secolare dei pellegrinaggi e della novena si mescola alle consuetudini della mangiata della domenica di agosto al Santuario, della presenza alla festa del 2 settembre o alla festa della Croce del 14 settembre. L’abitudine della birra ad un euro mentre si balla la tarantella nella piazza antistante la chiesa fino a tarda ora è inestricabile dalla recita del rosario e dall’intonazione delle canzoni in dialetto dei devoti.
L’identificazione culturale con Polsi non è appannaggio solo della maggioranza sana di chi frequenta il Santuario, con le sue paure, le sue fatiche e le richieste perché la Madonna faccia una grazia. È parte anche del DNA dello ‘ndranghetista, che come sempre accade, soprattutto per la ‘ndrangheta, prende il comportamento, i valori e le tradizioni del suo popolo e le rende, consapevolmente o inconsapevolmente, parte di un disegno criminale.
Ribaltare la domanda
Bisogna ribaltare, quindi, la potenziale domanda: non è “com’è stato possibile che la ‘ndrangheta si sia appropriata anche di Polsi?”, ma “cosa non abbiamo capito del perché la ‘ndrangheta può continuare ad andare a Polsi?”.
Perché c’è di più. Lo ‘ndranghetista che a Polsi porta sé, la sua famiglia e parte della sua attività criminale, oltre a profanare il territorio sacro, fa del male – come sempre – a una parte dei suoi compaesani e corregionali, ma non tutti se ne preoccupano allo stesso modo.
Lo fa anche avallando la mancanza di rispetto che quel luogo sacro imporrebbe.
Manifestazioni di dispregio che non sono solo di matrice ‘ndranghetista e che portano alcuni – sempre una sparuta minoranza, si badi bene – a partecipare alle svariate celebrazioni religiose e sociali perché così fan tutti, o perché ci si vuol far vedere arrivando con la moto rombante fino al piazzale del Santuario. Diverse, certo, dal banale disinteresse di altri che magari vedono il tutto come una bella gita da fare con gli amici. Nulla di illecito in tutto questo, ovvio. Ma non lasciarsi avvolgere da questi luoghi cosicché venga naturale rispettarli nella loro intramontabile, primordiale, bellezza, è già una ferita.
Cosa può attrarre la ‘ndrangheta a Polsi
Di questo la ‘ndrangheta si appropria, come tutto ciò che è borderline qui da noi tra inciviltà e criminalità. Ed è anche per questo che alla domanda “cosa non abbiamo capito del perché la ‘ndrangheta può continuare ad andare a Polsi” si potrebbe rispondere che non solo gli ‘ndranghetisti sono individui a identità plurale e anche loro calabresi, ma anche che la mafia in generale – e la ‘ndrangheta nello specifico – si nutre di quei comportamenti arroganti e irrispettosi che stanno anche fuori di essa.
Un po’ come i comportamenti di alcuni giornalisti stranieri che mi chiesero come fare per andare a filmare a Polsi e, addirittura, suggerimenti su come riconoscere gli ‘ndranghetisti tra la gente.
Tutte le mancanze di rispetto per la cultura, la storia e la passione umana, religiosa e non, che diventano arroganza e presunzione possono contribuire ad attrarre la ‘ndrangheta anche a Polsi.
E come nel canto per eccellenza che si intona a Polsi, la Bonasira, «E la Madonna si vota e ndi dici: vaiiti, bona sira, e santa paci!».