MAFIOSFERA | Bonavota e non solo: cambia la caccia alle “primule”

Il boss di Sant'Onofrio è l'ultimo latitante eccellente finito (finora) nelle reti della giustizia. Merito senz'altro di inquirenti e forze dell'ordine che, a partire dall'arresto di Matteo Messina Denaro, hanno inanellato una serie di successi notevoli. Ma la retorica mediatica non aiuta la lotta alla mafia

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È proprio cambiato il linguaggio, dopo l’arresto di Matteo Messina Denaro e in seguito alla sua trentennale latitanza.
Dal 16 gennaio 2023 – giorno della cattura del boss di Castelvetrano – è cambiato il linguaggio di giornalisti e autorità, e non solo italiani, in riferimento alla cattura di altri latitanti di mafia. Quest’attività è diventata uno sport nazionale in cui le nostre autorità chiaramente primeggiano.
Proprio a partire da gennaio c’è stata quasi un’inflazione delle catture. Le quali sono proseguite a febbraio con Edgardo Greco (che boss non era ma come tale è passato al momento dell’arresto in Francia). E poi con Antonio Strangio, beccato all’aeroporto di Bali. entrambi a febbraio 2023.
L’ultimo (per ora) è Pasquale Bonavota, arrestato il 27 aprile mentre pregava in una chiesa di Genova, dove pare risiedesse da tempo con sua moglie.

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Pasquale Bonavota, il boss di Sant’Onofrio arrestato a Genova

Pasquale Bonavota: la primula di Sant’Onofrio

Bonavota, a capo dell’omonimo clan di Sant’Onofrio, in provincia di Vibo Valentia, è ricercato dal 2018. È stato assolto in un processo ma è ricercato per Rinascita-Scott. Il suo gruppo criminale compare in molte attività antimafia di questi ultimi anni, da Roma alla Svizzera al Canada, dal Nord Italia a Vibo Valentia.
Soprattutto, Bonavota era tra i latitanti considerati tra i più pericolosi dalla Direzione centrale della Polizia Criminale nella lista del Ministero dell’Interno. Ora ne restano tre: Attilio Cubeddu, Giovanni Motisi e Renato Cinquegranella.
E diciamolo pure: prima che venisse arrestato Messina Denaro, pochi sapevano che questi individui fossero in una lista tutta per loro. Ma non c’è dubbio che quello di Pasquale Bonavota sia un arresto molto importante, perché è il vertice di un’organizzazione ’ndranghetista transnazionale e particolarmente attiva in diversi settori.

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Rocco Morabito, supernacotrafficante arrestato dopo oltre 20 anni di latitanza

Il cambio di passo

A ben vedere qualcosa è cambiato dalla cattura di Rocco Morabito, nel maggio 2021 a Joao Pessoa in Brasile.
Il cambiamento si avverte sia nel modo in cui si raccontano i latitanti e le loro fughe più o meno rocambolesche o bizzarre. E si avverte nel modo in cui il resto del mondo si interessa a loro.
Dietro la cattura di Matteo Messina Denaro e Rocco Morabito, c’è un eccellente Reparto operativo speciale dei carabinieri.
La cattura di Messina Denaro, dunque, ha consolidato l’operato delle forze dell’ordine a caccia di latitanti pericolosi e certe tendenze di narrazione che già il caso di Morabito aveva sdoganato.
Facile dire cosa siano queste tendenze: subito le varie testate giornalistiche, locali e nazionali, raccontano la storia del boss sotto il profilo criminale e umano con dovizia di particolari Poi alle autorità si chiede di raccontare i dettagli della “caccia”: le intercettazioni, sorveglianza, lavoro di squadra e, ovviamente, la cattura Da ultimo i giornali stranieri riportano la notizia con un titolo di scarsa inventiva «Fugitive Italian mafia boss captured in…while…» (Boss latitante di mafia catturato a…mentre…).

Pasquale Bonavota: un arresto da copione

Sulla cattura di Bonavota abbiamo ovviamente visto tutto il repertorio.
Il perché è facile da intuire: non solo è un latitante di ’ndrangheta, ricercato per il maxi-processo Rinascita-Scott (ad oggi in corso nell’aula bunker di Lamezia Terme), ma è anche un boss calabrese di particolare caratura criminale.
Infatti, il mammasantissima di Sant’Onofrio è considerato un simbolo di quel cambiamento generazione della ’ndrangheta vibonese (e non solo) in cui i nuovi boss (Bonavota ha 49 anni e fa il boss da tempo) usano la testa e non solo le armi.
Abbiamo letto il suo profilo e una sorta di memo sulle sue pendenze giudiziarie e le sue attività criminali sui giornali locali e nazionali.
E abbiamo appreso i dettagli della cattura.
Ci si è ovviamente già chiesto chi lo stesse aiutando e dove fosse il suo “covo” (altro dettaglio in voga dopo le avventure a caccia dei covi trapanesi di Messina Denaro). E da ultimo, le testate internazionali, come spesso accade in questi casi, semplificano talmente tanto per agevolare i loro lettori da stravolgere i fatti. Ed ecco che per la Bbc Bonavota «leads the notorious ’Ndrangheta mafia», cioè sarebbe nientemeno che il leader della ’ndrangheta.

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Edgardo Greco

La notizia prima di tutto

A conti fatti la vera notizia non è solo che venga catturato un latitante (chiaramente la stampa estera non sempre entra nel dettaglio di cosa ciò implichi) ma che questo latitante sia di Italian Mafia. Il che significa due cose: la mafia italiana esiste ancora e l’Italia la combatte costantemente.
Quindi, con una forzatura dei criteri di notiziabilità, non basta che l’arrestato sia pericoloso. Deve essere sempre un leader, un boss, il top boss, dal momento che l’Italia ci investe soldi. Ma soprattutto si tratta di mafia italiana, argomento notoriamente acchiappa-lettori.
E questo succede sia che si tratti davvero di una figura apicale di un clan, come Bonavota, sia che si tratti di un killer come Edgardo Greco o di un narcotrafficante come Morabito, tutti in vari momenti definiti boss.

La mafia tira ancora, ma non esageriamo

Questa lettura estremizzata, spesso spettacolarizzata, di quello che significa catturare un latitante (anche quando non è un big come Bonavota) è anche alimentata dal fatto che tali catture ora sono possibili anche all’estero. E lo ribadiscono i dati di Interpol che grazie al progetto I-Can (Interpol Coordination Against the ’Ndrangheta) ha operato 42 arresti in tutto il mondo in poco meno di tre anni dall’avvio dell’iniziativa.
La mafia italiana – ora nella versione ’ndrangheta international – tira ancora e i suoi boss, che sempre tentano di sfuggire alla giustizia non hanno scampo.
Però sarebbe il caso di smetterla di chiamare tutti boss: non si aiuta una narrazione della mafia calabrese (e di tutte le altre mafie) se si dimostra di non capire o non saper raccontare, che queste organizzazioni criminali sono fatte da uomini e non da supereroi in fuga.

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Matteo Messina Denaro, l’ex superprimula del crimine italiano

La retorica della cattura

È una delle più classiche costruzioni narrative: la caccia al malandrino scaltro, al supereroe appunto. Un lavoro d’astuzia, strategia, e con uso mirato delle risorse laddove funzionano di più. Quindi non nella mera “rincorsa”, ma nell’accerchiamento.
Il risultato, quando si può comunicare l’arresto del latitante, è la gratificazione istantanea per tutti.
È un risultato spesso preciso e pulito, anche se non veloce, ma soprattutto non equivoco: lo Stato vince, tu, latitante, non puoi scappare. Il messaggio ha valore di sicuro deterrente, ma probabilmente anche dimostrativo.
E tutto ciò che ne consegue, dalla rassegna delle frasi del boss ai dettagli della cattura, può dimostrare che lo Stato, a prescindere da chi ha davanti, riesce, se vuole, a vincere. Perciò a dimostrare che la lotta alla mafia si fa sul serio.

Le massime di Pasquale Bonavota

Sono note alcune “perle” di Pasquale Bonavota, riportate negli atti di Rinascita-Scott e dai giornali in questi giorni. Il boss avrebbe detto per esempio: «Mio padre, ha detto una parola che allora io non capivo perché ero un ragazzo, ed oggi debbo dire la verità, se uno vuole fare il malandrino, oltre che devi essere, devi avere pure la mentalità, perché il malandrino, non siamo più che si fa con il fucile, mangiavamo, bevevamo, dopo che ci ubriacavamo … uscivamo in piazza e parlavamo, ormai si fa con il cervello, con diplomazia no?».
Ma a quanto pare il boss di Sant’Onofrio non ha bene imparato a usare cervello e diplomazia, se oggi è in manette. Il messaggio dello Stato è chiaro e univoco, in un momento storico in cui sull’antimafia i messaggi chiari e univoci non sempre abbondano.

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