Quando un giorno di dicembre ci si sveglia con i titoli dei giornali della seguente tipologia “Estorsioni a Manhattan: 18 arresti nel crotonese”, ci si aspetta – prima ancora di capire di che notizia si tratti – che gli arresti del crotonese siano collegati ad arresti a New York. Oppure che ci sia evidenza di estorsioni da parte di soggetti del crotonese a Manhattan. Suona un po’ inusuale, ma sicuramente sarebbe una gran notizia. Ma cosa significa che la ‘ndrangheta, un qualche clan di ‘ndrangheta, effettua estorsioni a Manhattan? Il 19 dicembre, una volta uscita la notizia, dettagli su estorsioni a Manhattan non compaiono né sui giornali né nelle carte dell’operazione. Men che meno tra le notizie americane: non ci sono arresti, indagini, niente di niente, a New York.
Il 19 dicembre, gli arresti a Rocca di Neto sono tutti concentrati sulla realtà crotonese. Nel corso di quel giorno, aspettando documenti dalle procure e giornalisti che iniziano a raccontare la vicenda, si comprende che gli arresti a Rocca di Neto sono legati ai clan mafiosi, di matrice ‘ndranghetista, e soprattutto alla famiglia Comito-Corigliano, legata a doppio filo al gruppo mafioso Iona-Dima e al locale di Belvedere Spinello, oggetto di plurime risultanze processuali sin dagli anni ’80, «coordinato e diretto da Iona Guirino dal carcere il quale agiva anche all’esterno mandando direttive (tramite il figlio Iona Martino) ai sodali» come si legge già in una sentenza del Tribunale di Crotone già nel 2006.
Le relazioni pericolose
Negli atti dell’operazione, riportati su Il Fatto Quotidiano a firma di Lucio Musolino, poi su altri canali nazionali e locali, fino al giorno di Santo Stefano con ulteriori dettagli da Antonio Anastasi su Il Quotidiano del Sud, si legge poi che è proprio al clan Iona di Belvedere Spinello e al clan Corigliano di Rocca di Neto, che farebbero riferimento alcuni soggetti dimoranti da tempo a New York e particolarmente nell’area di Long Island. Si tratta di soggetti attenzionati dall’FBI di New York, per ora a livello investigativo, come Teodoro Matozzo, detto Terry, coinvolto con la criminalità organizzata locale – famiglie Gambino e Colombo si dice – e garante dei servizi in tema di estorsioni a un imprenditore newyorkese.
Matozzo, ponte tra la criminalità locale e alcune nuove (e vecchie) leve calabresi a New York, avrebbe incaricato il gruppo criminale calabrese dei rocchitani di compiere ulteriori estorsioni a danno di imprenditori residenti nello Stato di New York, dopo un’estorsione andata a buon fine. Tale gruppo e il loro piano estorsivo sono diventati dunque oggetto di indagine da parte dell’FBI dal marzo del 2020 – in collaborazione con le nostre procure antimafia tramite I-CAN (Interpol Cooperation Against the ‘Ndrangheta) e avevano portato anche a osservare le relazioni tra altri soggetti negli Stati Uniti, lì dimoranti o in visita.
Estorsioni e unità a New York
Tra questi, Ernesto Toscano, di Rocca di Neto, che grazie a Matozzo aveva iniziato a frequentare New York con vari intenti, alcuni dei quali criminali, come ad esempio cambiare assegni a nome di una società locale appartenente ad alcuni “amici” per liquidità pari a quasi un milione di dollari. Tra chi ha un negozio di compro-oro e cambio-assegni, e chi gestisce imprese di pitturazione o imprese edili, la comunità della zona della Valle del Neto fa cerchia e sostiene i conterranei, vecchi e nuovi. Molti dei soggetti menzionati in questa operazione e indagine hanno business o dimora nelle zone di Franklin Square e Glen Cove, nella Nassau County a Long Island – a est di New York City.
Insomma, dicono le carte e raccontano i giornalisti che in questa operazione e indagini collegate, grazie al coinvolgimento dell’FBI e del Dipartimento di Giustizia americano, si conferma «l’esistenza di un gruppo unitario di ‘ndrangheta operante nell’area di Long Island, direttamente riferibile ai clan Corigliano di Rocca di Neto e Iona di Belvedere Spinello». Ma, dunque, cosa significa che la ‘ndrangheta di Belvedere Spinello e Rocca di Neto, ‘offre’ estorsioni a Manhattan?
La ‘ndrangheta come manovalanza di chi comanda davvero
Di base, significa, che questa ‘ndrangheta viene usata come manovalanza per organizzazioni criminali autoctone – principalmente famiglie di Cosa nostra americana – che si ritengono, o sono ritenute, superiori, al punto da poter commissionare ai rocchitani i servizi di racketeering, cioè protezione ed estorsione. È dunque una ‘ndrangheta riconosciuta in territorio statunitense, sebbene criminalmente – nella gerarchia del crimine organizzato – su un gradino inferiore.
Si parla spesso di ‘ndrangheta globalizzata, come se fosse in qualche modo quasi un “merito” della criminalità organizzata calabrese riuscire a inserirsi in altre realtà criminali e non. E ancora ci si sorprende che l’antimafia italiana e l’FBI facciano operazioni di contrasto comuni (ricordiamo che in realtà ciò accade dai tempi di Pizza Connection con Giovanni Falcome…). Ma da un punto di vista analitico si sa che la globalizzazione del crimine organizzato è effetto collaterale della mobilità del capitalismo: mobile è il capitale, mobile è l’individuo, mobile la comunicazione, mobile è anche l’azione di contrasto.
È dunque da considerarsi normale – nel senso di atteso, previsto e prevedibile – sia che clan mafiosi facciano affari all’estero, sia che le autorità si adoperino per cooperare e stopparne le attività. È da considerarsi normale attività da mondo globalizzato che si utilizzino le asimmetrie giudiziarie e finanziarie tra Stati Uniti e Italia per spostare i soldi da una parte all’altra e ricavarci qualcosa anche illecitamente. Normale è che da New York si telefoni a Catanzaro sperando di riuscire a coordinare indagini e azioni di polizia.
Controllo del territorio a New York
Ma in questo caso a New York ci sono le estorsioni, che non sono “banali” attività criminali da mafia globalizzata. Non si tratta qui solo di iniziative di sfruttamento di contesti diversi e opportunità illecite e di arricchimento all’estero – che pure ci sono. Le estorsioni a imprenditori locali nella città statunitense (effettive o tentate) denotano un certo grado di controllo del territorio – fisico quanto virtuale o settoriale – e soprattutto un gruppo che sul territorio vuole rimanere e si dimostra intraprendente.
Matozzo e i suoi sodali, per quanto nati in Calabria, questo controllo sembrano avercelo o mirano a consolidarlo perché sono americani sia nello spazio di azione che per la loro rete relazionale. Vengono definiti gruppo di ‘ndrangheta per origini e per collegamenti alla Calabria, ma di fatto sono molto di più. È il loro essere non solo calabresi, ma anche e soprattutto newyorkesi, a renderli capaci di sfruttare al meglio le varie sfaccettature dei possibili scenari illeciti.
Più americani che calabresi
Non è il loro essere ‘ndrangheta – qualunque cosa questo implichi – a renderli capaci di offrire servizi di racketeering; è grazie alla dimestichezza con l’economia legale della città americana e ai contatti con le famiglie criminali di Cosa nostra americana che questo gruppo di migranti riesce a cooptare calabresi sbarcati oltreoceano con visto turistico da impiegare in non meglio precisate attività, tra cui verosimilmente lavoro in nero e/o manovalanza criminale in varie aree della Grande Mela. Ad esempio, parrebbe che il gruppo avesse ideato la possibilità di estorcere imprenditori grazie anche all’attività (legale) della moglie di Matozzo, riconosciuta dalle Camere di commercio newyorkesi.
C’è poi un altro dato da considerare in questa vicenda. L’elemento interessante per l’analisi dei fenomeni criminali in questo caso riguarda soprattutto l’assetto criminale della città americana. A New York – come già detto – non può entrare la ‘ndrangheta dalla Calabria a gamba tesa, o chiunque altro, se non per offrire servizi necessari per il crimine organizzato, ma di “derivazione” o su “commissione” di gruppi locali già radicati – protezione, estorsione, distribuzione di sostanze stupefacenti. Esiste un brand più forte, quello di LCN (La Cosa Nostra – americana) con le cinque famiglie, Gambino, Genovese, Colombo, Bonanno, Lucchese che sopravvivono (a fatica, comunque) grazie a un’identità acquisita e consolidata da decenni, a cui gli altri, italiani e calabresi arrivati oggi come 40 anni fa, si legano.
In trasferta è un’altra cosa
I cinque cognomi – intorno a cui FBI e NYPD (New York Police Department) organizzano il loro lavoro da oltre quarant’anni – sono ormai cognomi tipici dei casati reali, non più indicativi della loro leadership (non c’è un Genovese a capo o nelle fila della famiglia Genovese per dire) ma chiaramente riconoscibili da esterni e interni. Che un gruppo di calabro-americani possa offrire servizi di protezione ed estorsione ad affiliati di una o più delle cinque famiglie, conferma che i clan calabresi – quelli in Calabria – sanno giocare la partita, sanno adattarsi ai campi da gioco, vogliono giocare fuori casa, ma non sempre sono i campioni in carica nelle trasferte.
E ci fa riflettere sul fatto che anche quando si tratta di attività che riguardano il territorio – tipo le estorsioni – la presenza e la partecipazione della ‘ndrangheta all’estero è dipendente dagli assetti criminali locali: sono effetto della globalizzazione la mobilità e la fama della mafia calabrese, ma non il successo oltremare.