MAFIOSFERA| Le nuove rotte della coca: i porti della ‘ndrangheta

Da Santos in Brasile fino a Le Havre sulle coste francesi. Come si muovono tonnellate di droga. La sottile linea bianca dei clan calabresi

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Il 24 marzo 2022, la polizia federale brasiliana ha portato a termine un’operazione contro il narcotraffico durata tre anni, su tre stati: Paranà, Santa Catarina e São Paulo.
Diciassette persone sono state arrestate con l’accusa di aver inviato tonnellate di cocaina in Europa dal porto di Paraguanà. Questo gruppo criminale, dice la polizia brasiliana, lavorava con un clan (non meglio specificato) di ‘ndrangheta che curava la logistica del trasporto del narcotico in Europa, per esempio dal porto di Le Havre in Francia, ma anche tramite gli scali spagnoli o tedeschi.

I portuali al soldo delle ‘ndrangheta

Come accade in molti casi simili, lavoratori portuali infedeli avrebbero aiutato fornendo informazioni e offrendo il proprio know-how portuale al gruppo criminale. Il narcotico veniva nascosto all’interno di vari compartimenti dei container – ad esempio nei vani frigo, oppure nascosto tra i sacchi di caffè o di frutta.

Si usava anche il metodo del rip-on/rip-off, una tecnica che gli ‘ndranghetisti hanno pionieristicamente utilizzato sin dai tempi di Operazione Decollo negli anni ’90. Con la tecnica del rip-on/rip-off (che letteralmente significa “presa in giro” o “fregatura”) si nasconde la cocaina in borsoni che vengono poi piazzati all’interno del container all’insaputa di armatori, trasportatori e altri, per poi venir recuperati all’arrivo, sempre all’insaputa di chi ha ordinato il carico del container.

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Santos, in Brasile, è uno dei porti crocevia della coca

A cercarlo sulla mappa, si nota subito perché proprio Paraguanà sia stato il porto prescelto per questa (apparentemente) nuova venture criminale. Quinto porto del Brasile, Paraguanà è situato proprio sotto il Porto di Santos, il porto più trafficato dell’America Latina e nella top 40 dei porti più grandi del mondo. Da Santos, dicono report e indagini di mezzo mondo, passa una delle rotte più importanti del traffico di cocaina verso l’Europa. E il primato per le importazioni, storicamente ormai, spetta ai broker dei clan di ‘ndrangheta. Da Paraguanà si muove anche il commercio dal Paraguay, che non ha suoi sbocchi sul mare e che ultimamente è diventata una nazione particolarmente interessata dal narcotraffico.

In Operazione Pollino-European Connection, diretta dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria nel 2018, si erano già documentati i viaggi che Domenico Pelle aveva effettuato in Brasile per incontrare esponenti broker e rappresentanti di vari cartelli del narcotraffico, con i quali pianificava e definiva le trattative per l’invio in Italia di varie partite di cocaina, in arrivo a Gioia Tauro.

Nel 2019, a São Paulo, fu arrestato Nicola Assisi, considerato un broker di primo livello dei clan di ‘ndrangheta, soprattutto al nord Italia. Assisi, che era l’erede criminale di Pasquale Marando, altro broker di ‘ndrangheta, aveva contrattato col Primero Comando da Capital (PCC), un’organizzazione criminale brasiliana, per l’approvvigionamento e il movimento di cocaina sul porto di Santos verso l’Europa.

I colletti bianchi

E infatti, in Operazione Magma, sempre della procura di Reggio Calabria – che nel 2020 ha rivelato tra le altre cose, i contatti di alcuni associati dei clan a colletti bianchi in Argentina per facilitare la scarcerazione di Rocco Morabito ed evitarne l’estradizione – leggiamo che uno dei fornitori del gruppo facente capo al clan Bellocco di Rosarno, un certo Ruben, sta appunto in Brasile e utilizza proprio Santos come base del suo traffico.

Lo stesso Carmelo Aglioti, imprenditore nel settore import-export associato del clan Bellocco (per cui curava gli affari del narcotraffico in America latina), che si era interessato alla vicenda di Rocco Morabito per conto della sua famiglia, informava un suo collaboratore: «Se ti dice Ruben che in questi giorni ha pronto qua… Se loro riescono a farla venire a Gioia Tauro … […] Ce l’hanno, ce l’hanno. […] Loro dicono di sì […] Ma non diretto da Buenos Aires, da Santos o da un altro porto!». E probabilmente si intende Paraguanà.

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Rocco Morabito, uomo di punta del potentissimo clan di Africo

Le rotte della coca e i nuovi “varchi”

Alla luce delle indagini degli ultimi anni tra Italia e Brasile, possiamo identificare quattro ingredienti chiave del narcotraffico, che aiutano anche a comprendere il ruolo della ‘ndrangheta nel mercato della cocaina.

Innanzitutto, l’importanza di aprire “varchi”, di trovare “porte” d’ingresso – come si dice in gergo – negli scali portuali. Proprio per i volumi di merce in transito dai porti brasiliani, chiunque importi cocaina, dunque deve attrezzarsi per reperire uno o più broker che abbia accesso a tali scali. In questo, molti clan di ‘ndrangheta storicamente impegnati nel narcotraffico, si sono distinti, non solo procurandosi broker esteri, ma inviando proprio emissari che si sono poi “formati” all’estero e sono diventati broker di più clan dunque dominando il mercato. Se il broker riesce a trovare la porta d’accesso a un nuovo scalo, come nel caso del porto Paraguanà, questo influenzerà tutta la filiera di distribuzione.

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Le rotte della cocaina dai porti del Sudamerica fino allo scalo di Gioia Tauro

In secondo luogo, è bene ricordare che le rotte della cocaina dipendono immancabilmente dalle rotte regolari delle merci. In questo senso, avere un varco, aprire una porta, in uno scalo che non ha rotte dirette o frequenti verso l’Europa, non serve a molto. Anche gli ‘ndranghetisti dunque, per quanto capaci, devono adattarsi alla legge del mercato (legale).

Nelle intercettazioni di operazione Magma, un associato di Aglioti ritiene di non essere più sicuro di far giungere future importazioni sfruttando le rotte con scalo in Brasile delle navi cargo dirette a Gioia Tauro a causa, verosimilmente, dei sequestri degli ultimi anni. Si propone quindi un nuovo canale di spedizione mediante l’occultamento su navi cariche di carbon fossile in partenza dalla città colombiana di Santa Marta, ma con destinazione i Paesi Bassi. «[…] Navi … non
esiste più! (intende dire navi porta container con destinazione Gioia Tauro, ndr) […] Non esiste più … non c’è … […] Se poi ti dice con la nave carbone … trovano lo spazio nella nave carbone … solo nave carbone … ma Amsterdam o Rotterdam […] Partono da Santa Marta! […]».

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La “roba” sequestrata dalle forze dell’ordine in attesa di essere distrutta

Due porti “sicuri”: Le Havre e Gioia Tauro

Terzo, per poter concludere l’importazione, è necessario avere la capacità di muoversi velocemente anche negli scali di arrivo, anche qualora questi cambino, se cambiano le rotte oppure se il carico è a rischio intercettazione. Ci conferma sempre Aglioti in operazione Magma di quanto sia necessario non solo avere i fornitori in America Latina, ma anche avere chi si occupa dello spostamento della cocaina una volta arrivata al porto di destinazione, qualunque esso sia, in Europa.

Se l’organizzazione criminale riesce ad assicurarsi varchi all’origine e logistica alla destinazione, l’operazione sarà più sicura. «Noi abbiamo un altro porto sotto mano … “LE HAVRE”, sai dov’è Le Havre? In Normandia, in Francia. Io, prima di partire sono venuti due francesi di là …(incomprensibile) … coi calabresi […] “se voi mandate la roba là, dalla Francia, ve l’assicuriamo noi che la portiamo via dal porto! Al 100%!” … dal porto di Le Havre, dal porto internazionale di Le Havre. Quindi c’hanno 2 porti sicuri in questo momento, Gioia Tauro … [e Le Havre]».

La reputazione della ‘ndrangheta

La capacità di adattarsi ai cambi di rotta (letterali a volte) e l’abilità nel forgiare legami sia nei paesi fornitori che negli scali fondamentali per la logistica dell’arrivo sono fondamentali per quei clan di ‘ndrangheta che importano cocaina. Sono questi legami e queste capacità che rendono la mafia calabrese “conosciuta” in questo settore e ne forgiano la “reputazione”. Non bisogna dimenticare, da ultimo, un ulteriore fondamentale ingrediente che rende tutto questo possibile, e cioè la disponibilità di denaro.

Serve molto denaro per operare a questi livelli. E in questo la reputazione acquisita aiuta gli ‘ndranghetisti. Aglioti conferma di essersi guadagnato la fiducia dei fornitori a tal punto che questi gli concedevano di inviare le partite di stupefacente previo pagamento in anticipo solo del 50% dell’intero valore «[…] tu paghi il 50%, il 50% a nostro carico, a nostro carico. In più, tu metti uno, noi mettiamo due. Tu metti dieci, noi mettiamo venti. Tu metti 50, noi mettiamo cento. Ne paghi 50, poi il resto è vostro», tutto il resto. Perché una volta andavano lì e compravano in conto vendita.

E dunque, cambieranno ciclicamente le rotte, cambieranno anche le modalità di accesso agli scali portuali, si apriranno nuovi varchi, e si inventeranno nuove modalità di spedizione. Ma fintanto che ci sono domanda, offerta, denaro da investire e reputazione criminale, i clan di ‘ndrangheta che lo vorranno continueranno a scegliere il mercato della cocaina.

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