MAFIOSFERA| Dove c’è Calabria c’è ‘ndrangheta? Paradossi e faide in Canada

Una donna imparentata con un boss uccisa a Montreal, un presunto affiliato alle 'ndrine che accusa i tribunali locali di pregiudizi etnici nei suoi confronti. Cosa nostra, Siderno Group e "un'equazione criminal-geografica" che rischia di favorire i mafiosi dall'altro capo dell'Atlantico

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Basta trovare un calabrese che commette crimini vari all’estero per annunciare la presenza della ‘ndrangheta oltremare? No, non dovrebbe bastare. Eppure due eventi recenti in Canada, uno in Ontario e uno in Quebec, quando letti insieme, ci offrono uno spaccato interessante dello stato dell’arte – e della difficoltà di comprensione e accettazione – delle dinamiche criminali para-mafiose quando si ha la cosiddetta dimensione etnica all’estero.

Il delitto Iacono: Calabria e ‘ndrangheta in Canada

L’evento più recente riguarda un omicidio avvenuto a Montreal. A cadere è stata Claudia Iacono, il 16 maggio, uccisa in pieno giorno davanti al salone di bellezza di cui era proprietaria. Non sembrano esserci dubbi sul fatto che fosse proprio lei la vittima designata. Ma non sembra nemmeno essere un colpo da professionisti.
A rendere morbosa (più del solito) l’attenzione su questo omicidio sono l’identità della vittima e quella della sua famiglia. Claudia Iacono era una influencer locale. Ed era sposata con Antonio Gallo, il figlio di Moreno Gallo, un tempo importante membro della cosiddetta fazione calabrese della mafia di Montreal.

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Antonio Gallo e Claudia Iacono

Laddove Claudia Iacono non sembra essere stata coinvolta in attività criminali, lo stesso non si può dire per suo marito e suo suocero. Moreno Gallo fu assassinato in un ristorante italiano in Messico nel 2013, dopo essere stato espulso dal Canada.
A molti dei locali il delitto Iacono pare illogico: che senso avrebbe toccare la nuora di un boss? Forse avrebbe avuto più senso che la vittima fosse stata suo marito.
Nonostante ancora non ci sia chiarezza sulle motivazioni dell’omicidio, subito si è consolidata una teoria che lo collega ad una faida di criminalità organizzata. E siccome si tratta di Montreal, per niente estranea a questo tipo di violenza (sono già 8 gli omicidi in città nel 2023), questa teoria non è affatto campata per aria.

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Moreno Gallo, ucciso in Messico 10 anni fa

Calabria vs Sicilia: ‘ndrangheta e Cosa nostra in Canada

Di faide a Montreal non ne sono mancate. L’ultimo troncone, a più riprese e con periodi di pausa (forzata o forzosa) è in corso dalla morte, nel 2013, del boss Vito Rizzuto. Rizzuto era una storica figura della mafia canadese, legato alla famiglia Bonanno di New York City e originario di Cattolica Eraclea, in provincia di Agrigento.
Come ho già delineato in un altro articolo, l’origine del dominio della famiglia Rizzuto è collegato ad una faida con un’altra famiglia, il clan Cotroni-Violi, originari di Mammola e Sinopoli in provincia di Reggio Calabria, su cui i Rizzuto hanno primeggiato negli anni Settanta.

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Vito Rizzuto è stato il capo della Sesta Famiglia in Canada fino alla sua morte

Tra le fila dei Cotroni-Violi c’erano dei vecchi affiliati di ‘ndrangheta. Poi, però, come è successo nella vicina città di Hamilton, il gruppo si è trasformato in una famiglia criminale ibrida, senza ‘bandiere’ mafiose chiare. E, soprattutto, legata alle dinamiche locali e non internazionali.
Alla base del potere mafioso di Montreal c’è dunque un male primigenio mai davvero risolto che è passato alla storia cittadina come faida tra siciliani e calabresi. E qui torniamo a Moreno Gallo, di origine calabrese ma effettivamente mafioso nelle fila dei Rizzuto. Quindi, “ufficialmente” legato a Cosa nostra americana nella sua versione canadese.

Montreal: ma la Calabria in Canada è tutta ‘ndrangheta?

La sua è una parabola normalissima per quei territori. Lì la regionalizzazione del crimine organizzato italiano – calabresi e siciliani – non ha lo stesso significato che può avere da noi. Nel periodo di vuoto di potere legato alla carcerazione del boss Rizzuto, Gallo si era legato a un gruppo di dissidenti interno alla famiglia Rizzuto. Erano i cosiddetti calabresi, guidati però da un siciliano di Castellammare del Golfo, Salvatore Montagna, da Joe Di Maulo, molisano, membro apicale della famiglia (di origini calabresi) Crotoni, e suo cognato Raynald Desjardins, nemmeno italiano.

E qui arriva il vero nocciolo della questione. Molti giornali italiani hanno infatti riportato la notizia della morte di Claudia Iacono definendola “vittima di ‘ndrangheta” o da inserire comunque all’interno di una faida di ‘ndrangheta a Montreal. Quest’accezione non potrebbe essere più errata: non solo Moreno Gallo non era ‘ndrangheta, ma praticamente quasi nessuno dei cosiddetti calabresi di Montreal ha qualcosa a che vedere con la ‘ndrangheta (salvo alcuni collegamenti storici o legati a business vari ed eventuali).

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Una strada del quartiere Little Italy – o, meglio, Petite Italie – a Montreal

Anzi, tale confusione finisce per alzare il profilo di alcuni di questi soggetti, rendendoli più di quel che sono, nel mondo criminale. Ma la questione si fa ancora più complicata quando si va ad allargare l’analisi oltre Montreal. Che esista una fazione calabrese nella mafia canadese/americana/italiana a Montreal che non è collegata con la ‘ndrangheta ovviamente non significa che non esista la ‘ndrangheta sul territorio. Anzi.
Il secondo evento ci dimostra che così non è. E che la confusione che regna sovrana nel leggere gli eventi di mafia canadese in una connotazione etnica non fa altro che aiutare quelli che ‘ndranghetisti sembrano proprio esserlo.

L’espulsione di Vincenzo Jimmy DeMaria

Vincenzo “Jimmy” DeMaria, un uomo di 69 anni, originario di Siderno ma residente in Ontario – in particolare nella zona di Mississauga, un sobborgo di Toronto – è sotto processo (dal 7 maggio) davanti all’Immigration and Refugee Board, il Tribunale per l’Immigrazione. Il Canada vuole rispedirlo in Italia in seguito a una serie di intercettazioni e risultanze italiane, inammissibili però in sede di processo penale, secondo cui DeMaria farebbe parte del Crimine di Siderno, membro della ‘ndrangheta in Ontario. Nonostante i tanti anni in Canada (da metà anni 70) in seguito a una condanna per omicidio – un’esecuzione in piena regola – DeMaria non ha mai potuto prendere la cittadinanza canadese. E l’espulsione per questioni legate a un possibile coinvolgimento con la criminalità organizzata è sempre alle porte.calabria-canada-ndrangheta-tribunale

Ma facciamo una digressione perché il background qui non è da poco. Il fratello di Jimmy – o Gimì come viene chiamato da alcuni sidernesi ‘in vacanza’ a Toronto – è Joe, Giuseppe. Joe DeMaria, secondo gli inquirenti di Reggio Calabria durante l’indagine Canadian ‘Ndrangheta Connection del 2019, è membro apicale della ‘ndrangheta sidernese della Greater Toronto Area, cioè proprio delle aree intorno a Toronto, da Brampton a Vaughan fino a Mississouga.
Insieme ai DeMaria, altri membri apicali sarebbero Luigi Vescio, Angelo Figliomeni, Cosimo Figliomeni, Rocco Remo Commisso, Francesco Commisso. Ma coinvolti nel Siderno Group sono i cugini di Gimì e Joe, e in particolare Michele Carabatta sempre in Ontario e Vincenzo Muià, intorno al cui viaggio in Canada si muove quasi tutta l’indagine in questione.

La ‘ndrangheta del Canada che pesa anche in Calabria

Muià era, infatti, andato ‘in vacanza’ in Canada per capire come risolvere (e in caso per avere autorizzazione a farlo) l’omicidio di suo fratello Carmelo in Calabria.
A prescindere da una serie di assoluzioni a processo, l’indagine fu importante perché raccontò di come si andasse a risolvere faccende di ‘ndrangheta sidernese in Canada. Questa ‘ndrangheta di Toronto non solo è ‘ndrangheta DOC, ma è anche ‘ndrangheta che influenza la Calabria (anche se provarlo a processo è un’altra cosa).

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Beni sequestrati nel corso dell’operazione Canadian ‘Ndrangheta Connection

Finita questa digressione torniamo a Jimmy DeMaria, che era stato già sotto processo davanti al tribunale per l’immigrazione altre volte. L’ultima – in appello – risale al 2019, prima di Canadian ‘Ndrangheta Connection, e lo vedeva in aula in quanto presunto affiliato alla ‘ndrangheta (riconosciuta come organizzazione mafiosa straniera in Canada) e coinvolto in una serie di attività di riciclaggio grazie a società di servizi finanziari.

U mastru Commisso e le prove insufficienti

Nel 2018 il tribunale aveva dichiarato «che esistono ragionevoli motivi per ritenere che il Richiedente (Vincenzo, Jimmy, DeMaria) sia un membro della ‘Ndrangheta». Di conseguenza, si era ritenuto che vi fossero ragionevoli motivi per ritenere che DeMaria e uno dei suoi business, The Cash House, operato da suo figlio Carlo, fossero coinvolti nel riciclaggio di denaro. La cosa portò nello stesso 2018 a un ordine di espulsione dal Canada per DeMaria, che si appellò nel 2019.

La camera d’appello rifiuterà il primo grado e dirà che: «Il Board sembra partire dal presupposto che, poiché ufficiali e forze di polizia esperti ritengono che il Richiedente [DeMaria] sia un membro della ‘Ndrangheta, ciò costituisca di per sé una ragionevole motivazione. Tuttavia, come ha dimostrato il Richiedente [DeMaria], ci sono problemi significativi con queste prove che il Board avrebbe dovuto affrontare prima di accettare le conclusioni della polizia … Gran parte dell’analisi del Board si basa su “transazioni sospette” e “ipotesi” che richiedono l’appartenenza alla ‘Ndrangheta per essere considerate ragionevoli motivi a cui credere. Pertanto, la decisione deve essere annullata anche per questo motivo e rinviata per un nuovo esame».

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Giuseppe “U mastru” Commisso

Insomma, dice il Tribunale amministrativo nel 2019, bisogna dimostrare che DeMaria è ‘ndranghetista. E non solo tramite la testimonianza delle forze di polizia o dei giornali o dalle intercettazioni o da resoconti di sorveglianza. Non è molto chiaro cos’altro effettivamente chieda questo tribunale, dal momento che a processo, contro DeMaria, si erano portate anche delle intercettazioni di Giuseppe Commisso, u mastru, capo indiscusso della ‘ndrina omonima di Siderno e a un certo punto anche capocrimine, che raccontava della connessione tra Jimmy DeMaria e alcuni problemi della ‘ndrangheta con la polizia a Toronto.

Jimmy DeMaria e la profilazione etnica

Complice quindi la difficoltà – nota – di provare l’appartenenza alla ‘ndrangheta in Canada, ecco che Jimmy DeMaria in sede processuale non solo dichiara di aver appreso della ‘ndrangheta a/di Siderno soltanto dai giornali, ma anche di essere vittima di profilazione etnica. Prende un’equazione superficiale che equipara lo ‘ndranghetista al calabrese (criminale o meno) e la usa a suo vantaggio.

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Vincenzo Jimmy DeMaria

«A mio parere … molto di questo, se si guarda davvero a molto di questo, c’è un sacco di profiling etnico in corso qui, perché vieni da una certa area, vieni da lì, quindi perché vieni da lì, questo e quello, deve essere il caso». E ancora: «Se vai in un ristorante italiano qui e sei italiano, subito: “Ah, sì, beh, sai, dobbiamo tenere d’occhio questo tizio”, capite? È uno stereotipo che purtroppo quando sei italiano ci vivi dentro». Gli verrà risposto da chi presiede l’udienza con molta attenzione e correttezza politica – e di base per evitare appunto un’accusa di pregiudizio etnico – che così non è, assolutamente, e che tutti conoscono italiani che nulla hanno a che fare con la mafia. Ci mancherebbe, aggiungerei.

Se la Calabria in Canada equivale alla ‘ndrangheta

Ma eccoci al cerchio che si chiude. Claudia Iacono – le cui sorti non sono chiare, ma la cui vita (e morte) sono state già legate alla criminalità organizzata – viene tirata dentro all’equazione superficiale criminale calabrese = ‘ndranghetista, a torto. Ma tale equazione è ormai prassi da giornalismo disattento e analisi superficiale. E altro non fa che rafforzare quella trappola etnica da cui dovremmo soltanto voler uscire in nome della chiarezza dei fenomeni.

Jimmy DeMaria utilizza quella stessa trappola etnica e quella prassi a suo favore, sapendo che potrebbe proprio attecchire. E che è vero, c’è una sorprendente maggioranza di gente che non opera distinzione tra italiano/calabrese e mafioso/‘ndranghetista. Questo alla fine dei giochi confonde la narrativa. Rende rumorose le indagini sul perché abbiano ucciso una donna a Montreal. E rischia di aiutare un presunto ‘ndranghetista a rimanere in Canada.

Insomma, se le cose hanno un nome vuol dire che quel nome implica dei confini: se c’è ‘ndrangheta, c’è anche una non-‘ndrangheta. E sarebbe il caso di ricordarsi – come ci ricorda il processo a DeMaria – che ad annacquare i nomi e a espandere i confini di un fenomeno sociale si rischia soltanto che ci si ritorca contro. E che il fenomeno perda di chiarezza al punto da non essere proprio più riconosciuto e riconoscibile.

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