MAFIOSFERA | Massondrangheta? Ce n’è una, ma non chiamiamola così

I rapporti tra grembiuli deviati, clan e potenti sono una realtà. Ma gli intrecci cambiano molto, manifestandosi in almeno quattro modi differenti. Ecco quali sono e perché semplificarli uniformandoli impedisce di comprenderli fino in fondo

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Riassunto delle puntate precedenti: Matteo Messina Denaro viene arrestato il 16 gennaio 2023 dopo latitanza trentennale. Nel frastuono mediatico, si è rinvigorito lo spettro massonico, ossia l’evocazione di un potere occulto, nutrito di mentalità mafiosa, che avrebbe coperto il boss impedendone la cattura. Tesi accattivante, non fosse per la vaghezza di queste affermazioni.
Troppo spesso una presenza massonica viene richiamata senza curarsi delle evidenze storiche e sociologiche (per non parlare della rilevanza penale) di quel fenomeno – esistente, seppur dai confini labili – che è la borghesia mafiosa. Tale si definisce quella classe sociale connotata da pratiche illecite sistematiche, alimentate dal contatto ravvicinato tra mafie e “potere” (istituzionale o politico). Nonostante le ambiguità, rimane valida la domanda: che tipo di protezioni ha avuto Matteo Messina Denaro, e soprattutto, quanto c’entra la massoneria?

Massondrangheta e apericene

I termini massomafia e massondrangheta dovrebbero cadere in disuso. Parole assimilabili a ristopizzerie, gastropub, o apericene: espressioni lessicali che fondono due cose diverse, preservandone l’identità doppia. Per pigrizia linguistica, non si trovano espressioni più appropriate e articolate. Si uniscono due concetti singolarizzati all’estremo – tutti fenomeni plurali, compositi, stratificati – come massoneria e mafia o ‘ndrangheta (fino a che non esca una massocamorra, o peggio una massosacracoronaunita…). Poi li si semplifica fino all’osso sublimandone la natura in un concetto sdoppiato, indefinito, inutilizzabile a livello di analisi.

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La massoneria è un fenomeno storico, sociale e organizzativo, contraddistinto da fumose aspirazioni di elevazione personale e sociale. La mafia e la ‘ndrangheta sono organizzazioni criminali, da contestualizzare storicamente e sociologicamente. Di fatto, le condotte di mafiosi e massoni vanno attribuite a specifiche persone e sottogruppi, con un impatto differenziato a seconda della funzione esercitata.

Massoni deviati e mafiosi

Il ruolo sociale con cui si arriva alla massoneria spesso detta la motivazione per entrarvi: opportunità di affari, per molti; volontà di seguire un percorso d’illuminazione spirituale, per alcuni; opportunità di incontrare persone di analoga estrazione sociale e accrescere il proprio prestigio, per altri. Il comportamento qui conta più che lo status. Del resto, lo status di “massone” – a differenza, in certi casi, di quello del “mafioso” – non è affatto indipendente. Nessuno è “professionalmente” soltanto massone (a parte forse i vertici delle principali obbedienze). Esistono il medico-massone, l’avvocato-massone, il politico-massone, e via discorrendo.

Si possono individuare quattro formule di interazione in cui la figura di un massone deviato, cioè un massone che non segue la vera ‘chiamata’ della massoneria – all’interno di logge irregolari, spurie, coperte, segrete, o interamente devianti – interferisce nel rapporto tra mafie e potere. Le abbiamo individuate e analizzate in una ricerca sviluppata assieme al professor Alberto Vannucci.

P2 e Iside 2: comandano i venerabili

Prima formula: il massone (formalmente in regola o meno con gli statuti della sua obbedienza, ma comunque deviato) è promotore di condotte illecite in un network in cui egli stesso fa da garante agli scambi tra attori di varia estrazione, inclusi i mafiosi e i politici/funzionari. Questo è il caso della P2 di Licio Gelli – ragno in mezzo alla sua ragnatela, o meglio burattinaio, come lui stesso si autodefinì – nella vicenda che ha irreversibilmente modificato la narrazione sulla natura della massoneria contemporanea in Italia, ridotta nell’immaginario collettivo a sede occulta di affari illeciti e maneggi loschi affidati alle potenti mani di insospettabili.

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Licio Gelli, è stato il capo della P2

È anche il caso, sempre negli anni ’80, della loggia Iside 2 di Trapani (che faceva capo al Centro studi Scontrino) – unico processo penale in cui si è applicata con successo la legge Anselmi (approvata dopo lo scandalo P2) contro l’interferenza nella vita pubblica delle società segrete. Il maestro venerabile della loggia Iside 2, il docente Giovanni Grimaudo, imitando Licio Gelli, pilotava le attività illecite di un reticolo di affiliati composto da “colletti bianchi”, ma anche da alcuni esponenti di Cosa nostra: tutti portavano in dote opportunità, entrature, risorse.

Grimaudo, come Gelli, offriva servizi di “protezione”, risolvendo i problemi che affliggevano i fratelli nei loro rapporti con l’apparato pubblico. Sia nella P2 che in Iside 2 ai massoni era reso pressoché impossibile incontrarsi e accordarsi tra di loro: tutto doveva passare per l’intermediazione dei maestri venerabili, realizzando così una piena personalizzazione in capo a un solo soggetto dell’attività massonica deviata.

Rinascita-Scott, la quasi massondrangheta

Seconda formula: il massone (deviato) è parte di un network di vari soggetti, coinvolti in attività e scambi informali, illeciti, o criminali, inclusi i mafiosi e i politici/funzionari, senza che nessuno abbia un ruolo dominante. Qui il massone deviato opera all’interno di una cerchia in cui gli scambi di favori, gli illeciti e gli abusi coinvolgono congiuntamente una pluralità di attori. Sono le frequentazioni tra avvocati, medici, politici e imprenditori, oltre che con mafiosi o ‘ndranghetisti, più che lo status di massone, a facilitare la loro proficua interazione. Lo status di massone può amplificare la devianza, all’interno di una camera di compensazione tra contropartite.

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Nicola Gratteri durante il maxi processo Rinascita-Scott

È questo il caso presentato nel maxiprocesso Rinascita-Scott – non concluso– quando si fa riferimento ad avvocati presunti massoni coinvolti in pratiche di corruzione e presunti reati di concorso esterno in associazione mafiosa.
È anche il caso dell’operazione Geenna, in Valle D’Aosta: un massone (presunto/irregolare) avrebbe tentato di coordinarsi con ‘ndranghetisti locali per convincerli a entrare in una nuova loggia utile a canalizzare consenso elettorale; alcuni degli ‘invitati’ si sentono tra loro per valutare questa opportunità e rinunciano, ma stringono altri accordi sottobanco.

La paramassoneria e la mafia defilata

Terza formula: il massone (deviato) è figura marginale in un network dominato da ‘potenti’ (in ruoli politici e istituzionali) che regolano autonomamente attività illecite, con la sporadica inclusione dei mafiosi. Nell’Operazione Artemisia (2019) a Trapani, o meglio a Castelvetrano (paese di Matteo Messina Denaro) un ex assessore regionale siciliano avrebbe dato vita a un’entità para-massonica, in parte sovrapposta ad una loggia ufficiale, della quale il vero maestro venerabile ignorava l’esistenza. Il gruppo operava a prescindere dalle direttive della loggia regolare, permettendo ai suoi membri ‘coperti’ di aiutarsi a vicenda, a spese dei massoni regolari, in caso di necessità. A queste intese nell’ombra partecipavano altri soggetti, spesso neppure massoni, che influenzavano assunzioni e carriere negli enti pubblici.

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Matteo Messina Denaro nella sua foto più celebre

In un simile contesto la capacità di accordarsi ‘privatamente’ può tenere ai margini la mafia, giacché i mafiosi “portano problemi”. Un massone siciliano coinvolto in Artemisia racconta che il maestro venerabile della loggia aveva preferito cambiare obbedienza, dalla Gran Loggia d’Italia al Grande Oriente, per ragioni di opportunità, ossia “il tentativo dei massoni della Gran Loggia d’Italia di Agrigento di far entrare nella loggia di Castelvetrano personaggi vicini a Cosa nostra”.
I mafiosi, dunque, e solo alcuni – persino qualcuno come Matteo Messina Denaro – possono restare defilati, clienti o amici di un gruppo di potenti “colletti bianchi” in grado di “governare” autonomamente i propri patti segreti senza ricorrere ai mafiosi. L’ex consigliere regionale dichiarerà di conoscere Messina Denaro fin dall’adolescenza, e di avere avuto il suo appoggio in ambito politico-elettorale, non massonico.

Massondrangheta: la Santa e Porta Pia

Quarta formula: il massone (deviato) è mafioso egli stesso o pienamente coinvolto in una struttura mafiosa che ha tratti (para/pseudo) massonici, essendosi appropriato del capitale simbolico (e relazionale) della massoneria. È quanto emerge a Reggio Calabria dagli ultimi processi Gotha, ‘Ndrangheta Stragista, Meta e altri più datati come Olimpia, trent’anni fa. In questo contesto alcuni massoni (deviati) vengono “plasmati” nella loro nuovo identità dalla ‘ndrangheta, facendo emergere col tempo un sistema di potere integrato, in cui solo i clan hanno mantenuto la loro identità criminale, mentre si è diluito fino a perdersi del tutto il senso di fratellanza a una “obbedienza massonica”. Non ci sono più politici che supportano i clan, o viceversa, bensì politici legati a doppio filo all’associazione tra vari clan dominanti in quel territorio.

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Bruciare santini e immagini sacre fa parte dei rituali di affiliazione alla ‘ndrangheta

Quest’associazione – a un dato momento chiamata Santa o Società di Santa – agiva/agisce come una setta segreta, una sezione riservata (invisibile, per gli inquirenti) che si eleva al di sopra della ‘ndrangheta dedita allo sgarro (la criminalità comune). Il santista era allo stesso tempo massone e ‘ndranghetista: perché ciò potesse accadere, si operò negli anni ‘60-‘70, un cambiamento radicale all’interno dell’élite dell’Onorata Società, ammettendo anche “esterni”, non ndranghetisti. Non più intermediazione massonica tra “mondi” (criminali e dei colletti bianchi) autonomi e separati, ma integrazione tra ruoli, all’interno di un’infrastruttura organizzativa, con un capitale simbolico e relazionale comune, che è terza – né massoneria, né mafia, ma con attributi di entrambe – cesellata da rituali massonici prestati alla ‘ndrangheta.

Dirà il collaboratore Cosimo Virgiglio: «Dopo il 1995, abbiamo descritto il rapporto con questa criminalità, con la ‘ndrangheta, come un “varco” e nel nostro linguaggio, nel nostro gruppo riservato, si parlava di “Porta Pia”, in riferimento alla “breccia di Porta Pia”… Diverso il discorso per gli ‘ndranghetisti, per i quali questa apertura era chiamata Santa». È il caso più eclatante di rapporto integrato tra massoneria deviata e ‘ndrangheta, in cui entrambe le organizzazioni sembrano cambiare pelle nel perseguire le finalità degli affiliati, al punto da dar vita a una nuova entità che conserva alcuni attributi delle sue matrici, ma non gli scopi originari.

La vera anomalia italiana

Che in Italia vi siano state molteplici occasioni di incontro tra mafiosi, politici, imprenditori e professionisti – che erano/sono anche massoni per scelta o per occasione – non implica che dalle loro relazioni nascoste sia germogliato il seme di un’integrazione, o che si siano alterate identità e finalità. La compresenza di fenomeni diversi non significa che siano correlati, né che tra essi esista un nesso causa-effetto.
Se cercassimo quanto più si approssima all’ambiguo concetto di massomafia, solo la quarta formula potrebbe esservi – con cautela – assimilata. Le altre realtà, in misura maggiore o minore, raccontano di sovrapposizioni e intrecci strumentali, talvolta solo occasionali, legati a personaggi e contesti specifici.massondrangheta

Ma da queste formule si ricava uno spunto importante: mafiosi e massoni deviati si trovano spesso in posizioni subalterne o paritarie rispetto a politici, funzionari e figure istituzionali o professionali coinvolti in scambi illeciti o favoritismi a sfondo criminale. Ciò è particolarmente evidente nella seconda e terza formula: la vera anomalia italiana è l’ampiezza delle sfere di informalità, illegalità e corruzione che coinvolgono i “potenti”. E la loro attività criminale si nutre di segretezza, simboli, riconoscimenti, frequentazioni, ostentazioni di onnipotenza, aspettative di impunità.
Mafia e massoneria (deviata) sono interlocutori e sedi ideali per propiziare i crimini dei potenti, la cui complessità richiede però nuovi concetti e strumenti di analisi per essere compresa.

(in collaborazione con Alberto Vannucci, professore di Scienze politiche, Università di Pisa)

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