In Australia andare ai tropici significa andare in mezzo a distese enormi di piantagioni di canna da zucchero. Quando tira vento, tra le piantagioni si sentono suoni antichi e primitivi, che riportano alla mente il complicato passato di queste terre. Siamo nel Nord del Queensland, a due passi dalla Barriera Corallina, accanto al Territorio del Nord e a due passi (si fa per dire) da dove è stato girato la serie di film Crocodile Dundee, per capirci. Proprio quelle zone al Nord-Est del Queensland – Ingham, Innisfail, Ayr, Cairns, Townsville – oggi attraggono turisti da tutto il mondo, mentre i residenti ancora faticano a conciliare le varie eredità indigene con quelle anglosassoni. Qui hanno girato un documentario in tre episodi chiamato The Black Hand, la Mano Nera, in onda in queste settimane in Australia e che, nei prossimi mesi, arriverà anche in Europa.
Si tratta di una produzione che ci ha messo circa 20 anni dall’ideazione alla finalizzazione. È il frutto della volontà del produttore Adam Grossetti di ripercorrere certi luoghi nello Stato del Sole – il Sunshine State del Queensland – e raccontare certe storie – ormai lontane, degli anni Trenta – che spesso finiscono per essere fraintese. Come posso attestare personalmente per il mio breve coinvolgimento nel progetto, l’entusiasmo, la curiosità e l’ingegno di Grossetti si è travasato direttamente nella morbidità della narrazione e nell’accuratezza delle fonti utilizzate.
La Mano nera, (quasi) cent’anni dopo
Per la realizzazione ci si è avvalsi di un italo-australiano, di origini calabresi, d’eccellenza per l’Australia. Si tratta dell’attore Anthony LaPaglia, conosciuto a Hollywood per i ruoli in film come Nemesi, Autumn in New York, Rogue Agent, o serie TV come Senza Traccia. LaPaglia è molto orgoglioso delle sue origini e mostra molta curiosità per i fenomeni mafiosi e para-mafiosi che – già da bambino – ad Adelaide, nell’Australia meridionale, poteva vedere, anche senza capirli, nella comunità d’immigrati calabresi, attorno alla sua famiglia. LaPaglia, nel documentario, viaggia tra Palmi e Bovalino, il luogo di origine di suo padre. A volte commosso, a volte sorridente, spesso con toni drammaticamente inquisitori, aiuta a raccontare una storia di quasi 100 anni fa, ma non per questo poco attuale.
Il documentario racconta degli eventi degli anni Trenta, circa 1928-1939, che sono ricordati come Black Hand Terror, il terrore della Mano Nera. Si trattava di un’organizzazione, di un gruppo di uomini, italiani, quasi tutti calabresi, che per un decennio ha commesso omicidi, rapimenti, intimidito la popolazione di migranti e non solo, estorto denaro ai commerciati. Tutto in nome dell’avidità che contraddistingue la criminalità organizzata, ma con mezzi, quelli del controllo del territorio e del potere che deriva dalla paura, tipici della mafia. Ma quel termine, Mano Nera, Black Hand, assume un significato importante in Australia, perché sancisce l’inizio del fenomeno dell’Onorata Società – della ‘ndrangheta – australiana.
La Mano Nera negli USA
Ma andiamo con ordine. La Mano Nera è uno di quei fenomeni che rasenta la mitologia, ma che ovviamente ha un fondo di verità storica e anche particolarmente documentata.
Alla Mano Nera molti associano diversi racket delle estorsioni gestiti da gangster italiani, spesso siciliani o comunque del sud, immigrati a New York, Chicago, New Orleans, Kansas City e altre città degli Stati Uniti dal 1890 al 1920 circa.
La Black Hand inviava biglietti minacciosi ai commercianti locali e ad altre persone benestanti – quasi sempre solo altri italiani. A firma della richiesta estorsiva c’erano una stampa di mani nere, pugnali o altri simboli, e la minaccia che il mancato pagamento avrebbe avuto conseguenze nefaste, come la distruzione della casa, o la morte di qualche caro.
Con l’avvento del proibizionismo in America e la proliferazione di altri giri di criminalità organizzata votati al contrabbando e alla gestione di altre attività locali in forme para-mafiose, il fenomeno venne neutralizzato. Ci furono risposte severe, negli Stati Uniti, contro la Mano Nera. Il più noto oppositore fu il tenente Joseph Petrosino (1860-1909) del Dipartimento di Polizia di New York, che fu responsabile per le indagini contro molti membri del gruppo, prima di essere ucciso a Palermo, in Sicilia, durante una visita nel 1909.
Black Hand, Calabria e Queensland
Ma il fenomeno della Black Hand è un fenomeno affascinante proprio perché, nello stesso periodo o quasi, si presenta con forme simili anche in Canada e anche in Australia, rendendolo una prima formula di mobilità del fenomeno mafioso a matrice italiana, a scopo protettivo-estorsivo. Attenzione però, perché la Mano Nera non era affatto un fenomeno “primitivo” o acerbo, anzi. Si trattava, come ci ricorda lo storico Salvatore Lupo, di una «fenomenologia criminale impersonale» e come tale a vocazione imprenditoriale. In questo, dunque, molto avanzata e sicuramente antesignana della mafia, se non essa stessa già mafia.
Ma torniamo all’Australia, nel Queensland, dove la Mano Nera ha assunto dei volti e dei nomi molto precisi. Si tratta sicuramente di due boss come Nicola Mam(m)one e Vincenzo D’Agostino, avidi e spietati. Al loro fianco, Francesco Femio (Femia), Giovanni Iacona e Mario Strano ma anche molti altri. Tutti calabresi. D’Agostino era arrivato da Genova nel 1924 a Brisbane, la capitale del Queensland. Si era poi spostato a Nord, come in tanti facevano a quei tempi, per lavorare nei campi e poi aprire un forno.
Vittime e carnefici calabresi
Le richieste estorsive a firma della Mano Nera arrivavano via lettera che richiedeva “supporto per la Società” con somme variabili, tra i 50 e i 1.000 dollari. La lettera minacciava anche conseguenze molto gravi qualora non si ottemperasse alla richiesta. Non era inusuale bruciare le piantagioni di canna da zucchero, della vittima oppure sparare colpi di fucile verso la sua abitazione, per invogliarlo a pagare. Anche le vittime sono italiane e calabresi, come Alfio Patane (Patané) e Venerando Di Salvo. I familiari di Di Salvo ancora vivi raccontano nel documentario di come si è provato a resistere alla richiesta estorsiva, e di quanto difficile fosse “fare la cosa giusta” in quel periodo.
La morte di Vincenzo D’Agostino, provocata dalle ferite in seguito a un’esplosione proprio nel suo forno nel 1938, chiuderà la faccenda della Black Hand. L’omicidio di D’Agostino rimarrà però insoluto.
Dalla Mano Nera all’Onorata Società
La Black Hand del Queensland già aveva tante somiglianze con quella che poi sarà l’Onorata Società o ‘ndrangheta australiana. Ma come ogni fenomeno criminale migratorio che si rispetti, c’erano anche delle differenze: il coinvolgimento nello sfruttamento della prostituzione ad esempio.
In Queensland come altrove la Black Hand rappresenta quel momento paradigmatico in cui gruppi di mafiosi in erba utilizzano il loro controllo sul territorio – grazie a intimidazione e paura – per lucrare e guadagnare indebitamente. Ma c’è di più. A livello analitico, gli anni della Black Hand rappresentano la nascita del mito mafioso: una società segreta, chiaramente riconoscibile (grazie al simbolo dell’evocativa mano nera) eppure elusiva. E soprattutto una società criminale italiana, o meglio ancora, calabrese.
Quando Italia si traduce mafia
Nasce con la Black Hand in Australia – ma anche negli Stati Uniti, con debite differenze – quel corto circuito mentale che porterà ad equiparare il fenomeno criminale con l’etnia dei suoi attori: la mafia italiana. Non si sarebbe più tornati indietro su questo punto.
Sebbene la Mano Nera in Queensland sia effettivamente sparita dalla fine degli anni Trenta, il fenomeno viaggiò nel resto dell’Australia e diventò sinonimo prima di criminalità organizzata etnica italiana, poi di mafia, genericamente intesa, e infine di ‘ndrangheta o Onorata Società. C’era, certamente, anche un sentimento anti-italiano, anti-migrante, nel modo di raccontare e tracciare la Mano Nera, ma il fenomeno dell’epoca ha aiutato a costruire “l’etichetta” della mafia di oggi.
Negli anni Cinquanta, sono vari i rapporti di polizia tra l’Australia meridionale, il Queensland, il Nuovo Galles del Sud. L’Australia Occidentale e lo stato di Victoria tracciano attività della Black Hand o mafia. Si tratta quasi sempre di notizie date da informatori spaventati che raccontano di racket dell’immigrazione, cioè di immigrazioni pilotate dall’Italia all’Australia gestite da questa organizzazione criminale, ma anche di intimidazioni, violenze, omicidi e, in breve, paura.
“Solidarietà” tra emigrati
Nel 1958, nello Stato di Victoria, a Melbourne, un report molto importante delle forze dell’ordine locali cercherà per la prima volta di tracciare la continuità dell’organizzazione criminale dal Queensland oltre venti anni prima a Victoria in quegli ultimi mesi. Il report dirà che l’organizzazione della Mano Nera sul territorio era diretta discendenza della Mafia siciliana, che avrebbe poi esteso il suo potere in Calabria, e in seguito sarebbe diventata The Black Hand all’estero.
Nello stato di Victoria gli affiliati sono tutti calabresi. Si scrive in questo report che «le informazioni aggiuntive che possiamo offrire allarmerebbero il cittadino ordinario di questa comunità [italiana]». Fondamentale notare che fino a quegli anni, anche a Melbourne, la caratteristica primaria della Mano Nera era chiedere somme di denaro, richieste estorsive, per servizi di protezione in nome di una inappellabile solidarietà etnica.
Una festa senza il festeggiato
C’è un riferimento interessante, in questo rapporto, a un meeting del 21 Settembre 1957 nel quartiere di Brunswick, oggi quartiere molto hipster di Melbourne, a nord della Little Italy nel quartiere di Carlton, e storicamente quartiere di residenza di molti migranti italiani. Il meeting era a casa di un tal Domenico Versace e vi avevano partecipato almeno 30 uomini. Tutti calabresi. Ventotto di loro vennero arrestati per possesso di armi da taglio, e negarono di conoscere o far parte della Mano Nera.
Versace dichiarò che si trattava soltanto di una riunione tra amici per brindare al battesimo di suo figlio, avvenuto quel giorno, contestualmente al primo compleanno del bambino. Né il bambino né sua madre, però, si trovavano in casa. Un informatore della polizia, però, dirà che si trattava di un “processo” contro un certo Rocco Tripodi che aveva violato le regole della Società, e dunque bisognava concordare la sua punizione e la risoluzione di un problema che Tripodi aveva creato.
Questo documento e questa riunione rappresenterà uno degli ultimi momenti storici disponibili in cui il termine Black Hand veniva usato per definire fenomeni criminali legati alla comunità calabrese. Dagli anni Sessanta in poi, per varie ragioni, emergerà il nome dell’Onorata Società, anche perché le attività legate a questi uomini iniziarono ad andare oltre al racket estorsivo, tipicamente identificato nella Mano Nera. È fuor di dubbio, dunque, che esista continuità tra i due fenomeni, se non spesso sovrapposizione.
L’eredità della Mano Nera
Quel che appare certo, a un’analisi criminologica dei dati storici, è che la Black Hand ha dato il via alle due posizioni che, anche oggi, caratterizzano l’approccio alla ‘ndrangheta in Australia: da una parte il sensazionalismo legato alla presenza della “mafia” nel paese, che porta a una sorta di panico istituzionale; dall’altra, la difficoltà di separare il fenomeno ‘ndrangheta e più generalmente il concetto di mafia dai migranti italiani e calabresi. Quell’etnicizzazione del fenomeno che si osserva già negli anni della Black Hand nel Queensland, che portò all’epoca a parlare di “mafia italiana” senza identificare le specificità locali del fenomeno – come raccontato magistralmente dal documentario dell’ABC – è costituente e costitutiva del modo di vedere, capire e spesso anche fraintendere la ‘ndrangheta australiana fino ad oggi.