STRADE PERDUTE| L’isola che non c’è (o forse ancora sì): Electra, Febra, Monte Sardo o…?

Flotte arenate, errori dei cartografi, antichi ritrovamenti e un mistero che dura da secoli. La soluzione più probabile? Sullo Jonio calabrese, a largo di Albidona e Amendolara

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Strade perdute sono pure quelle del mare, ammettendo che possano chiamarsi così. Del resto, sempre di mappe si tratta. E allora c’è una storia da raccontare in merito ad un’isola-non-isola, che sarebbe sorta a metà strada tra il Vortice di Albidona e la Secca di Amendolara. Assomiglia un po’ alla storia tutta siciliana (o quasi) dell’Isola Ferdinandea. Nel nostro caso, però, si tratta di una faccenda che ancora oggi resta in bilico tra leggenda e scienza.

I più scettici vi parleranno di un errore cartografico, e basta; o, al limite, di una coincidenza. I più fantasiosi vi parleranno di un’isola, magari pure temporaneamente abitata, e poi scomparsa per chissà quale motivo. Io mi metto in mezzo e provo a stemperare le due diverse anime, una più rigida dell’altra, aggiungendo un dettaglio abbastanza sorprendente, che non deve passare inosservato.

L’allegoria del mostro marino in prossimità del vortice di Albidona (G.A. Magini, Italia, 1620)

Il mostro e il Vortice

Un’edizione del 1620 della Carta d’Italia di Giovanni Antonio Magini mostra un’interessante allegoria del mostro marino nelle sue prossimità. Nel 1785 la Marina Borbonica si spinse invece nello specchio di mare limitrofo alla Torre di Albidona. Lì riscontrò una sorgente subacquea e “il grandioso vortice marino sinistrorso, alla profondità di m. 32,20, a km 1,3 dalla Torre”.

Il tiranno nella Secca

Nel Banco di Amendolara si incagliarono nel 379 a.C. le flotte inviate da Dioniso il Vecchio, tiranno di Siracusa, per distruggere Thurio. Nel Libro Rosso di Taranto del 1463 si regolamenta l’esercizio della pesca nel Banco, inaugurando una serie di provvedimenti dei Viceré spagnoli, i quali riconoscevano diritti esclusivi di pesca a favore dei tarantini. La Commissione di Studi sul regime dei litorali del Regno vi recuperò nel 1936 un’àncora lignea con chiodatura bronzea, rivestita di piombo, e risalente al IV secolo a. C. (nonché identica a quelle recuperate al Porto di Siracusa). Si fecero avanti ipotesi sul passato morfologico della Secca: residuo di un’isola o addirittura di una penisola? Qualcuno si spinse prudentemente a dichiarare che la Secca fosse in passato emersa, sì, dall’acqua… ma non meno di 8.000 anni fa.

Il Vortice di Albidona e la Secca di Amendolara nella Carta batilitologica del Sinus Thurinus, su fondo rilevato dall’Istituto Idrografico della Marina

Oggi è una notissima secca di 31 km², a forma di ferro di cavallo con la concavità rivolta in direzione sud-ovest, adiacente al Vortice di Albidona e prospiciente la marina di Amendolara ad una distanza di circa 10 miglia dalla costa. Pescosa e pericolosa per le imbarcazioni, si erge infatti dai 200 ai soli 20 metri di profondità (addirittura solo 14 nel 1891).

Isola o arcipelago?

I latini registravano la presenza di un’isola Elèctoris (ma più corretto sembrerebbe Electris e poi Electra), detta anche Febra da Servio. Altri scrittori, sulla scorta di Plinio, hanno affermato l’esistenza di una o più isole nella zona, credute sommerse a causa di cataclismi “o che sian tanto piccole che appena si vedono, o le suppongono scogli, o che da cinque sian ridotte a due, a tre, e che l’arcipelago nel secolo XV più non era”.

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L’Electris, sive Febra insula nell’Italia di Georg Horn (1595)

Leandro Alberti, nei primi del Cinquecento ne avrebbe viste però ancora due seguendo la via lungo l’Esaro.
Non è finita qui: è proprio una Electris, sive Febra insula, quella che nel 1595 i cartografi Ortelio e Horn registrano nelle loro opere Magna Graecia e Italia nam Tellus/Graecia Maior.
A rendere la questione più confusionaria è poi la presenza delle piccole isole Cheradi, di fronte al porto di Taranto: nelle mappe geografiche più datate, infatti, alcune di esse vengono spinte fin quasi nel mezzo del golfo, assumendo nomi non sempre omogenei tra loro.

Il grande equivoco

Nel 1608 Magini diede alle stampe la sua prima Carta d’Italia, ponendo nel bel mezzo del Golfo di Taranto un’isola mai sentita prima: Monte Sardo. Egli stesso se ne accorse e corresse la svista nella successiva edizione del 1620. Troppo tardi: la diffusione della prima mappa era ormai irrimediabile. Se ciò sembra poco bisogna pensare non tanto al valore economico di quelle mappe, ma alla loro funzione di fonte per le mappe successive. Le carte che presentano quest’isola coprono la bellezza di due secoli di produzione cartografica, in cui sono coinvolte le firme dei più grossi nomi della cartografia europea.

Ora, la tesi della svista sarebbe inconfutabile se non fosse che, appunto, l’Isola di Monte Sardo coincide spesso con quella già denominata Electra vel Febra Insula, proprio alla maniera latina, in modo molto più suggestivo ed allusivo. E allora torniamo a Magini e al suo errore. Anche lui utilizzava una fonte, e si trattava dell’Atlante delle Province del Regno di Napoli di Stigliola (1582). Bene: una copia di quest’atlante riporta a sud-ovest di Taranto un appunto di mano dell’autore, che raffigura un profilo di collina con la sottostante denominazione Monte Sardo.

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La prima apparizione di Monte Sardo, nell’Atlante delle Province del Regno di Napoli di Nicola Antonio Stigliola, 1595

L’isola c’è o non c’è?

Per alcuni, questo disegno non si riferirebbe ad un’isola ma ad un rimando “fuori mappa” all’altura sulla quale sorge il comune di Montesardo, situato in Terra d’Otranto a 186m sul livello del mare, pochi chilometri a sud di Alessano, uno dei paesi più elevati delle Murge Salentine, e perciò importante da segnalare ai navigatori. Non si capisce però il motivo d’aver segnalato ciò proprio in mezzo al mare, e proprio dove un’isola – con tutti i “forse” del mondo – c’era o c’era stata.

E resta poi il nodo cruciale delle fonti che riportano l’Electra o la Febra: da dove l’avrebbero tirata fuori? Se sempre da Stigliola, perché allora attribuirle un altro nome? Altra cosa buffa ma indicativa: i toponimi Electra o Febra non si riscontrano mai contemporaneamente a quello di Monte Sardo. Insomma: è stato certamente un errore utilizzare la denominazione di Monte Sardo ma… è stato anche un errore indicare l’esistenza dell’isola? Non ne sarei per niente sicuro.

Un ultimo indizio

Pare abbastanza ovvio, a un certo punto, che la Secca e l’Isola (o pseudo-isola) coincidano. Esperti di geologia marina hanno chiarito che se il fenomeno di subsidenza fosse stato costante negli ultimi tre secoli, la Secca poteva ben essere rappresentabile come un’isola all’inizio del Seicento. Detto più chiaramente: se l’inabissarsi dei rilievi subacquei fosse stato uniformemente costante, ne deriverebbe che già soltanto sul finire del Settecento questi avrebbero fatto capolino attraverso il pelo dell’acqua.

Ma resta ancora il dato più sorprendente, e peraltro assai poco noto: nella mappa denominata Magna Graecia etc., realizzata da Bertin nel 1699, l’Electris Ins. possiede l’esatta forma a ferro di cavallo con concavità rivolta a sud-ovest, così come è stata descritta in tempi recenti grazie alle attuali tecniche idrografiche e batimetriche. Come la mettiamo?

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L’Electris Ins. nella Magna Graecia di Francesco Bertin (Padova, 1699)

Due possibili ipotesi

Ricapitolando, restano possibili due ipotesi. L’isola è esistita prima dell’incidente delle flotte di Dionisio il Vecchio. Deve esserne poi rimasto ricordo – in seguito alla sua scomparsa – presso i latini e le successive popolazioni indigene, fino al sopraggiungere dei più moderni mezzi cartografici che hanno decretato la giusta cancellazione di questo rilievo dal Golfo di Taranto.

Oppure, più probabilmente, l’azione erosiva deve essere stata – dall’epoca di Thurio in poi – non del tutto progressiva ed ininterrotta e, tra l’altro, alternata forse a riemersioni sporadiche dell’isola, soprattutto nel periodo di compilazione delle carte geografiche storiche. I motivi di una scomparsa del genere possono essere molteplici. Da una semplice azione erosiva marina alla subsidenza dei fondali e alla convulsione tellurica della costa, fino a qualche evento eccezionale, non ultimo un maremoto.

L’isola gemella (eterozigote)

A differenza della sicula gemella eterozigote Ferdinandea, l’isola Febra, Electra o di Monte Sardo, non provocherebbe mai – qualora rinascesse – conflitti internazionali, innocua com’è e inglobata com’è all’interno delle acque territoriali del Golfo di Taranto, tutto italiano, senza perciò poter dar adito a polemiche sul suo assorbimento o meno nella piattaforma continentale. Al più potrebbero sorgere dissidi tra gli enti locali costieri per aggiudicarsene l’amministrazione o, più probabilmente, per liberarsi da inattese incombenze. Che resti, allora, a sonnecchiare tranquilla…

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L’Isola Ferdinandea, in un dipinto del 1831 (fonte Wikipedia)

 

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