Questa puntata tutta al femminile si svolge nella Calabria greca tra Natile di Careri e Samo e racconta la storia di due generazioni di donne, due imprenditrici dell’Aspromonte. Avevo già conosciuto Tiziana, nella due giorni di Samo. Tuttavia, la decisione di dare un “taglio” di genere è nato dopo l’incontro con Annamaria a Natile Vecchio, durante la salita a Pietra Cappa, il cuore dell’Aspromonte, la Madre.
La prima è la Presidente della Pro Loco di Careri, la seconda la giovane Presidente della Cooperativa Aspromonte: hanno in comune senso di appartenenza e di comunità, amore per l’accoglienza e la bellezza, voglia di costruire a casa loro. E la tessitura. Su questi terreni si incrociano memoria, rapporto con le istituzioni, lavoro contro lo spopolamento, strategie di sviluppo.
Annamaria, la promoter della montagna
«Sono stata sempre una ribelle anticonformista e non mi sono mai arresa. Nasco nel 1964. Nella mia gioventù la montagna era off-limits.
Le donne ci andavano solo con gli uomini per raccogliere le ghiande. Per il resto era considerata pericolosa, specie per le ragazze. Della montagna ricordo di aver sempre sentito il richiamo forse perché legato al senso del proibito, ma era l’era dei sequestri. Gli anni tra l’85 e l’86 sono stati quelli in cui con un picnic di Pasquetta organizzato in località San Giorgio, comune di San Luca, quasi per scherzo, abbiamo aperto le porte della montagna.
E poi piano, piano si è strutturato un giro di appassionati, grazie ai primi pionieri: il professor Domenico Minuto, Alfonso Picone Chiodo, l’avvocato Francesco Bevilacqua che già frequentavano la montagna e, da studiosi, ci hanno fatto scoprire un patrimonio che nemmeno noi conoscevamo. Scoprire di esserne i custodi ci ha dato orgoglio e ha rafforzato il nostro senso di appartenenza. Da lì in poi è partito il mio impegno». Così esordisce Annamaria Sergi, sarta e promoter della sua terra.
Natile, la speranza dopo l’abbandono
Siamo sotto Pietra Cappa, in località Natile Vecchio, nella famosa vallata delle Grandi Pietre, pregna di sacro, già battuta dagli eremiti. Ci sono Demi d’Arrigo di Aspromontewild – la nostra guida -, Nino Morabito di Legambiente, il prof Giuseppe Bombino.
Frazione del comune di Careri e figlio della arcaica Pandore, Natile è una comunità evacuata e sradicata, segnata dai terremoti del 1783 e del 1908 e ferita dall’alluvione del 1951. Dopodiché a tutti gli effetti “delocalizzata”. É la stessa storia che ho sentito ripetere ad Africo Vecchio.
Il monolite domina su di noi. Le lame d’argento della luce di mezzogiorno ci catapultano in una dimensione quasi lunare: intorno a noi la macchia mediterranea si inerpica ai costoni di roccia lucente.
Il cuore dell’Aspromonte pulsa con il suo ritmo nascosto, il battito ancestrale di primavera che sale direttamente dalle viscere della terra e percuote tutta la vallata. Qualche falco pellegrino volteggia. Pietra Cappa, Pietra Lunga e Pietra Castello sembrano essere piovute dal cielo, conficcate come enormi chiodi nel terreno.
Il picnic diventa un ristorante
«A Natile manca tutto, non ci sono servizi, né punti di ristoro, né strutture ricettive. Abbiamo cercato di trasformare le criticità in opportunità.
Allora ci siamo inventate il ristorante all’aperto: organizziamo picnic in montagna e rispolveriamo tutto quello che le nostre nonne facevano quando andavamo a mietere il grano: mettevano tutto nella cesta e partivano.
Facciamo cultura a tavola, accompagnando il nostro piatto con la storia della nostra comunità e delle nostre famiglie, quella di una cultura povera, contadina e accogliente. E raccontare il passato ci consente di ricrearlo nel presente, riattualizzandolo. Non siamo le servette. Siamo le donne che dominano la tavola.
Per me è un onore condividere il mio sapere con gli altri. Non mi sono mai fatta ingabbiare in certi stereotipi. Il mio obiettivo è dare nuove opportunità alla mia terra, aprendo opportunità di crescita e lavoro», mi dice Annamaria al nostro rientro dal monolite. Assieme alle donne della sua Pro Loco ha preparato il pranzo picnic.
C’è il tovagliato, posate di metallo e bicchieri di vetro «perchè il plastic free è il futuro e al futuro si va educati tutti, specie chi viene a visitare il nostro territorio». Il menu è fatto di preparati a chilometro zero. Il pranzo, che è il suo modo di prendersi cura, diventa occasione di scambio, confronto e racconto.
Una Pro Loco per cambiare
«La mia missione è accogliere. Vengo da un passato all’interno della parrocchia: sono stata catechista, corista e membro del consiglio pastorale. É stato il mio impegno fino a quando mi sono accorta che forse c’era più bisogno di me fuori dalla Chiesa.
La storia della nostra Pro Loco inizia a ottobre del 2014, grazie alla vacanza della sede di Careri. Veniamo avvisate con pochissimo anticipo.
In tre giorni istituiamo la nuova associazione. I tempi stretti ci hanno impedito di effettuare tutta la procedura di evidenza pubblica. Chi non è stato coinvolto si è sentito escluso. Quella di Natile è una Pro Loco fatta prevalentemente da donne, che hanno deciso di mettersi a servizio della loro comunità, nonostante gli scetticismi di tanti. Anzi proprio quel pensare “sunnu fimmini, c’hannu a fari?”, quel sottovalutarci, ci ha consentito di agire al meglio».
Perché Annamaria è ciò che fatto: già vicepresidente regionale e coordinatrice delle Pro Loco reggine, nove anni di impegno sul territorio a contatto con le scuole, con i turisti, gli studiosi, gli artisti. Ha organizzato seminari di studio sulla tradizione greco-bizantina di Natile, laboratori didattici con le scuole, eventi culturali. Un punto di riferimento sul territorio per ricercatori e turisti.
Cibo e tessuti: piccole economie aspromontane
«Assistiamo gli escursionisti che vengono da fuori, divulghiamo e promuoviamo la nostra terra e i suoi prodotti a chilometro zero. Quando organizziamo un pranzo quello che presentiamo deve essere di altissima qualità.
Questo ci consente di coinvolgere le nostre famiglie, i nostri produttori, aziende agricole e piccole realtà trasformative che realizzano i prodotti di nicchia che ordiniamo per i pasti: pane, olio, ortaggi, formaggi, salumi, carne, frutta, dolci.
Non presentiamo nulla che non sia stato valutato. Perché tu sei noi e noi ci mettiamo la faccia. Abbiamo anche realizzato dei laboratori di tessitura in alcuni “catoi” del paese. Il telaio, come in molti altri borghi della zona, era parte fondamentale della nostra cultura». E non manca la citazione dotta: «Le vostre donne si vestivano di nero perché portavano il lutto a vita, ma sognavano a colori. Se voi aprite i vostri bauli le coperte che tessete sono zeppe di verde smeraldo, giallo ocra, blu mare, rosso scarlatto». Questa frase a effetto, riferisce Annamaria, proviene da Tito Squillace, medico, attivista, presidente dell’associazione ellenofona Jalò tu Vua di Bova.
Imprenditrici in Aspromonte contro l’abbandono
Cura, ospitalità, istanze di rete: sono gli ingredienti di Annamaria per contrastare il senso di sfiducia e abbandono appiccicato ai natilesi come un lenzuolo bagnato: «Il medico condotto che veniva a fare ambulatorio una volta a settimana non viene più. Viviamo in un territorio isolato che porta ancora le cicatrici della stagione dei sequestri.
Ai tempi di Cesare Casella, Natile fu invasa. Lo Stato inviò la cavalleria dei carabinieri: ragazzini impreparati e terrorizzati dall’idea di stare nel cuore della ’ndrangheta.
Sono giunti e hanno spaccato tutto quello che dovevano spaccare, facendo di tutta l’erba un fascio e commettendo un errore: imporsi con violenza senza curarsi dei legami e dei meccanismi di una piccola comunità sempre abituata ad arrangiarsi e proteggersi con i propri mezzi.
Si è avuta la sensazione di uno Stato mai percepito come garante o collante. Una madre presente per giudicarti, senza accompagnarti. La mancanza dello Stato nelle sue articolazioni ha minato anche la fiducia dell’essere parte di una collettività che insieme può costruire qualcosa di migliore. Perché stai dando risposta alle esigenze di tutti.
Questo ha inciso negativamente sulla capacità di fare comunità. A un livello economico si è tradotto nella riduzione della percentuale del fenomeno cooperativo che, di per sé, si basa sulla fiducia. Noi, poi, non siamo stati capaci di reagire. L’assistenzialismo ha fatto il resto: se a Natile 48 famiglie su 50 hanno la sicurezza del posto fisso alla Forestale, è più facile accomodarsi che prendere iniziative economiche. Io questa sono e non ho intenzione di fermarmi».
Tiziana: dal sociale alla microimpresa
Su questa ancestrale filoxenia punta anche Tiziana Pizzati, attivista e imprenditrice, quando usa l’immagine dell’abbraccio: accogliere significa abbracciare.
Tiziana rappresenta la generazione più giovane: poco più che trentenne, a Samo ha creato un sistema di accoglienza diffusa e una cooperativa per la trasformazione di prodotti agroalimentari.
Collabora con le Guide del Parco e con gli operatori del turismo montano.
«Ho avuto la fortuna di poter lavorare alle Poste nella mia terra, ma volevo fare di più. Ho preso una laurea in Scienze turistiche con una tesi sul brand Aspromonte e sulla sua drammatica bellezza: un’istantanea su come è oggi la nostra terra, sulle sue prospettive di sviluppo e su ciò su cui dobbiamo investire. Paradossalmente il nostro essere rimasti indietro, oggi ci porta a essere un passo avanti. Voglio rendere vivo quello che ho studiato realizzando un nuovo storytelling».
Samo: un altro pezzo di antica Grecia
Ci troviamo a Samo, 300 metri sul livello del mare a 13 km da Bianco. All’ingresso del paese campeggia una stele di metallo con il toponimo grecanico. Anche Samo è un borgo delocalizzato che si allunga come la punta di una lancia nel Parco dell’Aspromonte.
Fondato intorno al 432 a. C. in località Rudina a ridosso della fiumara La Verde, allora navigabile, da coloni dell’isola di Samos, il paese onora questo passato ed è gemellato con il suo omonimo greco.
Invaso e distrutto dai Saraceni, teatro di terremoti, è stato più volte spostato fino all’abbandono dell’insediamento di Precacore per assumere i connotati attuali.
«Sentiamo forte la nostra grecità. Lavoriamo per valorizzare il nostro passato: cerchiamo di renderlo seducente e contemporaneo. Ciò significa creare nuovi posti di lavoro contro lo spopolamento. Sogniamo non un Aspromonte fisico, ma culturale. Un orizzonte condiviso».
Imprenditrici in Aspromonte: restanza al femminile
Tiziana, e Annamaria sono le “restate” che combattono: rappresentano la forza, l’orgoglio e la resilienza delle donne d’Aspromonte, quelle che la letteratura ha descritto sempre come un passo indietro.
Sono il volto umano del femminino sacro che da Persefone è transitato nel mondo cristiano. Bova, con le sue Pupazze, è l’emblema. Sono restanti e persistenti. Incarnano il doppio e l’unità: due donne, due leader, la Madre e la Figlia. Rappresentano i due passaggi di crescita: una ancora immersa nell’associazionismo, l’altra transitata nel sociale e poi saltata verso la piccola imprenditoria.
Creare per non partire
«Quando ti ritrovi a vivere con un gruppo di coetanei in un paese di settecento anime hai due possibilità: spostarti o creare qualcosa. Noi abbiamo scelto la seconda strada: ci siamo riuniti, abbiamo formato la Pro Loco e per sei anni abbiamo promosso il territorio. Poi ci siamo accorti che col sociale puoi fare tante cose, ma solo fino a un certo punto».
Così nel 2016 «abbiamo fondato la Cooperativa Aspromonte. Il lavoro fatto dal prof Bombino durante la sua presidenza all’Ente Parco portò a un fiorire di cooperative giovanili. Oggi sento che manca quel meccanismo capace di lavorare a più livelli e per chi, come me, collabora sia col Parco che con i Comuni per la manutenzione di sentieri e segnaletica, è triste». Si riferisce al lavoro fatto per la candidatura dell’Ente Parco Aspromonte a Global Geopark Unesco.
L’ospitalità (green) prima di tutto
«Siamo partiti con l’idea di creare ospitalità diffusa per camminatori ed escursionisti: per noi era naturale prenderci cura dello straniero. Poi con i risparmi di questa attività abbiamo creato un laboratorio di trasformazione dei prodotti alimentari. A parte le conserve, realizziamo il Kypris, liquore al mirto locale raccolto e lavorato in giornata. Abbiamo molte idee, pochi soldi e la burocrazia non ci aiuta».
Nel 2018 la cooperativa ha chiesto un contributo per l’acquisto dei macchinari per il laboratorio di trasformazione agroalimentare a valere sui fondi per i giovani inseriti nelle azioni per le aree svantaggiate del Piano di Sviluppo Rurale.
Il progetto, approvato nel 2022 non è stato finanziato in attesa dei ricorsi per l’aggiornamento delle graduatorie: «nel frattempo abbiamo acquistato tutto di tasca nostra».
Quelle belle stoffe bizantine
E poi c’è la tessitura, perché Samo è la capitale del ricamo bizantino a motivi floreali: «Nell’area della Calabria greca fino alla prima metà del Novecento il telaio era fonte di reddito. Fimmina di telaru, gioa e onuri di lu focularu. Si può dire che in ogni casa ci fosse un telaio. A Samo però venivano realizzati ricami più complessi: le geometrie si alternavano ai tipici motivi floreali intrecciati con con ginestra, lino o seta. Oltre che per le coperte, Samo è conosciuto per le sue pezzare e le sue strisce: filati fino a undici metri dati in dote e preparati per essere stesi all’ingresso della sposa in chiesa».
Si tratta di un’arte che sta scomparendo e su cui lei punta: «con il progetto Telaio in Aspromonte abbiamo mostrato alle scuole il processo completo di lavorazione della ginestra per la tessitura, dalla pulitura all’orditura, come avveniva fino alla metà degli anni Cinquanta. Mi piacerebbe realizzare una scuola di tessitura per tramandare una competenza che sta per estinguersi, ma da cui provengono manufatti tessili di altissima qualità».
La cantastorie e la tessitrice
Tiziana ha mostrato l’arcano e il contemporaneo.
Prima mi ha introdotto a casa di Agata, superstite cantora di età indefinibile, una stufa a legno, la tv a tutto volume e la memoria di Pico della Mirandola, capace di recitare storie e leggende dell’antica Samo in un poema epico dialettale direttamente ispirato alla Chanson D’Asperomont.
Poi mi ha introdotto a casa di Maria, la mastra tessitrice di cui vedete i lavori in foto. Quindi ha filmato è ha realizzato una story acchiappaclic per arricchire di contenuti il profilo Instagram della cooperativa, 1.835 follower. Una risorsa che prima non c’era.
Una recente ricerca dell’Unical sulle condizioni delle quattro aree pilota calabresi della Snai rimarca un difficile accesso ai servizi, una desertificazione sanitaria e un invecchiamento misto al calo della popolazione.
Salvare la Calabria greca? Si può
La riqualificazione della vita di queste aree non può passare solo attraverso il turismo: ci vogliono i servizi e una nuova strategia gestionale. E poi ogni altra forma di politica territoriale possibile, turismo e animazione culturale compresi. Serve una visione.
Il 28 luglio 2021 la Regione ha approvato il Sistema di gestione e controllo per l’utilizzo dei fondi nazionali della Strategia nazionale aree interne Snai che «punta a rafforzare la struttura demografica dei sistemi locali delle Aree Interne (intese come sistemi intercomunali) e ad assicurare un livello di benessere e inclusione sociale dei loro cittadini, attraverso l’incremento della domanda di lavoro e il miglior utilizzo del capitale territoriale».
Vi rientra a pieno titolo l’area Grecanica. Il modello d’azione della Snai prevede «di favorire la piena attivazione degli attori locali (istituzioni, imprese, associazioni, ecc.), che sono chiamati ad assumere ruoli e responsabilità centrali nella definizione delle politiche di intervento».
Vedremo se e quanto questo approccio multistakeholder verrà rispettato.
Imprenditrici che resistono in Aspromonte
Nel frattempo Annamaria e Tiziana lavorano sui territori per cambiare il senso di rabbia e di abbandono in gratitudine, aumentare il livello di consapevolezza dei loro concittadini, accrescere fiducia e opportunità, creare prospettiva di sviluppo.
Entrambe reclamano attenzione alle aree interne da parte delle istituzioni: chiedono strade, servizi, fondi, affiancamento. Entrambe lavorano per aggregare e per ricreare. E in questa tensione tra l’appartenere, il riconoscersi, il ricreare e il fare c’è l’eterno dilemma del pendolo che oscilla tra autentico e mitopoietico: il secondo è necessariamente destinato a sostituire il primo laddove i vissuti e i saperi scompaiono. Uno storytelling che non si scrosti al primo imprevisto deve raccontare non una vetrina ovattata, ma tradizioni, vite, quotidianità autenticamente presenti.