Il 25 ottobre 2023, a Milano, sono state arrestate 11 persone. A quanto pare le richieste d’arresto riguardavano 153 indagati. Una problematica lettura da parte del GIP sulla situazione mafiosa (anche quella giudizialmente accertata) in Lombardia, che ha subito portato la procura a un ricorso al tribunale del riesame.
I soggetti sotto indagine sono presunti affiliati a doppio laccio con organizzazioni di stampo mafioso calabresi, siciliane, romane e campane. Tutte “unificate” in un sistema di tipo confederativo tipico della città di Milano.
Si tratta di un’indagine di quasi tre anni. La Dda di Milano, che l’ha istruita, le ha dato il nome di “Hydra”, evocando quello del mostro mitologico a più teste. Ad occuparsene è la pm Alessandra Cerreti, con il coordinamento della procuratrice aggiunta Alessandra Dolci e del procuratore Marcello Viola.
Milano, Varese e le tante teste dell’Hydra
L’indagine, come spesso accade, aveva preso le mosse dall’osservazione degli assetti criminali dopo una precedente azione investigativa. Si trattava di osservare il locale di ‘ndrangheta di Lonate Pozzolo (VA) in seguito al blitz del 2019 “Krimisa” e alla collaborazione intrapresa da alcuni affiliati del clan, siciliani.
Dall’osservazione degli assetti di ‘ndrangheta a Lonate Pozzolo tra il clan Farao-Marincola di Cirò, la ‘ndrina Iamonte legata al locale di Desio e a Melito Porto Salvo, e il clan Romeo-Staccu, di San Luca, l’indagine ha poi fotografato una serie di interazioni, ripetute e sistemiche, molto oltre la ‘ndrangheta. Di fatto comprendevano gruppi a composizione diversa: alcuni legati a cosche siciliane, da Palermo a Castelvetrano, altre a gruppi campano-romani. Il tutto riunito in quello che appare un consorzio, un sistema federato lombardo.
Tutti sullo stesso livello
Si legge nelle carte d’accusa di come si sia in presenza di «una imponente e capillarmente strutturata associazione mafiosa, operante prevalentemente nel territorio lombardo, in particolare, tra la città di Milano e la sua provincia, la città di Varese e la sua provincia, costituita da appartenenti alle tre diverse organizzazioni di stampo mafioso Cosa nostra, ‘ndrangheta e camorra, avente struttura confederativa orizzontale, nell’ambito della quale, i vertici di ciascuna delle tre componenti mafiose operano sullo stesso livello, contribuendo alla realizzazione di un sistema mafioso lombardo».
Gli inquirenti hanno monitorato riunioni cui partecipavano rappresentanti di ogni gruppo. Gli obiettivi erano di vario livello: estorsione, truffa, riciclaggio, detenzioni di armi, traffico e distribuzione di stupefacenti, ma anche gestione di società di capitali per l’importazione di acciaio e ferro, o gasolio, investimenti per lucrare sull’Ecobonus, sui contratti durante il Covid (per Dpi e sanificazioni), sull’Ortomercato, su parcheggi di ospedali e varie altre attività inclusa la prossimità politica con parlamentari, sindaci ed altri esponenti regionali dei vari partiti.
I soldi “lombardi” restano in Lombardia
Il sistema è ben oliato, come dice Gioacchino Amico durante una “riunione” a Dairago nel gennaio 2021, sottoposta a intercettazione ambientale: «Noi abbiamo in cassa a maggio… cash… per questo dobbiamo spendere (…) acquisteremo tutte le cose che ci va a costare, asse non asse… costruiremo tutto… sempre dove con i proventi di Milano, Milano… con i proventi di Roma, Roma… con i proventi di Calabria, Calabria… con i proventi di Sicilia, Sicilia…certo così noi sul territorio non abbiamo discordanze…(…) Non hai discordanze… è giusto è corretto non è che tu puoi prendere i soldi da Milano e te ne vai in Sicilia… (…) questi qua li devono pagare a me… abbiamo costruito un impero e ci siamo fatti autorizzare tutto da Milano…passando dalla Calabria da Napoli ovunque…»
Milano dagli anni ’80 a Hydra
Il “sistema Milano” di Hydra, pertanto, è presentato come autonomo per quanto partecipato. Questo non è certo motivo di sorpresa né di novità nel contesto lombardo, anzi.
Da anni ormai non solo esiste “mafia” in Lombardia, ma questa mafia, che sia di matrice siciliana o calabrese, è altamente intimidatoria e soprattutto altamente specializzata. Lo dovremmo ricordare dai tempi di Antonio Papalia, capobastone aspromontano trapiantato a Nord, a capo della cosiddetta camera di controllo lombarda. Era un organismo decisionale che andava oltre la ‘ndrangheta a Milano e provincia, già a metà degli anni Ottanta, decenni prima di Hydra.
Oltre alla geografia delle riunioni mafiose e alle attività dei singoli gruppi, la novità di Hydra sta nell’impianto giudiziario, che vede – forse per la prima volta – fotografata non solo la collaborazione tra i gruppi, ma la divisione di risorse e responsabilità tra cosche siciliani, calabresi, campane e romane a Milano e dintorni.
Insomma, appare chiaro che il pubblico ministero voglia guardare al fenomeno dall’alto, con una cosiddetta helycopter view – una visione dall’elicottero – che vada oltre l’analisi della collaborazione, ma si concentri sulla sistematicità dei rapporti e sugli elementi di novità che questa sistematicità implica.
Le implicazioni dell’indagine
Ed eccoci quindi già a soppesare le implicazioni di questa indagine, nonostante sia ancora molto presto per definire i contorni delle responsabilità penali dei singoli individui. Implicazioni prettamente analitiche non seguono infatti lo stesso corso delle implicazioni giuridiche.
- Appare acclarato da indagini pregresse e da una storia (non solo giudiziaria) ormai di mezzo secolo che le organizzazioni criminali in Lombardia collaborino. E che lo facciano come organizzazioni prettamente mafiose, cioè per interessi sia di profitto che di potere.
Esiste sostanzialmente un gruppo ibrido e misto. Però – ed è questa la novità paventata da Hydra – assume forme terze, autonome, sicuramente legate alle case madri ma di fatto con connotati diversi. Si costituisce quindi una morfologia mafiosa tutta locale.
Questo non dovrebbe sorprendere in un paese in cui ogni mafia assomiglia al suo territorio, socialmente quanto culturalmente. Questo poi è esattamente quello che succede altrove, incluso l’estero: le organizzazioni criminali sono tenute insieme da affinità e contesto e non da patti aprioristici e di fatto non sempre convenienti. - Sembra avventato sostenere che il gruppo ibrido e misto – il sistema mafia lombardo – non possa disporre di un suo apporto intimidatorio proprio, come il GIP avrebbe sostenuto. Infatti, laddove sembra confermarsi l’esistenza dei singoli gruppi – raggruppati per “mafia” d’origine e come tali giudicati – e dunque la loro capacità intimidatoria, si potrebbe sostenere che queste capacità intimidatorie distinte si cumulino per un processo narrativo e costituiscano la forza intimidatoria del sistema mafioso in generale. E dunque, la riconoscibilità e la reputazione dei singoli affiliati come appartenenti a un sistema mafioso unico seguirebbe all’affermazione della loro capacità intimidatoria.
In questo senso l’esistenza di una cassa comune di supporto ai carcerati, caratteristica tipica dell’associazione mafiosa, rappresenta altro tassello di tale riconoscimento esterno quanto interno.Dirà un presunto sodale che i pagamenti ai carcerati vengono prima dei pagamenti ai sodali, siano essi calabresi, siciliani o napoletani.
«I soldi servono per i carcerati (…) Stoppiamo tutti i pagamenti! per tutti! – Mandiamo un pensiero per i carcerati! Quello che tu riesci a fare, dopo qui! è la cosa principale, i carcerati…! – i carcerati devono essere i primi a fare. Poi che siamo ad attaccarci i calabresi, o i napoletani o i siciliani, i carcerati vanno mantenuti prima di ogni altra cosa a questo mondo!». - Il punto forse più interessante di questa storia è proprio il modo in cui si parla delle organizzazioni mafiose “siciliane”, “calabresi”, “campane” o “napoletane”.
Qui il caso Milano e Hydra – come d’altronde è avvenuto anche in passato – sono forieri di preziosi spunti per gli studi sulla mobilità mafiosa.
Ciò che vediamo della criminalità organizzata (mafiosa) a Milano finiamo poi, storicamente, per vederlo altrove in Italia e all’estero.Il passaggio non è indifferente: dire i calabresi o i siciliani o i campani per indicare gli ‘ndranghetisti, i mafiosi o i camorristi è un modo di dire a cui siamo abituati ormai, soprattutto quando a parlare sono persone interne al sistema criminale. Però è un modo di parlare scorretto e pericoloso perché normalizza lo stigma “etnico” su certi popoli del sud, come se gli ‘ndranghetisti e i calabresi fossero di base la stessa cosa, o comunque ci fosse una componente “etnica” (l’essere calabrese) negli ‘ndranghetisti che li renda riconoscibili a priori. E siccome stiamo parlando di ‘ndranghetisti in trasferta, che calabresi a volte nemmeno lo sono più, questo è paradossale.
Collaborazione mafiosa e pregiudizi etnici
All’estero questa giustapposizione di termini sfocerà nel cosiddetto “pregiudizio etnico”, alimentato dal mondo criminale ma che trasmigra tra autorità e comunità. Prestiamoci attenzione, dunque, ché se l’etnicizzazione è parte del futuro della collaborazione mafiosa anche in Italia, come all’estero, abbiamo di che stare attenti.