MAFIOSFERA | Gioia Tauro, chiude il porto? Ci guadagnano i narcotrafficanti

È il fiore all'occhiello dell'economia calabrese. È al centro dei movimenti internazionali di cocaina, ma è anche il posto dove se ne sequestra di più. Con le nuove norme sull'ambiente rischia la chiusura. E a perderci di meno sarebbero proprio le 'ndrine

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Non c’è dubbio che la priorità dell’Europa e di tutti noi debba essere la salvaguardia dell’ambiente. Così come che questo possa comportare dei sacrifici da parte degli Stati e dei settori pubblici e privati oltre che degli individui.
Fatta questa premessa, l’ultima misura all’interno dell’obiettivo dell’UE di raggiungere l’azzeramento delle emissioni di gas serra entro il 2050, il pacchetto Fit for 55 – che si ripropone di ridurre le emissioni europee del 55% (rispetto al 1990) entro il 2030 – ha delle ripercussioni molto importanti su economia e società proprio qui da noi, in Calabria.
A essere a rischio è il porto di Gioia Tauro, fiore all’occhiello (sebbene spesso vituperato) del commercio e dell’economia regionale. Il giornalista Michele Albanese ha definito questa faccenda uno «tsunami epocale» di cui pochi hanno capito la portata effettiva.

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Palazzo Berlaymont, sede della Commissione Europea

Si tratta di una revisione del sistema europeo di ETS – Emission Trading System – cioè del sistema di scambio delle quote di emissione. È una revisione proposta in Commissione Europea il 14 luglio 2021 per estendere il campo di applicazione del sistema ETS e includere anche le emissioni provenienti dal settore marittimo. Tale sistema era già stato applicato al traffico aereo dal 2014.
La Direttiva e il Regolamento sono stati pubblicati nella Gazzetta Ufficiale dell’UE il 16 maggio 2023. Entrambi gli atti legislativi sono entrati in vigore il 5 giugno 2023. Tuttavia, sia la Direttiva che il Regolamento si applicheranno a partire dal 1° gennaio 2024. Ed ecco perché ne stiamo parlando ora.

La legge non è uguale per tutti

Il sistema ETS dell’UE avrà un impatto su diverse dimensioni e tipologie di navi nei prossimi anni. Ad esempio, dal 2024, su navi da carico e passeggeri di stazza lorda (GT) pari o superiore a 5.000, indipendentemente dalla loro bandiera. Dal 2027, su grandi navi di servizio offshore (oltre 5.000 GT).
La direttiva prevede che la tassazione delle emissioni sia calcolata oltre che sulla tipologia di nave anche sulla distanza percorsa: si tasserà al 50% se lo scalo di partenza o destinazione è extra-UE e al 100% se partenza e destinazione se i porti sono in UE.
Per capirci, da Singapore a Gioia Tauro la tassazione sarà al 50%, ma da Gioia Tauro a Livorno o Genova sarà al 100%. Questo perché i porti di trasbordo (transhipment) ad almeno 300 miglia nautiche da un porto europeo, non saranno considerati come scali, mentre i porti in UE lo saranno.

La denuncia di Agostinelli

Si tratta di un sistema per applicare il principio “chi inquina paga” e offrire incentivi alle parti interessate per ridurre la propria impronta inquinante. Purtroppo, però ci sono due effetti collaterali.
Innanzitutto, sembra ovvio ritenere che le compagnie di navigazione nel settore dei container che effettuano il trasbordo da nave a nave nei porti dell’UE andranno a ridurre i loro pagamenti per l’ETS semplicemente cambiando il loro hub di trasbordo da un hub UE a uno non-UE.
E secondo, come già fatto notare dal Porto di Gioia Tauro, affiancato da MSC, Filt Cgil e Uiltrasporti, la normativa è discriminante per alcuni porti europei più che per altri.
Ha dichiarato Andrea Agostinelli, presidente dell’Autorità Portuale di Gioia Tauro: «Tutti gli armatori dovranno pagare una tassa per le emissioni di gas serra nel bacino del Mediterraneo. L’Europa ha deciso di tassare gli armatori perché vuole spingerli a modificare il sistema di navigazione e di trasporto, ma ha adottato un provvedimento che discrimina i porti mediterranei rispetto a quelli extraeuropei».

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L’ammiraglio Andrea Agostinelli

Gioia Tauro? Meglio l’Africa

Lo svantaggio competitivo degli scali di transhipment sud-europei è tanto superiore quanto più alta è la percentuale del porto nell’attività di trasbordo. E Gioia Tauro ha percentuali di transhipment sul totale dei container movimentati pari al 95%.
Secondo uno studio commissionato dall’Autorità Portuale dello scalo calabrese ad Alessandro Guerri, Gioia Tauro è proprio «la tipologia di porto che gli armatori saranno più incentivati a sostituire/evitare», palesando quindi una reale chiusura o abbandono del porto.
È dunque molto probabile – anzi, dice già la ricerca scientifica, economicamente molto conveniente – che gli armatori scelgano di dirottare i container da transhipment in porti non EU per portare a zero i costi da ETS, ma de facto mantenendo le emissioni nel Mediterraneo.

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Tanger Med trarrebbe vantaggio dalla crisi di Gioia Tauro

Il traffico marittimo non si ferma e il mare – in questo caso il Mediterraneo – ci collega comunque tutti a prescindere dai nostri confini imposti. Ecco che, a prendere il posto di Gioia Tauro potrebbero essere i porti di Tanger Med o di Port Said, entrambi porti a vocazione di trasbordo, il primo – il più grande porto in Africa – in Marocco – di relativa nuova fattura (inaugurato nel 2007); il secondo, in Egitto, a nord del canale di Suez.
Chi vuole arrivare in Europa, userà l’Africa per il transhipment pagando molto meno all’ingresso in Europa. E chi non vuole fermarsi in Europa (e che faceva transhipment a Gioia Tauro fino ad oggi), tenderà a evitare i porti europei del tutto, a favore di quelli africani.

Gioia Tauro e il narcotraffico

Ma c’è un altro aspetto di tutto ciò che è stato per ora ignorato – forse giustamente, vista l’urgenza e i timori diffusi – ma che pure rappresenta un fattore di rischio – controintuitivo – in questa débâcle sul depotenziamento di Gioia Tauro o addirittura sul suo progressivo abbandono.
Tra tutti i primati che ha il porto di Gioia Tauro c’è infatti anche quello del traffico di stupefacenti; secondo le ultime stime, lo scalo calabrese riceve circa l’80% della cocaina che arriva in Italia.

I sequestri di droga regione per regione nell’ultimo report del Viminale

La cocaina – ma anche la cannabis che ancora arriva in porto – viaggia su container da porti dell’America latina – Santos in Brasile o Guayaquil in Ecuador – diretta allo scalo calabrese o ad altri scali europei come Anversa o Rotterdam.
Non si tratta di scelte arbitrarie dei trafficanti – tra cui vari gruppi ‘ndranghetisti – quanto di scelte economiche, obbligate quasi, perché legate al mercato marittimo. Se si chiude una rotta legale, si chiuderà anche quella illegale e viceversa. Per ogni rotta che si apre, si apre la possibilità di un suo sfruttamento a fini illeciti.
Quando il porto di Gioia Tauro attraversava gli anni della bancarotta meno di un decennio fa, le rotte preferirono altri porti Italiani e non. La mano invisibile del mercato a economia capitalista muove le pedine anche, soprattutto, sul mare.

Coca e ‘ndrangheta

La previsione criminologica – sicuramente per ora ipotetica – è molto semplice. Se il porto di Gioia Tauro perde clientela e traffico fino all’abbandono a favore di porti nordafricani, anche la cocaina dovrà spostarsi. I porti nord-europei, per quanto intaccati dalla direttiva europea anch’essi, non hanno molti sostituti ergo il traffico (lecito e illecito) verso i porti olandesi e belgi rimarrà costante.
Il traffico che dai porti sudeuropei si dirotterà sul Nordafrica invece porterà con sé anche il narcotraffico che da Gioia Tauro o dal Pireo (altro porto ad alto tasso di confische di narcotici) si sposterà in Africa. E qui la geopolitica del crimine organizzato ha sicuramente un peso.

Più problemi per la polizia che per i narcos

Come confermato in una recente ricerca di Global Initiative Against Transnational Organized Crime, esistono legami molto solidi tra trafficanti di cocaina, finanziatori e distributori tra America latina – principalmente dal Brasile – e Africa, soprattutto occidentale. Non solo arriva la cocaina in Africa occidentale, ma in parte arriva già anche grazie alla ‘ndrangheta. Se la presenza di gruppi di trafficanti appartenenti a diverse organizzazioni criminali in alcuni paesi dell’Africa è cosa nota, lo è anche l’utilizzo di corridoi tra Mauritania, Mali, Algeria e Marocco per il trasporto della cocaina via terra. Da lì, l’Europa è vicina con navi che non devono essere sempre transatlantici muovi-container.

La cocaina continuerebbe ad arrivare, ma il mercato sarebbe ancora più frammentato, rendendo molta complessa l’azione di contrasto. Uno spostamento delle rotte sull’Africa – e, dunque, delle rotte illegali sull’Africa del Nord – non turberebbe molto i gruppi criminali, ammesso che riescano a organizzarsi con emissari e broker locali e in Sudamerica (e molti ‘ndranghetisti riuscirebbero). Ma tale spostamento turberebbe moltissimo le forze dell’ordine, italiane ed europee che perderebbero quel poco vantaggio acquisito negli anni nel conoscere e contrastare il modus operandi dei gruppi criminali che si muovono nei nostri porti.

Gioia Tauro: il porto della cocaina (e dei sequestri)

Il porto di Gioia Tauro non è solo il porto della cocaina; è anche il porto in cui si confisca più cocaina che altrove. Le ultime stime danno quasi il 40% della cocaina “ipotizzata” in rotta per Gioia Tauro, confiscata dalla Guardia di Finanza. Il rischio di trafficare cocaina a Gioia Tauro ora è condiviso, dai trafficanti e dalle autorità. Se Gioia Tauro non fosse più la destinazione, la cocaina vivrebbe un periodo di rotte imprevedibili e largamente intoccabili da un punto di vista della confisca e della sicurezza portuale.

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Cocaina nascosta tra le banane rinvenuta a Gioia Tauro: il carico era di circa 3 tonnellate

C’è di più: i passi avanti, notevoli, in termini di lotta al narcotraffico, in Europa, subirebbero un’enorme frenata se aumentassero i traffici portuali extra-europei, richiedendo alle autorità europee di rafforzare i rapporti con i porti e i paesi africani, già complessi in materia di narcotraffico. Ad aumentare, come detto, potrebbero essere anche i traffici nordeuropei, andando a insistere su situazioni già molto complesse in porti come Rotterdam, dove la violenza del narcotraffico è già cosa nota.

Grande è la confusione sotto il cielo…

Il mercato del narcotraffico è di certo tendenzialmente molto disordinato. Ma ad aggiungere disordine – ad esempio con shock geopolitici di questa portata (da ultimo uno shock simile in Europa lo ha portato Brexit) – si rischia solo di aumentare la violenza che a tale mercato si lega (si pensi agli ultimi anni di Rotterdam) e ad aumentare il peso specifico di alcuni gruppi criminali rispetto ad altri (si pensi ai gruppi irlandesi post Brexit).
Chiunque porterà un po’ di “ordine” nel caos, chiunque saprà gestire al meglio l’emergenza, ne uscirà più ricco e meglio posizionato sul mercato. E quanto a posizione stabile sul mercato la ‘ndrangheta, nonostante i suoi alti e bassi, rimane reputazionalmente ancora molto forte.

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Il porto di Rotterdam

Ma forti sono anche altri gruppi, più attenti ai traffici nel Nord Europa o, appunto, in Africa. Paradossalmente, dunque, si abbandona il porto della cocaina, ma la ‘ndrangheta – che quel porto oggi certo lo usa assai – non abbandonerebbe il mercato della cocaina, che però sarebbe più confuso e frammentato da capire per le autorità. A perderci, insomma, non sarebbero le organizzazioni criminali.

Gioia Tauro, politica e guerra ai narcotici

Ma mentre si ipotizzano tali scenari, si assiste a flashmob dei lavoratori e al solito balletto della politica, tra colpevoli e più colpevoli. Perché ovviamente questa storia lascerebbe ancora più disoccupazione in una terra già difficile per i lavoratori. Laura Ferrara, eurodeputata col M5S, calabrese, ha risposto agli attacchi che le si sono avanzati su questa vicenda anche con un’interrogazione al Parlamento Europeo che si spera abbia preso risposta. Sicuramente la vicenda non può finire qui.

Mentre si aspettano risposte dalla Regione e dal governo oltre che dall’Europa, dal porto di Gioia Tauro la proposta arriva chiarissima: il regime applicato a Port Said e Tanger Med si estenda anche a Gioia Tauro e ad altri porti europei simili (Malta, Sines, Pireo), altrimenti lo scalo calabrese andrà perso.
E se si perde Gioia Tauro, si perde anche quel poco di controllo che si ha sulla cocaina a Gioia Tauro, in Italia e dunque in Europa, a vantaggio solo di chi la traffica.

Se davvero si arrivasse a quel punto sarebbe auspicabile come minimo un serio discorso sulla decriminalizzazione di alcune sostanze stupefacenti, dal momento che la war on drugs, la guerra contro i narcotici, subirebbe ancora un’ennesima, mortale batosta.

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