IN FONDO A SUD | Una Diamante non è per sempre

Persino Matilde Serao e D’Annunzio furono conquistati dal piccolo centro del Tirreno che oggi ha cercato di vestire i panni di capitale della cultura. In attesa del porto che sarà un sarcofago sulla scogliera, resiste la Cosenza “bene”, l’invasione del cemento e quel mare attraversato inesorabilmente da una schiuma marrone

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Diamante ha davvero un bel nome. Ma non è bastato. Non sarà capitale della cultura italiana nel 2024. Finisce così l’inseguimento del “grande evento” che avrebbe potuto cambiare la storia non solo del paese – spopolato d’inverno con meno di 5.000 abitanti, che d’estate diventano 50.000–, ma forse anche di un intero comprensorio che sogna da sempre di diventare meta del turismo che conta. Resta la realtà recente, luci e ombre, di questo piccolo centro della Riviera dei Cedri. Scosso anche, non molti giorni fa, da preoccupanti episodi di cronaca nera.

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Diamante è nota anche per i suoi murales (foto pagina Fb Diamante Murales 40)

Diamante da D’Annunzio a Cetto la Qualunque

Diamante è un bel paese di mare, di quelli col mare sotto. Sorto intorno al 1630, colonia penale di galeotti trasferiti dai viceré spagnoli là dove c’era un tempo il porto dei Focesi, si dice che già ai tempi della Belle Époque da queste parti venissero in gita D’Annunzio e Matilde Serao. Palati fini, e strana coppia a volerci credere. Oggi è decisamente un altro vedere. Centro storico minuscolo e ancora bello. Il resto è un assedio di villette standardizzate stile immobiliarista à la Cetto La Qualunque, tutte assiepate sui bordi sbaraccati della Statale 18. Gli anni in cui Diamante è diventata quella specie di Positano dei poveri che si vede adesso, sono stati gli anni del debutto del cemento armato sulla SS18, la città-stradale della Calabria. E qui chi poteva ha fatto grandi affari.

La giornalista e scrittrice Matilde Serao

L’estate dei cosentini

Adesso d’estate c’è il chiasso del turismo dei grandi numeri del Peperoncino Festival, l’inquinamento, la smania di apparire. Diamante è da sempre la scena estiva dei cosentini-bene e di tutti gli autoconvocati del generone politico di sopra e sottogoverno, che qui hanno villa e tengono corte. La sera sul lungomare è una sfilata di yachtman di provincia col Paul Picot al polso, sfoggio di soubrettine glamuor e completini Henry Lloyd.

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Riccardo Scamarcio ospite della ventinovesima edizione del Peperoncino Festival

Il paesino ad agosto si trasforma in un labirinto di club privè che accoglie quelli che da queste parti vogliono, fortissimamente vogliono, champagne e posto-barca a Diamante. Anche se quella del porto turistico da costruire proprio sotto la bella passeggiata a mare è una vicenda che va avanti da anni tra inchieste, scandali sugli appalti, stop e proroghe. Un porto delle nebbie che non c’è, e quel poco che c’è è abusivo, brutto e molto malmesso.

La Diamante di Matilde Serao

Pare invece che la definizione di “Perla del Tirreno” attribuita a Diamante sia una stima d’affezione proprio dalla spiritosa Matilde Serao (come, un ‘diamante’ che diventa una perla?). Lei che fu la prima donna italiana ad aver fondato e diretto un quotidiano, il Corriere di Roma, candidata al Nobel per la Letteratura per ben sei volte, scoprì questo tratto di costa e restò stupita che ci fosse spargimento di tanta bellezza anche più giù di Sorrento, Positano e Capri. Così fuorimano, nelle vecchie Calabrie. Pezzi di paradiso, e la Serao si innamorò di Diamante. Meglio dire, di quel Tirreno d’altri tempi, limpido e profumato che allora si vedeva sotto la balaustra del costone della vecchia camminata a mare che dava riparo alle piccole case e alle barche da pesca del borgo marinaro.

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Alla giunonica Donna Matilde, la Diamante limpida, cenciosa e odorosa di pesce degli anni della Belle Époque piacque. Era un posto più saporoso e bello della solita Costiera amalfitana, una variante marinara del suo Paese di Cuccagna napoletano. Oltre l’affaccio sul mare c’era la bellissima scogliera, ampia come un enorme acquario, da cui era possibile vedere “pesci di ogni genere, ricci di mare, patelle, capelli di mare”. Una peschiera naturale, ghiottonerie e un vero spettacolo all’aperto. I polpi con le tane nella scogliera si pescavano con il “coccio”: bastava immergere in mare una vecchia “lancella”, la brocca di terracotta che teneva in fresco l’acqua da bere. Poteva farlo anche uno scugnizzo, che da sopra gli scogli tirava su con lo sagola il coccio con il polipo dentro, già pronto per andare in pentola.

Un mare di cemento (e non solo)

L’acquario della Serao ora è morto da un pezzo. Pescatori non ce ne sono più. I paesi di mare sul Tirreno, adesso che pure loro si fanno chiamare borghi, hanno accecato il mare con il cemento. Come a Diamante, hanno perso il mare e i pescatori, hanno perso l’amore degli occhi delle amate alla finestra.

La scogliera naturale con l’acqua bassa e trasparente – così ancora fino a qualche anno fa – è destinata tra breve a far posto ad un nuovo scempio. Il progetto prevede che sia ricoperta da un sarcofago di cemento. L’interramento servirà a fare di quello che resta della bella scogliera di Diamante il piazzale dell’ennesimo porto turistico. Una rastrelliera di acqua morta per lasciarci a mollo un po’ di barche da diporto e i motoscafi dell’upper class locale a caccia di status. Al posto degli scogli, dei pesci e dei polpi, le barche e gli yacht che dovrebbero risolvere la crisi del turismo e la moria di lavoro post-covid.

Il mare, la risorsa primaria del turismo delle spiagge e delle seconde/terze/quarte case. Pure su questo fronte poco di buono da dire. La stagione ormai anche qui non si schioda dal pienone le due settimane-due. Tanto che gli immobiliaristi ormai non vendono più neanche una villetta, pure se le danno via a prezzi d’inflazione. Lo stato delle acque di balneazione. Una situazione folle che ormai non si nasconde più neanche con il rito delle promesse e con le rassicurazioni pelose di amministratori e tecnici. Ogni fine primavera, puntuale come il destino, una macchia di schiume marroni larga e limacciosa viene a galla a pochi metri dalle spiagge.

Teatro di chiazza

Resta lì a fare compagnia ai bagnanti e ai pendolari delle vacanze low cost che traghettano qui per il poco che restano. Ogni anno è uno psicodramma. Con l’acqua che diventa sempre più torbida e sospetta e i turisti, sempre di meno, che invocano l’intervento della magistratura e poi scappano via. Naturalmente i sindaci si discolpano, la Regione pure, i giornali strillano allo scandalo e poi ospitano lamentele e accuse bipartisan. Insomma un teatrino. Nessuno fa niente. A volte la Procura interviene e sequestra qualche depuratore arrugginito. Troppo tardi, con i turisti e i bambini già a mollo nella mota, a stagione balneare in corso, quando picchia il sole, suscitando l’ira degli albergatori, le proteste convenienti degli amministratori, lo stupore dei cittadini e l’indignazione degli stessi poveri turisti implacabilmente fottuti.

A parte qualche commendevole episodio giudiziario, la fabbrica di merda che ogni anno ammorba Diamante e il resto del Tirreno Cosentino continua a girare indisturbata, a pieno regime. Ed è un peccato, perché tra Praia a Mare, Diamante e Amantea, sulla bella costa luminosa del Tirreno non si vivrebbe affatto male. Sono luoghi ospitali e naturalmente ricchi di bellezze e di benedizioni, nonostante il demente ingolfamento edilizio. Insomma, se rivedesse adesso Diamante pure Donna Matilde si dispererebbe. Invece gongolano il ricco farmacista cosentino, l’esotico diportista napoletano, il commercialista e l’avvocaticchio rampante. Tutti con la barca a mare. Questi i turisti, il turismo che avanza: tra gli avanzi.

La chiesa di San Biagio a Diamante

 

Diamante d’inverno, voci nel deserto

Dopo il casino rutilante delle ferie d’agosto, scomparse le folle in fermento dei vacanzieri napoletani, in posti come questo dipendenti dall’agitazione psicotica del turismo estivo, resta da smaltire la noia mortale degli inverni di 10 mesi.

Inverni che coi capricci climatici sembrano, un giorno sì e uno no, quelli delle coste atlantiche del Mare del Nord o quelli del Nordafrica. Variabilità che anche potrebbe tornare utile ad un turismo ben fatto, che tiri fuori davvero dall’ombra la natura violata, il mare, le bellezze del paesaggio, qualche discreto attrattore cultuale e non forzi esclusivamente il suo appeal su peperoncino, discoteche e murales. Nessuno qui pensa a un parco marino, a un’area protetta. Nessuno vuole salvare quello che resta del mare, della natura, delle risorse archeologiche. Neanche qui a Diamante, la riviera dei cedri, la “perla del Tirreno”.

Qualche voce nel deserto da queste parti resiste e testimonia per l’impegno culturale e il cambiamento. Fabrizio Mollo docente universitario e archeologo di fama , scopritore di importanti siti archeologici e allestitore dei pochi, e purtroppo trascurati, musei archeologici sparsi su questa costa; Enzo Ruis vignettista talentuoso che racconta con dolente ironia la sua Diamante, i matti del paese, i personaggi più iconici e coloriti di chi se ne va; Francesco Cirillo, ambientalista riottoso e da sempre contrario a speculazioni e abusi edilizi; Francesco Minuti, giovane pittore che a Diamante realizza con successo la sua pittura raffinata e iconica come quella di un artista rinascimentale, imprimendola però sugli scafi e il fasciame scrostato delle vecchie barche oramai arenate e inservibili.

Un bar che si chiama Desiderio

Vicinissime a Diamante e al suo prossimo porto, si stagliano le uniche due isole calabresi, Cirella e Dino. Sono ancora belle, sulla costa massacrata del Tirreno, davanti al mare di tutte le storie. Ormai vicine, vicinissime a questi paraggi di costa incasinatissimi e trafficati, zeppi di albergoni vuoti, discoteche, gelaterie, pizzerie e ipermercati. Se ne stanno lì solitarie e tristi a poche bracciate dalle riva, tonde come carcasse rigonfie di capodogli spiaggiati. Due mucchietti di rocce e di terra calabra ammonticchiati in acqua. Appena un’ombra sotto la linea ininterrotta dell’orizzonte del tramonto immenso che cala senza ombre sul Tirreno.

I ruderi di Cirella e l’isola omonima

La scogliera di Cirella verso l’imbrunire è un mare grigio di scogli appuntiti. Irti come spuntoni di bottiglie rotte da ubriachi che si lasciano dietro vetri scheggiati e una spiaggia scorticata dal maestrale. A Cirella anni fa c’era un bar che fu a lungo uno dei luoghi dell’estate: una fermata obbligata. Il bar si chiamava “Desiderio”, come il tram della pièce di Tennessee Williams o forse più banalmente era il cognome del proprietario. Non saprei dirlo, suonava bene però. Adesso anche il bar Desiderio non c’è più. Chiuso, per una brutta storia.

Mentre vado via in auto sulla 18 trafficata, i monti aguzzi e seghettati che sovrastano Diamante all’imbrunire sono come le guglie e i pinnacoli di un solenne duomo di pietra. Per un attimo tolgono di mezzo gli spropositi del cemento, tutta la fatua noncuranza e la prepotenza che si agita di sotto, sulla strada delle vacanze. «Cosa mi rimane? L’azzurro là in alto, e l’inquietudine, da niente, proprio da niente domata, che la vita, nonostante tutto, sia poi vasta, precaria e insieme inesplicabile: che sia romanzo, anzi una prigione, questa, dove tutto si rispecchia e irrimediabilmente abbacina». Diamante, Enzo Siciliano (Mondadori, 1983).

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