IN FONDO A SUD| Crotone, l’ex polis costruita sui veleni

I fasti della Magna Grecia hanno lasciato il posto al degrado contemporaneo. La terra dove Pitagora fondò la sua scuola oggi fa i conti con materiali tossici in strade e palazzi, pale eoliche ovunque, abusi edilizi, disoccupazione e tumori. E anche la bellezza del suo mare è a rischio

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Qualche mattina fa ho percorso in macchina la statale 106 ionica, da Catanzaro Lido verso nord. È una strada trafficatissima e sinistramente famosa, infiorettata di edicolette, di cippi e di altarini di plastica ai lati delle carreggiate. Volevo arrivare a Crotone. L’auto è l’unico mezzo per farlo in tempi ragionevoli. Trasporti pubblici assenti e isolamento sono uno dei problemi che fanno della antica città ionica una sorta di enclave: la ferrovia costiera è ancora quella di fine Ottocento, a binario unico, non elettrificata, e con i vecchi treni spinti dalle automotrici. La stazione sembra uno scalo in mezzo al deserto.

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La stazione ferroviaria di Crotone

Il porto invece è diviso in due: il bacino più antico è ancora quello che fu costruito con i blocchi divelti nel corso del Settecento dal tempio di Hera Lacinia; quello “nuovo” si limita al cabotaggio di naviglio piccolo, per via dei bassi fondali sabbiosi. L’aeroporto Sant’Anna funziona a singhiozzo e lì vicino c’è un grosso centro Sprar. Soppressi da anni i treni notturni e quelli a lunga percorrenza. Per qualsiasi altrove lontano da qui ormai si salpa in bus, di notte.

In mezzo alle pale

Crotone è un posto della Calabria che ha qualcosa di magnetico e fascinoso, di allucinato e di incongruo allo stesso tempo. La strada verso Crotone, già dopo Botricello, non riesce più a staccarsi dal collo i morsi degli abusi al vasto panorama dell’antico Marchesato del grande latifondo, il serbatoio del Mediterraneo preindustriale, quello delle terre del grano, delle pecore e del formaggio di cui scrive anche Fernand Braudel in Civiltà e imperi del Mediterraneo.

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La curva di orizzonte delle dolci colline ioniche oggi è tutta trafitta dalle mostruose torri eoliche costruite nei terreni degli Arena, cosca intoccabile del pantheon mafioso locale. Ce ne sono centinaia sparpagliate per chilometri. Se guardi meglio ti accorgi che ne girano pochissime, inutili come enormi segni di interrogazione. Il Marchesato di Crotone è uno dei luoghi più aridi del continente, a imminente rischio desertificazione. In più c’è il rischio mafia. Qui più che il vento servirebbe l’acqua. Ma gli interessi sull’eolico sono molti, scottano, sono poco illuminati dal sole e difficili da arginare. Intanto i mulini a pale continuano a crescere e a roteare indisturbati nei posti più improbabili.

La nuova Crotone

Circa un’ora di tragitto sulla 106 e mi sono ritrovato nel dedalo di giravolte, incroci e cavalcavia che porta a Crotone. La città nuova è questa colata di macerie alte e basse, scolorite e tetre, un teatro di quartieroni popolari come Vescovatello (dove il grande mercato coperto in abbandono, col tetto in lastre di amianto, sparge al vento i suoi veleni), Lampanaro e Fondo Gesù. Si ergono dai sabbioni di una costa un tempo malarica. Sono luoghi pericolanti di noia e di sciagure umane, che crescono tra stecche di casermoni disadorni.

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Case popolari nel quartiere crotonese Fondo Gesù

Sul paesaggio della Crotone di oggi campeggia l’enorme accozzaglia di ferraglia industriale abbandonata tra gli sterpi e le discariche supertossiche. Poi abituri indistinti, ristoranti per matrimoni, sfasciacarrozze, stazioni di servizio sgangherate, grandi ipermercati, nuove speculazioni e gru che crescono come steli di fiori maligni non lontano dalle lusinghe eterne del mare odisseo. Crotone staccata dal mare appare come una spessa piastra di cemento fratturata da un groviglio di strade sconnesse che sembrano smarrirsi nell’inerzia sul bordo esausto, sopraffatto e guasto del litorale.

La Stalingrado del Sud avvelenata

Si sapeva già dalle inchieste dei magistrati che a Crotone i carichi di rifiuti tossici, una volta finiti nelle mani delle mafie, sulla terraferma diventavano materiali per costruire case e asfaltare strade. Come già è accaduto per le ferriti di zinco e le altre scorie contaminate smaltite liberamente nell’ambiente dopo la chiusura del polo chimico della Pertusola, proprio davanti alle periferie arrugginite del vecchio stabilimento. Poi i veleni industriali sono finiti dentro la città calabrese simbolo dei guasti ambientali e della lunga crisi della chimica industriale. Era la Crotone millenaria, l’ex Stalingrado del Sud, a cui qualche mediocre cronista locale ancora affibbia l’altisonante aggettivo di “pitagorica”.

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Una mappa degli ex stabilimenti Montedison di Crotone (foto Archivio storico Crotone)

Adesso si sa che per anni nessuno ha saputo opporsi al paradosso criminale della costruzione di scuole, marciapiedi, strade, uffici pubblici e abitazioni civili impastate di un amalgama micidiale di veleni e scorie tossiche provenienti dalla bomba chimica sotterrata nei piazzali della Pertusola. A Crotone adesso si contano i morti per cancro, regalati come buonuscita agli operai e alle famiglie cresciute nei quartieri popolari vicini agli stabilimenti o all’ex Montecatini-Edison. Mentre ancora si aspetta di arrivare alla bonifica delle scorie tombate per decenni. Cumuli di scarti tossici movimentati nel porto e diretti alle lavorazioni nello stabilimento della Pertusola, appena più a nord di quello della Montecatini. Lì sotto giace, ed è un paradosso, un pezzo della antica Crotone dei greci. Insieme alle bonifiche ci si aspetta un processo che accerti finalmente i danni e le responsabilità. Qualcosa che rimetta ordine e dia pace, e un qualche risarcimento, a queste contrade.

La Storia è sempre più giù

Neanche il calcio offre più consolazione. Il tesoro sommerso dell’antica Crotone, più che una risorsa per il futuro della città, sembra un ingombro di cui disfarsi. Anche lo stadio Ezio Scida, abusivo come quasi tutto quello che sorge da queste parti, ampliato di recente tra polemiche e sequestri, convive, si fa per dire, con l’area archeologica che rientra nel programma di riqualificazione dell’antica Kroton. Si fa fatica a crederlo, ma nonostante dal 1981 la Soprintendenza archeologica abbia dichiarato inedificabile l’area su cui l’impianto sorge, il prato e gli spalti rinnovati negli anni della serie A sono stati allargati sopra i resti dell’agorà di una delle più importanti polis della Magna Grecia.

A parte pensare alla meraviglia seppellita sotto il rettangolo verde, c’è una cosa che ogni volta che vado a vedere una partita del Crotone allo Scida mi mette i brividi addosso. Quando la curva Sud, prima del calcio d’avvio o in un momento difficile della gara, all’improvviso fa salire al cielo l’incitamento ai rossoblù. Migliaia di tifosi cantano all’unisono e a gola spiegata Ma il cielo è sempre più blu o A mano a mano di Rino Gaetano, omaggio al ragazzo di Crotone che ha iscritto il proprio nome nel pantheon della canzone popolare italiana. La squadra ha adottato entrambi i motivi come inni ufficiali. Non so se ne esista al mondo una che possa vantarne di più belli.

Da Cutrone a Crotone

L’addizione urbanistica novecentesca che forma il nucleo della Crotone nuova scivola dai piedi del castello di Carlo V e dal piccolo centro medievale murato poco oltre gli alti bastioni, dilagando fino alle campagne dell’antico latifondo del Marchesato. La città nuova è un labirinto ansimante di cemento impolverato e caotico, sparpagliato per chilometri sul litorale e costellato da ammassi di spazzature e rottami non rimossi. Resta ben poco delle memorie classiche della antica città magnogreca, tutta sepolta e divelta sotto i cascami e gli ingombri di cemento della nuova.

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Crotone, Il Gladio

Crotone si chiamava Cotrone fino al 1928 e la gente del posto con inflessione dialettale la chiama ancora così: Cutrone. Poi il fascismo in vena di grandezze restaurò il nome classico della polis, la colonia achea di Kroton, di cui non restava più traccia. Sarà forse per questo che su una delle colline argillose che guardano verso la città un sindaco fascista non molti anni fa ha issato il totem ideale per la Crotone di oggi: un enorme gladio romano che campeggia sul panorama cittadino come una croce blasfema su un regno di tormentati.

La città della bellezza

E pensare che qui Zeus, secondo il mito, pare abbia incontrato le donne più belle del mondo dei greci (cinque diverse fanciulle di Crotone, ognuna per un dettaglio del sembiante, formavano il composito ideale estetico della più desiderabile bellezza). Un canone di bellezza eterno che fu ripreso da Shakespeare nei Sonetti – sino a precipitare poi nel famoso motivetto di Mambo number five di Perez Prado e nella hit di Lou Bega.

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Affidato (a destra) con Amadeus a Sanremo

La bellezza trascorsa, per quanto rattristata dalle corrosioni del moderno, qui è però una suggestione che ancora fa scuola. A Crotone cesellano ancora la loro arte antica, divenuta nel frattempo brand griffato per dive e grandi firme della moda, gli orafi Gerardo Sacco e Michele Affidato (suoi i premi di Sanremo). Realizzano i loro gioielli ispirandosi alle tradizioni popolari. Rifanno citando  – e molto aggiornando alla voga modaiola – i modelli classici indossati un tempo da aristocratiche, vestali e dee greche. Preziosità venute alla luce con il diadema d’oro e gli altri magnifici reperti affiorati dal tesoro di Capo Colonna.

Gissing a Crotone

Lusso e prosperità erano di casa a Crotone ancora in tempi non lontani. George Gissing, scrittore e viaggiatore vittoriano in Calabria nel 1897, si rammaricava di non aver potuto portare con sé «nessuna lettera di presentazione qui a Cotrone. Mi sarebbe piaciuto poter visitare una delle dimore più in vista, entrare in uno dei salotti migliori della città. Qui a Cotrone, ho saputo, vivono persone molto ricche e benestanti, hanno belle case e, mi è stato detto che con il bel tempo, almeno una mezza dozzina di carrozze private si possono vedere fare il giro alla moda sulla Strada Regina Margherita. Quasi come a Napoli». Della città ricca di un tempo resta qualche vestigia concreta. Come la bella piazza Pitagora, in pieno centro, incorniciata dai portici, caso unico in Calabria. Sotto i portici c’è lo storico Bar Moka, dove si può ancora gustare un dolce belle époque come l’Iris. In piazza Pitagora, dormire ancora oggi all’Hotel Concordia come fece Gissing, vuol dire ritrovarsi nel bel mezzo di atmosfere del Grand Tour.

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Lo scrittore e viaggiatore George Gissing

In prossimità della riva jonica c’è un altro luogo gissinghiano: il vecchio cimitero dalle alte murate di cocci diroccati che sembrano cotti in un crematorio del tempo. Un tempo l’elegante recinto dei morti di Crotone era ai margini assolati della città, circondato di mura e adornato da piante solenni e palme svettanti come preghiere. Era un’oasi di pace «simile a un bel giardino fiorito». Oggi il camposanto è circondato dalle auto e dal movimento caotico che va verso la periferia. Lo salva ancora quell’alto recinto di mura sbeccate, quasi fosse una rotonda spartitraffico dimenticata ai margini della waste land alla fine del lungomare.

Malattie e sanità

Nella periferia sconciata dagli abusi spicca anche lo stato di abbandono degli ex Villini Pertusola. Da lì in avanti la città non ha più profumi, avvizzita tra i veleni e il catrame infetto. Sembra che di fiori a Crotone non ne crescano più, neanche fuori dal recinto dei morti, con la città che ha le apparenze di un reclusorio di malattie micidiali. Crotone è immersa in una mortale quarantena per i vivi, malata fino al midollo. La città di oggi è mostrificata, inquinata dai resti mefitici della Montedison, di cui restano le spoglie spente e rugginose di un enorme compound degli orrori che continua ad alitare veleni sopra e sotto terra sulla vita di tutti.

L’Ospedale San Giovanni di Dio è l’unico presidio sanitario pubblico rimasto in città. Affollato, dolente e sempre in affanno sembra un lazzaretto per i poveri. Il sistema sanitario nazionale qui come altrove in Calabria è in crisi. Invece quello delle cliniche private, che ha fondato vere e proprie dinastie della sanità a pagamento, è fiorente. È uno dei punti di preminenza per l’intero settore, ma solo per quelli che possono curarsi senza passare da intralci e guasti del servizio pubblico.

Calcutta, Tirana… Crotone

A dispetto del bellissimo mare, Crotone ha un aspetto grigio spento. È piena di pozzanghere, di detriti e cascami decomposti che fermentano vicino a cliniche di lusso per ricchi che sembrano hotel. Una carcassa smembrata dagli abusi infiniti e dagli orrori spesso rimessi all’aria dai segni delle periodiche alluvioni che atterrano la città. La comunità cittadina sembra ormai afflitta dalla noia strisciante o dalla rassegnazione di vivere senza più speranze, nonostante i recenti cambi di poltrona nei palazzi del comune. Una dimissione civile che leggi anche nelle facce della gente per strada.

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Crotone allagata nel novembre del 2020

Ai ragazzi di Crotone restano la carta dell’emigrazione o i mestieri provvisori del precariato a vita. Come riparo di fortuna ci sono solo i call center dei grandi gruppi di gestori di telefonia. Qui hanno fatto man bassa, con paghe inferiori a quelle dei pària tecnologici che rispondono dalle postazioni di Calcutta o Tirana. Servizi di recalling e customer care interconnessi agli utenti di cellulari e smartphone urbi et orbi, che rispondono nella lingua globalizzata del business da qui, da Crotone. E invece stiamo con i piedi sopra le tombe degli eroi, nella Magna Grecia delle migliori annate.

Cultura, legami e resistenza

Ogni volta che passo da Crotone faccio un salto alla Libreria Cerrelli, in via Vittorio Emanuele, di fronte al vecchio Municipio e di fianco alla Chiesa dell’Immacolata. Fondata nel 1900, è la più antica libreria della provincia. Ed è una delle ultime rimaste vive in Calabria senza passare dalla servitù delle catene editoriali. In più di 120 anni di storia, visitata anche da Corrado Alvaro e da molti altri scrittori, è oggi uno dei pochi punti caldi rimasti come riferimento per la vita culturale cittadina. È un presidio che resiste nonostante la crisi. Merito di Paolo Cerrelli, che la gestisce come un luogo di grande vivacità, con numerosi appuntamenti.

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La Rari Nantes in un’immagine d’epoca

Oltre che libraio, è un attivista e agitatore culturale, difensore delle librerie indipendenti e del valore della cultura crotonese, antica e moderna, che anima anche attraverso festival di musica e letteratura. Ha un passato da militante di sinistra e da atleta nella mitica pallanuoto “Rari Nantes Auditore”, settant’anni di storia sportiva di cui oggi restano solo gli avanzi desolati di una piscina olimpica scassata, ricettacolo di rifiuti. Cerrelli ha chiesto di recente all’amico Sergio Cammariere di poter utilizzare un brano tratto dal suo ultimo disco “Piano nudo” per sviluppare sul tema una poesia o un breve racconto, massimo di 20 parole. Il cantautore è un altro dei crotonesi da ricordare per il suo legame con la città. Nel suo libro autobiografico Libero nell’aria la ricorda così: «Volevo vivere di musica e ci sono riuscito, ma lontano da Crotone, a Roma», dove lo aveva preceduto Rino Gaetano, che di Cammariere era appunto lo zio.

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Sergio Cammariere

Invece Giacinto de Rosario, esperto alimurgico e cuoco raffinatissimo, impegnato in azioni pubbliche per la sovranità alimentare, sulle sorti di Crotone, da crotonese di ritorno dopo una vita da antiquario di successo a Firenze, sottolinea il dovere di andare oltre le dichiarazioni d’amore per la città: «Occorre l’impegno di scoprire, salvare, avere cura della memoria e non farla più seppellire, per quel che resta di sopra e soprattutto di sotto. Non occorre stilare luoghi e storie da primato, ancor meno mi aspetto aiuti dagli eletti in parlamento, dagli ordini professionali ed altre categorie. È giunto il momento di farsi sentire e vedere tutti insieme, altrimenti è bene rassegnarsi al nulla». A proposito di impegno, il Gruppo Archeologico Crotonese assieme agli attivisti di Italia Nostra si batte da anni per difendere il grande patrimonio archeologico della città e dei dintorni.

I nuovi mostri

Sventato per ora il massacro di una grande lottizzazione speculativa per la costruzione di ville sull’area archeologica di capo Colonna, si profila all’orizzonte un’altra mostruosità: un colossale parco energetico offshore da piazzare nelle acque antistanti la città. Se verranno confermate le concessioni alla trivellazione alla Global Med, una società estrattiva americana, il progetto promette in un sol colpo di collocare su una superficie di mare di ben 2.250 kilometri quadrati tre nuove piattaforme di trivellazione, un campo di enormi pale eoliche offshore e una piastra di approdo per navi container e navi gasiere per rifornimento di gas naturale liquefatto. Tutto dentro le sacre acque che bagnano l’antica città di Kroton.

Si narra che Pitagora, che 2.500 anni fa scelse Crotone per fondare la sua scuola sapienziale, iniziasse la giornata insieme ai suoi scoliasti salutando il sole che saliva da oriente. Per ora il megaprogetto, avversato da gruppi ambientalisti e associazioni, pare aver trovato oppositori anche tra gli attuali amministratori cittadini. Se così non sarà, dopo lo scempio compiuto in terra, anche l’orizzonte ionico blu cobalto e il meraviglioso paesaggio marino dello specchio d’acqua crotonese avranno forse le ore contate.

Il prezzo del progresso

Oggi il Sud e la Calabria sono com’è Crotone: un immenso e caotico terreno di battaglia disseminato peggio che altrove delle macerie e dei ruderi informi di una modernizzazione scarsa di sviluppo che è stata – e sarà – incapace di tenere fede alle promesse di progresso annunciate un secolo fa. Il prezzo delle conquiste della modernità qui è stato tra i più compromettenti ed elevati: territorio massacrato, assenza di un’economia reale, disoccupazione che non smette di crescere, amministrazioni e governi locali allo sbando, una mafia efficiente e pervasiva come qui nessun potere legale riesce ancora a diventare.

Un nuovo e più sottile disordine sociale sta finendo per sgretolare una società pericolante. Che, a dispetto del benessere materiale ostentato ovunque, resta sottomessa, immiserita nei valori e culturalmente dimidiata nel suo unico bene: la sua memoria, la bellezza dei luoghi, il monito dimenticato che proviene dalla storia e dalla forza del suo paesaggio. Una società entro la quale nessuno pare avere il coraggio, la forza sufficiente a contrastare il peggio. Altre regioni, si dirà, altri Sud offrono della modernizzazione un bilancio simile, e tuttavia ‘ora’ è meglio di ‘allora’. Restano pur sempre il benessere dei consumi, le macchine, i frigoriferi, i computer, i telefonini, le parabole, l’economia di carta. Certo, è vero. Ma non è comunque una buona ragione per tacerne stupidamente il prezzo e nasconderne lo scandalo.

L’ultima colonna

Rivolgo lo sguardo al Capo Lacinio, da qui si intravede l’ultima colonna rimasta in piedi sul promontorio. Capo Colonna con la sua solennità a futura memoria resta lontano, sembra confinato a una distanza disperata, crescente. Un’altra nemesi sfacciata, uno scherzo beffardo della storia. Più di cent’anni fa, di passaggio nella “terrificante Crotone” battuta dallo scirocco e senz’acqua potabile, si ammalò di febbre polmonare George Gissing, e qui restò lungo in balia della tisi.

Si salvò solo grazie alle cure di un medico di campagna, il dottore Sculco, che divenne poi suo amico, e all’amore per lo straniero di un paio di donnette del popolo che aveva incantato, la povera gente che lo risollevò alla vita in una misera stanzetta dell’albergo Concordia, un posticino che in realtà era un bordello maltenuto. Il vittoriano solitario così scrisse grato: «Per me sarebbe stato meglio meglio morire qui sulle rive dello Ionio, piuttosto che in un tugurio di Shoredicth», il quartiere per dannati della Grande Londra dove era finito a vivere.

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L’area archeologica di Capo Colonna

Prima di riprendere la strada voglio andare a rifarmi gli occhi e la mente al Museo di Capo Colonna, che conserva meravigliose la bellezza e la magnificenza che qui abitarono e che sono solo del passato. Ad accogliermi, anche qui, sono cumuli di monnezza traboccanti da cassonetti artisticamente piazzati nell’area archeologica, all’interno dell’oasi naturalistica del Parco di Capo Colonna, un centinaio di metri appena dall’ingresso del Museo archeologico. Se Gissing fosse venuto in macchina con me a rivedere Crotone, anche lui si sarebbe sentito coinvolto nel disastro morale della storia. E avrebbe pianto.

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