Gli arresti di ‘ndrangheta a Rocca di Neto del 19 dicembre hanno fatto parlare anche per la collaborazione tra le forze di polizia italiane e quelle statunitensi. L’FBI avrebbe infatti fornito delle informazioni cruciali per l’operazione crotonese su legami tra presunti ‘ndranghetisti e controparti newyorkesi.
Di questa operazione, una volta chiariti i dettagli, si potrà parlare più specificatamente. Perché sì, la ricerca accademica – condotta sia sul campo che su fonti aperte – può fornire analisi del caso e degli scenari a esso connessi che non sempre le notizie di cronaca possono mettere in luce. Eppure, questo bacino di conoscenza che la ricerca scientifica offre, non è, in Italia, considerato sistematicamente nella produzione di conoscenza istituzionale.
La Commissione Antimafia si congeda
Che a molte autorità e istituzioni italiane non piaccia la ricerca è forse un dato che non fa notizia. Ma quando questa ignoranza volontaria diventa ragione per missioni istituzionali, che oltre ad avere un costo elevato, producono risultati banali e superficiali, bisognerebbe forse chiedersi cosa ci sia alla radice di questo difficile rapporto con la ricerca. È questo il caso degli ultimi rapporti della Commissione Parlamentare Antimafia uscente, che, a differenza di alcune Commissioni passate e nonostante il potenziale valore compilativo, deludono ricercatori e addetti ai lavori.
Morta una Commissione Parlamentare Antimafia se ne fa un’altra. E mentre aspettiamo le nomine per una nuova Commissione, usiamo questi ultimi momenti del 2022 per fare un bilancio di quella appena morta e che per gli ultimi 4 anni ha portato avanti – o avrebbe dovuto portare avanti – il lavoro di ricerca, analisi e disseminazione sul fenomeno delle mafie e dei fenomeni a esse collegate in Italia.
Sicuramente il lavoro della Commissione Parlamentare Antimafia, istituita nel 1963, ha un ruolo di rilievo; una voce istituzionale – a volte più sommessa, a volte urlante – che negli anni ha contribuito a sistematizzare la conoscenza sulla criminalità organizzata nel nostro paese e punto di riferimento dall’estero per qualunque forza politica e autorità voglia un confronto sul tema.
Passato e presente
Gli archivi della Commissione sono poi tesoro inestimabile per ricercatori e addetti ai lavori. È la continuità della memoria storica che la Commissione rappresenta a darle, oltre ai singoli lavori e rapporti, il suo valore istituzionale, legislatura dopo legislatura. È ruolo della Commissione, infatti, oltre a preservare la memoria istituzionale, anche dare nuovi indirizzi per analisi innovative.
La Commissione può arrivare laddove molte ricerche non possono arrivare, o non possono arrivare in breve tempo. Questo vantaggio fa sì che in passato alcuni lavori della Commissione – ad esempio quella presieduta da Rosy Bindi, che ha prodotto rapporti innovativi e fruibili come quello su Mafia e Massoneria – siano diventati punti di riferimento e di partenza, nonché spunti di ricerche, per gli anni a venire.
Ecco perché, quando una Commissione Parlamentare Antimafia uscente pubblica la sua relazione di chiusura – approvata, in questo caso, quest’estate ma resa pubblica solo in autunno nei suoi contenuti – il ricercatore va a leggerla con aspettative e attenzione.
Ma che succede se il ricercatore o la ricercatrice in questione si dimentica di avere comunque a che fare con forze politiche, fatta di politici – quelli degli ultimi anni poi – e non di esperti? E se poi si dimentica di alcune vicissitudini personali di alcuni membri della Commissione in questi anni, che hanno ‘distratto’ dal lavoro? Ecco, il ricercatore o la ricercatrice potranno effettivamente rimanere delusi.
Niente di nuovo sul fronte criminale (o quasi)
Nei rapporti che compongono la relazione conclusiva della Commissione Parlamentare Antimafia uscente al dicembre 2022, c’è davvero poco di nuovo. Anzi, non c’è praticamente nulla di nuovo. Fatta eccezione per il valore della sistematizzazione di alcuni fatti da un lato – ad esempio la relazione sulla visita nei distretti di Catanzaro e Vibo Valentia, in seguito alla risonanza mediatica del processo Rinascita-Scott – e l’attenzione posta su alcuni temi – si veda il rapporto su criminalità organizzata e porti, a seguito dei sequestri di cocaina o a processi che guardano (ancora!) al rapporto tra mafia e massoneria – il contenuto analitico di questi rapporti rimane superficiale.
Eppure, si tratta di rapporti spesso molto densi: quello sui porti è lungo 65 pagine ed è il risultato di una serie di interviste con forze dell’ordine e presidi di sicurezza portuale. Nessuna menzione della ricerca accademica, che, per quanto non nutritissima sul tema di criminalità in ambito portuale, si è focalizzata proprio sui due porti di cui la Commissione si è occupata, Genova e Gioia Tauro con dati spesso più ‘freschi’ di quelli analizzati dalla Commissione.
A che pro?
Insomma, un occhio attento vede tre caratteristiche ricorrenti in questi rapporti:
- la ‘rincorsa’ del tema del momento;
- l’assenza di analisi indipendente;
- l’assenza di coinvolgimento della ricerca.
Tra l’altro, emerge chiaramente che c’è un problema con l’accademia: solo 2 le audizioni di docenti universitari dichiarate dalla Commissione (a fronte di 18 magistrati e 17 funzionari pubblici per esempio), sui temi dell’usura e sui risultati di una ricerca compilativa, sicuramente utile per la Commissione ma poco utilizzata nella pratica, L’Università nella lotta alle mafie.
Emerge una questione cruciale: quale valore hanno missioni e rapporti di approfondimento su temi specialistici che ignorano lo stato dell’arte della ricerca, sia accademica sia di ricognizione sistemica delle fonti aperte, sui temi prescelti, quando i risultati che si ottengono da tali missioni e per questi rapporti si rivelano datati, carenti e soprattutto non dicono niente di nuovo?
La Commissione Antimafia sbarca in America
Prendiamo – nell’ambito dei lavori svolti dalla Commissione uscente – proprio la relazione sulla missione a New York e a Washington dal 13 al 18 gennaio 2020. La relazione è di 27 pagine. Si prefigge, come detto nella sua introduzione «un obiettivo conoscitivo» sui «profili generali concernenti il tema della presenza, negli Stati Uniti, di insediamenti della criminalità organizzata di origine italiana, nonché dei rapporti tra la criminalità organizzata locale e quella del nostro Paese». Altri obiettivi erano «analisi e valutazione dello stato di evoluzione della cooperazione giudiziaria e delle relazioni intercorrenti tra autorità italiane e statunitensi, con specifico riferimento alla materia della criminalità̀ organizzata».
C’erano poi obiettivi di discussione più specifica sulla legislazione di contrasto al terrorismo e sull’attuazione e aggiornamento della Convenzione ONU di Palermo del 2000, contro la criminalità̀ organizzata transnazionale. Cinque giorni intensi per la delegazione italiana della Commissione, in visita alla DEA (Drug Enforcement Administration), all’FBI (Federal Bureau of Investigation), al Department of Justice. Un tour proseguito incontrando procure specializzate tra Washington e New York, per finire con la Rappresentanza permanente italiana presso l’ONU.
Nelle puntate precedenti
Quali i risultati di questo viaggio alla scoperta dell’America? Innanzitutto, una descrizione di come funzionano le autorità statunitensi e soprattutto un’analisi della legislazione sia penale che patrimoniale contro il crimine organizzato. E fin qua, si potrebbe anche dire che sia un esercizio compilativo utile, sebbene si potesse, ovviamente, fare comodamente da casa, sui libri scritti sull’argomento e sui siti web appositi.
Il resto è un riassunto delle puntate precedenti. La DEA che riassume i suoi rapporti annuali – a consultazione aperta sul web – comunicando le ultime novità in merito a chi traffica cosa e soprattutto chi ricicla denaro: informazioni ancora una volta ricavabili da fonti aperte da un qualunque ricercatore.
Con altre autorità, soprattutto le procure, si parla di casi negli anni precedenti. L’arresto di Ferdinando “Freddy” Gallina, latitante palermitano vicino a Matteo Messina Denaro, a New York nel 2016, per esempio. Oppure le operazioni New Connection, New Bridge, tra il 2011 e il 2014 e Columbus nel 2015, che hanno riguardato indagini sulla famiglia Gambino in Sicilia e in USA e arresti di soggetti residenti a New York connessi alla ‘ndrangheta. O, ancora, operazioni locali contro le cinque famiglie newyorkesi (Bonanno, Lucchese, Colombi, Gambino e Genovese).
Basso profilo is the new basso profilo
L’FBI ha poi confermato «un vero e proprio ruolo di superiorità gerarchica che la mafia di New York esercita rispetto alle altre organizzazioni criminali diffuse sul resto del territorio nazionale», altro fatto decisamente noto alla ricerca. Alle organizzazioni criminali italiane si attribuisce un “nuovo” trend – che nuovo non è per niente, basta chiedere a chiunque si occupi del tema – che sarebbe quello di mantenere un basso profilo, senza violenza.
Si ritiene rilevante – definito «impressionante» – «il numero di siciliani aventi legami con organizzazioni mafiose che ogni anno compiono viaggi nella città di New York», anche questo fatto noto. Soprattutto, già rilevato in connessione al porto di New York.
‘Ndrangheta, molto rumore per nulla
E poi c’è la ‘ndrangheta, ovviamente, immancabilmente. Ancora una volta molto rumore per nulla, però.
La Commissione ha sentito di come clan di ‘ndrangheta siano stati accertati a New York (Commisso, Aquino- Coluccio, Mazzaferro, Piromalli). Non sorprende, visto che il cosiddetto Siderno Group of Crime è attivo tra Stati Uniti e Canada da oltre mezzo secolo.
Operazione Provvidenza, poi, aveva dato dettagli sulla presenza dei clan della Piana in un business di prodotti Made in Italy verso gli Stati Uniti nel 2017.
Che la ‘ndrangheta abbia attivato collaborazioni con le cinque famiglie newyorkesi è anche roba vecchia. Tale collaborazione di fatto esiste da quando il Siderno Group è attivo, come ha fatto plurime volte notare negli anni la Waterfront Commission per il porto di New York e New Jersey.
Questo porta poi a raccontare che tali clan di ‘ndrangheta mantengono rapporti con il Canada e con altri gruppi sul territorio, ad esempio in California. Laddove la ricerca sulla ‘ndrangheta in Canada è notoriamente avviata da decenni, la California sembrerebbe dato nuovo, Ma può leggersi nella più ampia considerazione che tra le 5 famiglie almeno una, i Gambino, sono notoriamente legati a Los Angeles e che i collegamenti tra clan sidernesi e i Gambino sono anche li, notoriamente avviati.
Da ultimo, la Commissione in America ha fatto il punto sulla collaborazione internazionale e sullo stato dell’arte della normativa penale legata alla Convenzione di Palermo e alla possibilità di attivare non solo arresti, ma anche sentenze e pene transfrontaliere.
Anche stavolta la ricerca a livello europeo è molto attiva a riguardo. E conforta forse vedere come la Commissione arrivi a risultati in fondo simili: le raccomandazioni sulle squadre investigative comuni, sullo scambio di informazioni, sulla formulazione di indirizzi di pena comuni e via discorrendo.
Commissione Antimafia impreparata?
Probabilmente molte più cose avranno ascoltato i membri della Commissione Antimafia in missione negli Stati Uniti, cose che non sono scritte in questo rapporto.
Il problema non è solo di “risultati” scritti, ma di capacità analitica: se non c’è preparazione a monte, come si fa l’analisi dei dati a valle? Se non si assorbe la conoscenza già in circolazione, come si può davvero elaborare la nuova conoscenza?
E dunque il dubbio ab origine: sono necessarie queste missioni, che di nuovo non solo non dicono nulla, ma mostrano – urlano – con chiarezza l’assenza di interazione con ricerca sul tema e con la conoscenza pregressa che dovrebbe essere la base per tutti gli interessi di approfondimento politico e istituzionale?
Alla luce anche dell’operazione di Rocca di Neto, questo porta a un’ulteriore dolorosissima domanda: come possono le forze politiche del nostro paese commentare, intervenire, direzionare il discorso pubblico sull’argomento, se di questo argomento sanno solo notizie di seconda mano raccolte in missioni di 5 giorni?
Errori da non ripetere
Morta una Commissione Parlamentare Antimafia se ne fa un’altra. E speriamo che gli errori dei padri non ricadano sui figli. E che magari, oltre a fare le audizioni di qualche sparuto collega accademico, si scelga – che so – di creare una unità di ricerca più strutturata, capace di ricerca su fonti aperte, in lingue diverse, e già pubblicate (che già aiuterebbe) e anche collegata con chi sul campo – sui campi – della ricerca sulla criminalità organizzata ci sta da anni.