Ci sono circa 5.000 mafiosi italiani in Australia divisi in 51 clan di cui 14 di ‘ndrangheta. Questa la notizia con cui ci si è svegliati nel nostro emisfero la mattina del 7 giugno. Capita spesso di arrivare ‘tardi’ quando qualcosa accade in Australia; complice il fuso orario al nostro risveglio è già successo molto Down under. I principali canali di comunicazione australiani, dall’ABC (Australian Broadcasting Corporation) al The Guardian, hanno pubblicato nella notte la notizia, già commentata in radio e in tv locali, e twittata e condivisa sui social plurime volte, ripresa da un lancio stampa sul sito dell’Australian Federal Police. Nel leggere il comunicato stampa dell’AFP, prima ancora che le news rielaborate, si comprendono una serie di cose.
Fbi e telefoni criptati: AN0M
Primo: non si tratta di un’operazione in corso, ma di una serie di chiarimenti sull’operazione Ironside, altrimenti conosciuta come AN0M. Proprio un anno fa, l’8 giugno 2021, uno sforzo congiunto tra FBI americana e AFP australiana portava a centinaia di arresti, oltre 700 in tutto di cui 340 solo in Australia, in Australia, grazie a un’idea geniale: intercettare una app criptata, AN0M, che funzionava solo su un particolare tipo di telefono che costava oltre 2.000 dollari e non aveva accesso né a mail né a GPS, dunque irrintracciabile.
Calabresi d’Australia e influencer della ‘ndrangheta
App e telefoni, ideati appunto dalla FBI – che chiamò l’operazione Trojan Shield – erano stati introdotti nel mercato criminale grazie a degli “influencer”, cioè membri di spicco della criminalità australiana la cui voce e reputazione fosse in qualche modo adeguata per un’operazione di marketing. Tra questi, un certo Domenico Catanzariti, di Adelaide nell’Australia meridionale, che di giorno fa l’orticoltore, e nel tempo libero, dicono gli inquirenti, importa cocaina e altri narcotici dall’Europa grazie a un network di ‘ndrangheta e di altri trafficanti locali, tra cui altri australiani di origini calabresi, come Salvatore Lupoi e Rocco Portolesi ad esempio. Altri nomi, chiaramente di origine calabrese, sono quelli di Francesco Nirta e Francesco Romeo, arrestati nell’Australia meridionale. Gli arresti tra Stati Uniti e Australia e alcune indiscrezioni su questo caso sono quindi roba dell’anno scorso. Li hanno ripescati un anno dopo quasi in commemorazione di questa grossa operazione del 2021.
Il contributo dell’Italia
Secondo: l’AFP chiarisce che molta dell’intelligence che si è riusciti a ricavare dall’intercettazione della piattaforma AN0M, è stata studiata in questi mesi grazie all’aiuto delle autorità italiane, di Europol e di Interpol, in particolare il programma I-CAN (Interpol Coordination Against the ‘Ndrangheta), in cui l’Australia è uno degli 11 paesi coinvolti. Per questo oggi, e non un anno fa, si riescono a dire una serie di cose a riguardo della presenza mafiosa nel paese, tipo il fatto che alcuni ‘ndranghetisti prendano ‘ordini’ dalla Calabria, o mantengano vivi i rapporti con la madrepatria, oppure che operino insieme ad altri gruppi locali su cui a volte esercitano un notevole potere.
Come bande di motociclisti
Terzo: c’è un problema di numeri. L’AFP dice che «ci sono 51 clan di criminalità organizzata italiana in Australia. Abbiamo identificato e confermato 14 clan di ‘ndrangheta in Australia, che contano migliaia di affiliati». E ancora «La nostra intelligence suggerisce che il numero di affiliati potrebbe essere simile a quello delle bande di motociclisti» che, per chi non lo sapesse, sono da anni il nemico numero uno delle forze di polizia nella criminalità organizzata australiana. Si è dunque calcolato, arbitrariamente e senza né conferma né smentita dalle forze dell’ordine, che si tratti di circa 5.000 affiliati, visto che appunto questi sono i numeri correnti anche per i motociclisti.
E gli altri 36 clan?
Chi siano poi i 36 clan, di 51 menzionati, che non siano legati alla ‘ndrangheta non è dato ancora sapere. Probabilmente si tratta di altri gruppi criminali, a prevalenza italiana, legati a opportunità nel mondo del traffico di stupefacenti e/o ad altri gruppi minori. Ma il comunicato stampa non parla d’altro che di ‘ndrangheta e si ‘scorda’ di approfondire tutti gli altri ‘criminali italiani’. Visto ciò che si sa sulla criminalità di origine calabrese in Australia verrebbe da pensare che le affiliazioni mafiose siano un po’ più evolute e forse anche un po’ più specifiche del mero attributo etnico ‘italiano’, sebbene sicuramente dai contorni sfumati e di difficile comprensione.
I 100 anni della ‘ndrangheta in Australia
Volendo entrare ancora un po’ più a fondo in questa notizia, bisogna sollevare una serie di critiche. Innanzitutto, risulta strano il senso di urgenza e il senso di novità che accompagna questa notizia, non solo nel comunicato dell’AFP quanto in tutto ciò che ne è seguito. Sembrerebbe, a leggere le notizie, che si sia appena scoperta o confermata la presenza della mafia in Australia.
Questo farebbe quasi ridere: l’Australia è l’unico paese al mondo dove la ‘ndrangheta – e solo la ‘ndrangheta in maniera strutturata – è presente da 100 anni. Anzi, si festeggerà il centenario a dicembre 2022, in ricordo della nave Re D’Italia che ha approdato a Fremantle, Adelaide e Melbourne nel dicembre 1922 portando i tre fondatori della onorata società dalla Calabria all’Australia.
Tanta confusione, anche per colpa nostra
Questo aspetto leggendario della nascita della ‘ndrangheta australiana ne dimostra la forte valenza identitaria. Dal 1922, ciclicamente, l’Australia passa da momenti di panico mediatico a momenti di totale blackout nel capire, ricercare, perseguire la ‘nostra’ mafia. A volte a indurre la confusione sono state le autorità italiane: la commissione parlamentare antimafia negli anni ’70, interpellata dalle autorità australiane su alcuni eventi di sangue nelle comunità calabresi d’Australia, risponderà che non si tratta di mafia (la mafia è siciliana!) e che il mafioso non potrebbe comunque vivere così lontano dal Sud Italia. A volte, è stato per mancanza di fondi che si è smesso di analizzare il fenomeno: la famosa operazione Cerberus proprio sulla criminalità organizzata calabrese e italiana, guidata negli anni 90 dalla National Crime Authority, si chiuse al voltar del secolo per assenza di interesse e risorse.
La culla della ‘ndrangheta in Australia
Insomma, tutto si può dire tranne che la ‘ndrangheta sia un fenomeno urgente e nuovo oggi in Australia, quando nella storia del paese ci sono addirittura omicidi eccellenti legati a questi clan (se ne parlerà nelle prossime puntate della rubrica sicuramente). Inoltre, è in Australia – e non in Italia – che si sono per la prima volta definiti i caratteri organizzativi dell’Onorata Società – in contrapposizione con la mafia siciliana Cosa Nostra – principalmente all’epoca a Melbourne oltre che in una città del Nuovo Galles del Sud, Griffith – considerata la ‘culla’ della ‘ndrangheta platiota in Australia – in documenti di polizia del 1958 e poi nel 1964.
Un pericolo tutto calabrese
Un ulteriore riflessione meritano poi proprio i numeri che arrivano da operazione Ironside. L’AFP negli anni, principalmente dal 2006-2007 quando ha ripreso a occuparsi a tempo pieno di questo fenomeno, ha sempre ammesso che il ‘pericolo’ in Australia è sempre stato solo associato alla ‘ndrangheta. E che gli altri gruppi criminali a cui collaborano persone di discendenza o origine italiana non sono qualificabili come ‘mafie’ né sono cosi rilevanti come la ‘ndrangheta australiana.
Inoltre, l’AFP lavora per mappe familiari quando si tratta di ‘ndrangheta – family trees – più o meno corrispondente alla ‘ndrina, basata sul cognome e sulle alleanze familiari.
L’Australia e la ‘ndrangheta della porta accanto
In base alla ricerca condotta negli anni sulla ‘ndrangheta in Australia, alla sottoscritta risulta difficile pensare che ci siano “solo” 14 ‘ndrine soprattutto se ci si continua a chiedere chi siano i rimanenti 36 clan dei 51 annunciati. Si potrebbe invece ipotizzare una confusione tra ‘ndrina e locale, non inusuale all’estero, laddove 14 locali e/o 51 ‘ndrine potrebbero effettivamente corrispondere a più realtà. Il che potrebbe ridimensionare anche i numeri totali, nonostante l’affermazione del commissario AFP Nigel Ryan, riportata dal Guardian, secondo cui «è interamente possibile che qualcuno viva vicino a un membro della ‘ndrangheta senza saperlo».
Il metodo Falcone
Ma per saperne di più ovviamente si aspettano ulteriori dati. Fatto sta che non risulta contestato che la ‘ndrangheta australiana abbia sue connotazioni precise, storicamente rilevanti e totalizzanti nel panorama criminale ‘italiano’ del paese, dove i clan – soprattutto di origine aspromontana e ionica – offrono continuità e protezione criminale. Si tratta comunque di una notizia che fa ben sperare per il futuro degli sforzi antimafia in Australia. Infatti, come ricorda l’AFP, si è scelto di proseguire tali sforzi partendo dal metodo Falcone, quindi da un focus sul riciclaggio di denaro e il movimento di fondi illeciti nell’economia.
Il problema non sta certo nella volontà o nella capacità delle autorità australiane nell’agire in questo senso, ma più che altro sta nella difficoltà tecnica di coordinare operazioni di polizia e processi trans-giurisdizionali all’interno di quello che è effettivamente uno stato-continente. Inoltre, il rinnovato interesse all’argomento porterà sicuramente dei finanziamenti e ricalibrerà le priorità delle forze di polizia nel paese che è conditio sine qua non per l’analisi corretta del fenomeno.
Troppe sfaccettature per un solo metodo di contrasto
Rimane però da chiedersi se sarà questo finalmente il momento di svolta della lotta antimafia in Australia, e cioè quel momento in cui le autorità down under finalmente inizieranno a perseguire il fenomeno ‘ndrangheta sulla stregua di quello che la ricerca criminologica degli ultimi anni riesce a intuire: un fenomeno multi-sfaccettato contro cui non funziona un solo metodo di contrasto e con diverse manifestazioni da Perth a Sydney, passando per Brisbane, Adelaide, Melbourne, Canberra e l’hinterland.
Particolarmente avvezza alla prossimità politica, con influenza e interesse anche ad alti livelli nazionali, capace ancora di vittimizzare alcune frange della comunità calabrese, meridionale e italiana, e inserita in modo totalmente integrato nella storia economica e sociale del paese, la ‘ndrangheta in Australia, a chi scrive, è sempre sembrata una delle formule più riuscite della mobilità mafiosa.