GENTE IN ASPROMONTE| Il polpo di pietra

Un passato di miti, sequestri e roghi, un presente di resistenza e impegno condiviso, un futuro da scrivere insieme. Inizia oggi il nostro viaggio a tappe in un territorio unico per storia e biodiversità, tra chi resta e chi ritorna in Calabria per valorizzarlo come merita

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L’Aspromonte è un polpo. Guardandolo dall’alto l’impressione è quella di osservare una testa di animale da cui si diramano, a raggiera, tentacoli di roccia che si fanno strada tra le valli e le gole fino a raggiungere i due mari, lo Jonio e il Tirreno. La sensazione è sorprendente: è come vedere un animale preistorico sputato fuori dalle acque che tenta di ritornarvi. E niente più di questo gioco di rimandi tra la montagna e il mare coglie l’essenza di un territorio complesso che nasce, cresce e si sviluppa, a vari livelli, come testa di ponte sospeso tra Europa ed Africa, Oriente e Occidente.

Queste Alpi calabresi – ultimo anello del blocco granitico-cristallino della Calabria – sono vecchie di trecento milioni di anni. Si estendono per 80.000 ettari, molti ricompresi all’interno del Parco Nazionale, e attraversano 37 comuni della Città Metropolitana di Reggio Calabria. Racchiudono ventuno Siti di Interesse Comunitario, due Zone di Protezione Speciale e ottantanove geositi censiti, suddivisi in 5 aree geografiche omogenee.
Si tratta di una ricchezza inestimabile e sfaccettata che comprende una stupefacente biodiversità e un sincretismo culturale unico in tutto il Mediterraneo.

Pastorizia e sequestri

Raccontare l’Aspromonte e anche solo approcciarvisi è complesso e può sembrare un’impresa titanica. Un pezzo di territorio misterioso, spesso assurto agli onori delle cronache per malaffare all’ombra di una vita pastorale che, per secoli, si è sviluppata senza grandi cambiamenti. Se non quando, tra gli anni Settanta e Novanta, è divenuto tristemente noto come il covo impenetrabile dell’anonima sequestri calabrese che, con i suoi feroci e sanguinari rapimenti, ha accumulato il capitale da reinvestire in svariate attività illecite, prima tra tutte il traffico internazionale di stupefacenti.

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Pietra Cappa vista dall’alto (foto Pietro Di Febo)

Ed è allora che Pietra Cappa, monolito tra i più grandi d’Europa, geosito oggi osservato e studiato a livello internazionale come un gigante geologico dalla caratteristiche uniche, per secoli simbolo di Persefone, divinità polimorfa, venerata come candida fanciulla, come donna satura di passione, come potenza degli inferi, come luce, simbolo di vita primaverile, come tenebra, emblema di morte e sonno invernale, la mamma dei pastori e di quella cultura agro-pastorale ormai in via di estinzione, è diventato emblema di ferocia.

La montagna dei due mari

Oggi questa terra eletta di emigrazione, con le sue enclavi linguistiche intrise di vergogna, un versante tirrenico a tratti tropicale e lussureggiante, e uno jonico brullo, arido e più impervio, rivive. Alla stagione dei sequestri, lo Stato ha risposto anche con l’istituzione dell’area protetta nel 1989 cui è seguita quella dell’ente gestionale nel 1994.
La montagna ha cominciato a riemergere dalle acque di quell’oscura e fitta macchia mediterranea che per anni aveva custodito i suoi mirabili segreti, fatti di terre senza tempo, riti stagionali, culti religiosi, accatastamenti culturali in cui Bisanzio si mischiava a Roma, Atene e Gerusalemme, portando fino a noi tracce di un passato remoto ancora presente.
La sua scarsa antropizzazione, la precarietà di vie di comunicazione rimaste identiche per secoli e l’isolamento sono gli elementi che hanno tramesso in modo vivido e, nel bene e nel male, in un certo qual modo ancora attuale la conservazione di strutture sociali, schemi culturali e pattern valoriali atavici.

L’Aspromonte che si unisce

Tre fenomeni diversi susseguitisi in un breve lasso di tempo hanno interrotto questo processo:

  • Il boom degli anni Sessanta con l’abbandono dei centri montani che ha favorito il de-sviluppo della montagna e della sua economia;
  • Le ondate di emigrazione che, dagli anni Settanta, hanno desertificato le piccole comunità;
  • L’avvento del paradigma digitale che, dagli anni Novanta, sta globalizzando i trend della cultura di massa.

Al tempo stesso il pattern digitale, con la sua nuova rivoluzione industriale, si è rivelato formidabile per connettere, facilitare processi, moltiplicare, diffondere, avvicinare, divulgare. Persone, territori, operatori, ricercatori, turisti, escursionisti, imprenditori si sono trovati avvicinati, semplificati nel creare reti di interesse comune, facilitati nello scambio di informazioni, nelle procedure, nelle interazioni. La tecnologia ha dato una mano accorciando la dimensione dello spazio-tempo. E questo ha favorito il fiorire comunità di scopo, dall’animazione territoriale, al turismo, alle filiere produttive che, pur con i loro passi avanti, restano ancora ad uno stadio poco più che embrionale.

L’Aspromonte e i suoi tentacoli

La vera natura dell’Aspromonte è riemersa: non una mera montagna, ma una rete complessa e capillare di entità, paesi, borghi e comunità che ha vissuto con, per, addosso e in prossimità del monte. A maggior ragione l’Aspromonte è un polpo: perché i suoi tentacoli di pietra che attraversano luoghi e popoli sono i nervi di ciò che Gregory Bateson (gli chiedo subito scusa) ha definito ecosistema.

L’Aspromonte oggi è più polpo che piovra: la ribalta per il riconoscimento di Global Geopark della rete Unesco, un rinnovato interesse escursionistico, promosso dalla passione e dal febbrile lavoro delle guide ufficiali, composte da operatori del turismo montano e da professionisti della ricettività diffusa, l’attenzione verso la cultura del chilometro zero, la semplificazione dei processi di comunicazione, la mutate priorità di vita e lavoro derivate dalla pandemia, l’interesse per le isole linguistiche, rendono oggi la Regione Aspromontana meta di rinnovato interesse e terreno fertile in cui germinano la piccola imprenditoria e l’associazionismo.

Passato, presente e futuro

Viaggiare in Aspromonte significa andare alla scoperta di un passato che resta presente e si prepara ad essere futuro. Vuol dire scoprire le radici di chi è andato, di chi è rimasto. E, soprattutto, di chi è ritornato, categoria che viene poco osservata ma che rappresenta il grande corso che scorre sottotraccia. Dei ritornati si parla poco, ma ci sono. E sono quelli che, forse più di tutti, svolgono un lavoro di cucitura tra quel passato e questo presente.
Si tratta di giovani tra i 25 e i 35, come Gianluca, Nicola, Andrea, Rocco, con un passato di diversi anni in giro per l’Italia o all’estero, artigiani di vini, di cucine, agricoltura e cavalli che hanno deciso di rientrare. Con la loro esperienza e il loro bagaglio, contro lo stereotipo del «vatindi, non c’è nenti», sono ritornati per investire, senza negare gli ostacoli cui andavano incontro.

Quelli che ci credono

Sono quelli che ci credono. E sono i protagonisti di questo movimento che c’è ma non si vede. Affiancano i restati, come Tiziana, Luca, Pasquale, Piero, Attilio, stringono alleanze: fanno come le tegole del tetto, si danno l’acqua l’un l’altro.
Sono i protagonisti del mio racconto, sono gli enzimi di questa infrastruttura umana, culturale, del cuore, della fiducia su cui ha puntato il professor Giuseppe Bombino, già a capo dell’Ente Parco durante gli anni del suo mandato.

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Giuseppe Bombino, ex presidente del Parco

Sono il buono che c’è e che bisogna sostenere. Attraverso i loro occhi, le parole, le attività, l’impegno, ho costruito le puntate che si susseguiranno con diversi scopi:

  • fare una fotografia di quello che oggi sta accadendo e che in molti non conoscono;
  • riflettere sulle criticità del territorio, del rapporto con gli enti pubblici e di certe operazioni culturali;
  • riaprire il dibattito sull’annosa questione dello sviluppo delle aree interne tornata in auge con il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza.

L’Italia interna è quella fatta di quasi 4.000 comuni, il 58,8% della superficie nazionale, popolata da circa 13,4 milioni di persone. L’Aspromonte ne è pienamente parte. E quando ho deciso di iniziare questo viaggio l’ho fatto con questo spirito di scoperta e ricerca: alla volta di territori, popoli, uomini e donne partiti, restati o ritornati.

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