L’Aspromonte ha avuto un suo Rinascimento. Qualcuno direbbe che ha contribuito in modo sostanziale allo sviluppo di quello italiano.
Pochi sanno infatti che i borghi della Montagna Lucente ospitano un vero e proprio patrimonio diffuso di beni storico-artistici, spesso celati, comunque poco conosciuti. O addirittura sequestrati perché all’interno di immobili inaccessibili o a rischio crollo.
Che i beni artistici italiani non siano valorizzati a dovere è noto. Ma che l’Aspromonte nasconda opere scultoree di rilevanza nazionale e mondiale, lo sanno in pochi. Anzi pochissimi Pasquale Faenza, storico dell’arte e già direttore del Museo Rohlfs della Lingua Greca di Bova, ha aperto a me e a molti questa finestra.
Partito con l’intento di scandagliare il cosiddetto modello Bova e di inserire il suo museo in una più ampia narrazione della capitale della Calabria greca, avevo sondato qualche conoscenza per ampliare lo spettro della mia ricerca.
Tra i contattati c’era Pasquale. Con lui il discorso è caduto sui beni culturali che rendono l’Aspromonte di per sé opera d’arte, quasi un museo a cielo aperto.
L’arte d’Aspromonte: dal Rinascimento al Barocco
È una torrida mattina di luglio. Il sole è già implacabile e l’aria comincia a rarefarsi. Seduto davanti a una tazza di caffè troppo calda, tra il vociare degli astanti, ascolto Pasquale.
«Proprio dall’Aspromonte sorge il Rinascimento. Boccaccio e Petrarca imparano il greco attraverso Barlaham di Seminara, padre dell’Umanesimo, e Leonzio Pilato, tra i primi promotori dello studio della lingua greca nell’Europa occidentale e traduttore di Omero.
È il tempo in cui la Calabria con il suo monachesimo è très d’union tra Costantinopoli e l’Europa cristiana.
In questo contesto l’Aspromonte ottiene un ruolo di primo piano. Grande contenitore di legname e pece e sito di produzione della seta, è una terra florida per commerci e interscambi, sede di cenacoli culturali pari a quelli del Centro Italia.
Fioriscono botteghe, vengono prodotte e fatte circolare opere d’arte di pregio per arricchire i moltissimi luoghi di culto che insistono su quei territori. Tutto questo ci porta a comprendere il ruolo che ha avuto questa montagna non solo per la Penisola, ma per l’intera area mediterranea».
Un passato eterno tra riti e simbologie
Pasquale si riferisce al periodo tra ’400 e ’600. In questa epoca la Calabria ha un ruolo centrale nella crescita demografica ed economica del Paese.
È un momento in cui «esisteva un’economia che oggi non c’è più, ma che è stata fondamentale per la nascita di questi movimenti culturali».
Le tracce di questo passato, oggetto di una devozione popolare estremamente radicata, si riflettono nei culti mariani e nella rappresentazione dei santi guerrieri e degli elementi che li corredano.
Ad esempio, San Leo con la palla di pece in mano, o le varie Madonne che ostendono le mele, ’i pumiceddhi, tipiche di queste latitudini. O San Teodoro e San Michele, miliziani, emblema di difesa dalle invasioni saracene.
Questa simbologia svela le ricchezze e le criticità di un intero territorio, fino ad arrivare al culto pagano della Grande Madre e della fertilità, cristallizzato nell’effige della Madonna di Polsi. O nelle Pupazze di Bova. Oppure nella raffigurazione di Sant’Anna e sua figlia.

Arte d’Aspromonte: capolavori nascosti
Insieme alla Fondazione Scopelliti, Pasquale promuove Capolavori d’Aspromonte. questo progetto, a sua volta, deriva da Rinascimento di Aspromonte, ideato e gestito qualche anno fa insieme a Giuseppe Bombino, allora presidente del Parco.
«Tutto è iniziato col restauro dell’Annunciazione di Gagini nella chiesa di Bagaladi condotto assieme all’antropologa Patrizia Giancotti e promossa poi con la realizzazione di contenuti digitali collegati a un QR code. È stato un grande successo».
Capolavori d’Aspromonte, continua Pasquale, «parte da quell’esperienza e nasce per valorizzare il patrimonio storico-artistico poco noto e diffuso in tutto l’Aspromonte.
Ogni centro storico possiede un’opera d’arte databile tra ’400, ’500 e ’600.
Da Gagini, a Montorsoli a Pietro Bernini, i nostri borghi traboccano di opere importantissime che ci consentono di creare percorsi di conoscenza e riscoperta per rileggere il Rinascimento italiano sotto una nuova luce. Attraverso una lente che esce dal seminato del toscano-centrismo.
La storia dell’arte è stata letta partendo dalle grandi capitali degli Stati italiani, ma quello che conosciamo è solo una parte».
Arte d’Aspromonte: un percorso tra i borghi
La lista dei siti dove sono presenti sculture marmoree databili tra XV e XVII secolo è lunga e articolata.
Passa dalle ultime colline che diradano verso il mare fino al cuore della montagna.
Sono cinquantadue borghi che vanno da Bova a Pentedattilo, da Scilla a Seminara, da Bagaladi a Roccaforte del Greco, da Gallicianò ad Africo Vecchio, da Caulonia a Stilo, da Oppido Mamertina a Terranova, da Sant’Eufemia a Palizzi.
In alcuni di questi siti sono state già organizzate escursioni e molte altre sono già programmate.
In un luogo in cui germinano le proto-filiere del turismo lento, Pasquale ha un obiettivo: unire i percorsi e arricchire le escursioni naturalistiche con un’offerta più sfaccettata.
«La meta finale è potenziare la fruizione turistica coinvolgendo le guide turistiche. In particolare, le guide del Parco, che conoscono l’Aspromonte e lo battono quotidianamente.
La Fondazione finanzierà la redazione della guida che sto compilando in due versioni, cartacea e digitale. Una volta tracciati i siti e individuati i percorsi, le guide diverranno veri e propri moltiplicatori di nuovi viaggi di senso. La creazione di sentieri della cultura attorno a percorsi naturalistici già battuti, apre scenari nuovi. Questi sono collegati a un Rinascimento aspromontano sconosciuto. Ciò rappresenta di per sé una notizia e, in seguito a studi dedicati, potrebbe riservare grandi sorprese», prosegue Pasquale.

Tutti gli ostacoli da eliminare
Proprio lo studio e la ricerca sono il primo ostacolo.
«Sul territorio mancano gli enti che se ne occupino. Non mi pare che le Università calabresi abbiano mai aperto un filone di studio e ricerca sul tema né che l’Accademia di Belle Arti di Reggio abbia prodotto pubblicazioni dedicate.
Guarda invece l’escursionismo naturalistico: molte tra le guide hanno solidi studi di agraria alle spalle e l’Università Mediterranea ha sempre fatto la sua parte.
La carenza di approfondimento scientifico sui beni culturali in Aspromonte intacca l’avvio di un percorso che punta alla valorizzazione e all’apertura di nuovi comparti del mercato turistico».
A ciò si aggiungono altre criticità non proprio secondarie: i siti che ospitano tale patrimonio artistico sono spesso inaccessibili.
Sono chiese secondarie, a volte fatiscenti, che soffrono la mancanza di parroci e personale.
«Nelle chiese dei territori più isolati, tutto va gestito con cautela. Ma l’indotto economico potrebbe diventare uno sprone per far riaprire quei luoghi. Basta vedere quello che è successo a Pietrapennata di Palizzi».
Nella chiesa dello Spirito Santo è conservata la Madonna dell’Alica, un gruppo marmoreo cinquecentesco attribuito ad Antonello Gagini nel periodo della maturità.
«La chiesa era inaccessibile e pericolante. Con il coinvolgimento del Fai, della comunità e del parroco di Palizzi, abbiamo puntellato il tetto pericolante e abbiamo organizzato delle escursioni.
E poi, grazie al tramite di una guida, alcune donne del luogo hanno preparato e venduto le colazioni. Tutto molto alla buona, ma questo inizio ha fatto comprendere il ruolo di traino che un bene turistico può esercitare. Il web, poi, può fare il resto».
Lo stesso meccanismo è stato avviato anche ad Ardore con la Madonna della Grotta di Bombile, o ad Oppido con le opere custodite nella diocesi, dove due parroci hanno incentivato la valorizzazione di questi patrimoni.

Etnografia e arte in Aspromonte: oltre il turismo lento
Alla base serve un lavoro amplio che va dallo studio alla catalogazione, dall’aggiornamento alla divulgazione.
Con incursioni che si spostano dalla storia dell’arte all’etnografia. Perché il patrimonio diffuso in Aspromonte non ha solo un valore artistico, ma soprattutto etnografico.
«Più che altrove, in Aspromonte sono rimasti una forte devozione popolare, un senso di comunità mai sopito e una ritualità che ancora si tramanda vividamente.
Al valore storico-artistico del territorio si associa la devozione popolare che lo rende vivo e lo trasforma in vero e proprio bene immateriale.
Sul settore etnografico la Calabria è scoperta. A parte il lavoro svolto all’Unical da Vito Teti, oggi in pensione, c’è stato poco. In questo momento ci saranno uno o due etnografi presso le Soprintendenze. Da direttore del Museo Rohlfs ho dovuto realizzare in autonomia le schede di catalogo. È un vero peccato: l’aspetto che potrebbe avere maggiormente successo è anche quello poco studiato».
Il passaggio verso la valorizzazione etnografica – che oggi è il grande richiamo all’arcaico o all’esotico – è un percorso lungo e non facile.
«Significa lavorare sulle e con le comunità, solitamente gelose e diffidenti se si sentono esautorate del ruolo di protagoniste assolute. È un lungo lavoro di preparazione, ascolto, confronto e persuasione.
Ma quando inizi a comprendere il valore dell’effige di devozione che caratterizza il tuo paese, il ruolo che ha avuto, ad esempio, il tuo antenato, quello della tua comunità, fino ad arrivare a quello della Regione in un contesto mediterraneo allargato, riscopri un tesoro.
Il fatto che una nuova generazione possa conoscere il proprio Rinascimento o il processo di sviluppo della Calabria, arricchisce i centri storici e i borghi che rischiano di diventare contenitori vuoti, pieni magari di neonate botteghe, ma privi di contenuti. È questo percorso che crea il valore aggiunto di un brand autentico».
Arte: quale brand per l’Aspromonte
In una recente intervista, Francesco Aiello, docente di Politica economica dell’Unical, è stato netto: non è possibile mettere a punto un sistema turistico basato solo sul turismo lento.
In una breve conversazione telefonica con chi scrive, il prof di Arcavacata ha affermato: «Chi sostiene che il turismo lento possa arrivare a costituire il 13% del Pil regionale non dice la verità.
Oggi registriamo una forchetta che va dal 4 al 5% con margini di miglioramento. Ma il bacino di utenza del turismo lento non può spingere la quota parte del nostro prodotto interno lordo a una doppia cifra.
Serve piuttosto lavorare su strategie in grado di caratterizzare il sistema montagna, differenziandolo dall’offerta presente in altri territori. Perché scegliere Camigliatello o Gambarie invece di Roccaraso?»
Questo induce una riflessione sul fatidico brand Aspromonte di cui avevo parlato con Tiziana Pizzati a Samo.
Anche Pasquale insiste molto su questo tema: «La nostra cultura (e la conseguente narrazione) si è sempre fermata all’archeologia, ad una Magna Grecia più raccontata che “resuscitata”.
Così quando arrivi in Calabria, in particolare nel Reggino, ti aspetteresti di vederla, ma non la trovi. Non puoi basare l’identità su un elemento commerciale, come sono vissuti i Bronzi di Riace a Reggio. Se a questo aggiungi che la popolazione calabrese, in media, ignora la propria storia, il cerchio si chiude».
Quest’esperienza, quindi, rischia di sconfinare nella mitopoietica. Certo, un percorso di promozione turistica è iniziato. Tuttavia, questa lenta operazione ha una grande lacuna. Spiega ancora Pasquale «Non puoi pensare di creare una crescita turistica di lungo periodo se non hai portatori autentici di quel vissuto, testimoni viventi, presenti, narranti e agenti di una storia cristallizzata in opere, rituali e costumi di cui ignori origini e sviluppi.
Non puoi permetterti di basare una strategia di sviluppo sull’idea del selvaggio e sul dramma dell’abbandono.
Se invece lavori per potenziare questi luoghi, esaltandone la cifra culturale ed etnografica, puoi creare un modello autenticamente sostenibile con ampli margini di crescita. Puoi intercettare nuovi target e utenze: penso ad appassionati di arte, operatori del settore, e così via. Ecco perché è necessario insistere sulla formazione delle comunità e dei suoi membri. Solo questa riscoperta può scardinare un senso di inferiorità interiorizzato».

La voce delle guide
Su tale aspetto concorda Domenico Guarna, giornalista e guida escursionistica Agae: «Il turismo è una scienza sociale ed economica e da tale va trattata. Ciò implica studiare operazioni scientifiche basate su dati, proiezioni, valutazioni di mercato.
Inoltre, occorre coinvolgere le comunità, altrimenti si rischiano danni. Resta il fatto che non conosciamo quello che abbiamo e quindi non siamo in grado di presentarlo».
Domenico si riferisce a un fatto accaduto a Montebello Jonico. Lì era in programma il restauro della statua marmorea della chiesa madre. La comunità era stata informata e coinvolta in modo troppo blando.
Ne scaturì una polemica, dovuta alla paura che l’opera fosse sottratta e mai restituita. Le posizioni si irrigidirono e, nonostante i tardivi incontri di mediazione, quel restauro non andò in porto.
Raccontare la montagna: la forza del sapere
«In territori come i nostri le guide hanno un valore specifico. Luoghi abbandonati, privi di elementi che ne facilitino la decodifica, hanno bisogno di un racconto competente. Serve un ripensamento del paradigma economico: oltrepassare il turismo lento o l’organizzazione di un evento culturale spot per costruire delle vere e proprie economie», continua Domenico.
La parola chiave è mettere a sistema perché, ad esempio, ad oggi manca un circuito unitario dei beni storico-culturali: «L’inaccessibilità di certi posti non può più essere tollerata. Guarda cosa succede con l’area archeologica Griso Laboccetta di Reggio.
Perché per quest’area, come per innumerevoli altre in città o in Aspromonte, non è stato studiato un sistema di ingresso a ciclo unico?
E perché dopo la sentenza del Consiglio di Stato che ha annullato il bando guide emanato dalla Città Metropolitana, competente in materia turistica, nessuno è intervenuto per colmare il vuoto legislativo evidenziato? E dire che il numero delle guide turistiche in Calabria è talmente esiguo da necessitare un rimpolpamento», chiosa Domenico.

Aspromonte: il programma che non c’è
Che a tutto questo si sommi un deficit di pianificazione da parte degli enti pubblici non è una novità.
Così, al riguardo, Pasquale: «Le istituzioni non sono mai riuscite a creare itinerari fruibili. Pensa che sui parchi archeologici avevo iniziato un lavoro per fare riemergere la biodiversità archeologica.
Funzionava così: mentre si effettuava uno scavo, con il supporto di botanici e genetisti, venivano utilizzati i pollini rinvenuti per recuperare certe piante che poi dovevano essere coltivate.
Questo ti permetteva di ricreare l’ambiente originario e di mettere a punto diverse produzioni (fichi antichi, nocciole, ecc) da vendere all’interno del parco stesso o presso i circuiti museali. Il parco stesso diventava un’azienda. Avevo proposto l’idea al Parco Archeologico di Locri. In diversi mi avevano risposto che non era una strada percorribile. Oggi lo sta facendo Pompei…», chiude Pasquale.
Chiese Aperte
Per parte sua, la Diocesi di Reggio, attraverso l’Ufficio per i Beni Culturali guidato da Don Mimmo Rodà, ha promosso il progetto Chiese Aperte.
Dal 2012 al 2017 l’iniziativa ha formato circa 300 volontari nel quadro della valorizzazione degli edifici di culto di rilievo storico per farne operatori turistici delle loro stesse chiese di appartenenza.
Il tutto con un obiettivo finale: spingere i beneficiari di quella formazione a realizzare cooperative e associazioni in grado di dare impulso al settore del turismo culturale e religioso.
Secondo Lucia Lojacono, direttrice del Museo diocesano di Reggio Calabria, «non si è riusciti ad avviare queste forme organizzate.
È necessario ripartire con forme di intervento diverse. Ad oggi restiamo una componente fondamentale nel sistema beni culturali: costituiamo la Consulta regionale in costante dialogo con Regione e Soprintendenza e siamo sollecitati a produrre elenchi dei beni su cui intervenire prioritariamente». Anche perché, spiega Don Rodà, «abbiamo una flessione importante dei proventi dell’8×1000, utilizzati per finanziare Chiese Aperte.
Il deficit di fondi ci impedisce di intervenire come vorremmo e non siamo in grado di coprire da soli le spese per il restauro delle chiese secondarie. A maggior ragione abbiamo bisogno di un cofinanziamento da parte delle comunità residenti.
Ma c’è una notizia: abbiamo sottoscritto un protocollo con la Regione che ci permette di partecipare ai bandi europei di finanziamento, impossibile fino a ieri perché, come enti ecclesiastici, non eravamo assimilati agli altri enti privati. Abbiamo aderito con convinzione al progetto Capolavori d’Aspromonte a cui partecipiamo attraverso le diocesi di Oppido-Palmi e Locri-Gerace».

Le amministrazioni facciano la loro parte
Carenza di personale, poco coordinamento pubblico, esiguità di fondi, deficit di pianificazione, incapacità di promuovere sistemi di cooperative legate al privato sociale sono le principali criticità. Mescolare un approccio misto bottom-up e up-bottom potrebbe costituire una soluzione per rafforzare quanto già in atto e per cui è essenziale la regia delle amministrazioni pubbliche – Regione, Province, Comuni, Parco Aspromonte – soprattutto in termini di strategie e di processi a lungo termine di project financing.