Da quattro anni è stata approvata in Italia la norma primaria che ha istituito le zone economiche speciali nelle regioni meridionali del nostro Paese. La Calabria ne è parte integrante, con la ZES di Gioia Tauro. Il momento è opportuno per tracciare un primo bilancio, per capire quello che non ha funzionato e per indirizzare lo strumento esistente, con gli opportuni correttivi, verso un miglior funzionamento.
Le aspettative erano inizialmente molto elevate. Si introduceva in Italia uno strumento di politica economica che aveva determinato profondi processi di trasformazione in molte realtà economiche internazionali che, attraverso fiscalità di vantaggio e regole di semplificazione, avevano attratto consistenti investimenti manifatturieri tali da consentire a quei Paesi di entrare nelle catene globali del valore. Sono più di 5.500 le zone economiche speciali nel mondo. Questo numero dovrebbe farci comprendere che esiste una intensa competizione su scala globale tra territori per attrarre gli investimenti internazionali.
La logistica fondamentale
L’atteggiamento verso le zone economiche speciali in Italia è oscillato tra il messianismo e l’indifferenza. Per alcuni era una bacchetta magica capace di sovvertire l’arretratezza industriale, per altri non serviva assolutamente a nulla, erano solo chiacchiere di professori astratti.
Entrambi gli approcci ovviamente non erano funzionali ad un efficace processo di azione amministrativa. Sappiamo bene ormai che le riforme richiedono un lavoro certosino nelle tre fasi che sono fondamentali per il successo di una azione di politica economica: l’analisi delle finalità, la definizione degli strumenti, l’implementazione dei processi di attuazione.
Sulla definizione degli obiettivi, il legislatore aveva individuato una correlazione tra sviluppo industriale ed armatura logistica. In tutte le esperienze internazionali si era dimostrato che una delle ragioni di attrazione per gli investitori era stata la disponibilità di infrastrutture e servizi per la connettività di elevato livello qualitativo. La logistica, infatti, è diventata, nell’economia della globalizzazione, una delle chiavi fondamentali per la competitività dei territori.
Per questa ragione i porti delle regioni meridionali, e Gioia Tauro tra questi, sono stati concepiti come l’asse centrale attorno al quale agglomerare gli insediamenti industriali da attrarre. Ovviamente, questo approccio implica di realizzare anche gli investimenti di miglioramento necessari per consolidare la competitività logistica degli scali meridionali, soprattutto in termini di connettività ferroviaria e stradale, assicurando anche una rete di collegamenti con gli interporti.
Soluzioni differenti per realtà disomogenee
Nella definizione degli obiettivi è mancata la capacità di calibrare correttamente la lettura dei territori. Il Mezzogiorno non è, ormai da tempo, una realtà omogenea. Comprende regioni che hanno avviato percorsi di nuova industrializzazione, come la Campania e la Puglia, ma anche altre realtà, come la Calabria, che sono purtroppo ancora in una trappola di desertificazione produttiva. Strumenti omogenei di politica economica per realtà disomogenee non sono destinati a determinare la stessa efficacia nei territori più deboli.
Per attrarre investimenti in Calabria occorre superare specifiche barriere all’entrata per il capitale nazionale ed internazionale. La qualità infrastrutturale del territorio, al di là del porto di Gioia Tauro, non è adeguata. Le interferenze ambientali della criminalità organizzata generano diffidenza e vischiosità che non sono certamente elementi attrattivi per gli investitori. Il tessuto dei servizi pubblici e privati non brilla certo per qualità. Occorre avere consapevolezza che non contano solo gli incentivi economici per entrare nella short list delle decisioni imprenditoriali. Occorre anche affrontare le debolezze strutturali che caratterizzano la realtà economica, sociale ed istituzionale della Calabria.
Il ruolo delle multinazionali
C’era anche un’altra questione che è rimasta in ombra nella analisi delle finalità delle zone economiche speciali. L’architettura del sistema industriale internazionale si era riorganizzata sulla base delle catena globali del valore, nella quali totalità dei casi guidate dalle grandi imprese multinazionali, che sono tornate ad occupare la scena centrale proprio per effetto della globalizzazione, ed anche grazie alle zone economiche speciali.
Fare i conti con questa geografia del potere economico è assolutamente indispensabile se si vogliono generare effetti moltiplicativi nel processo di attrazione degli investimenti. Le esperienze internazionali dimostrano infatti che uno dei fattori di successo delle zone economiche speciali consente nell’attirare soggetti multinazionali, che poi sono in grado di generare altre capacità attrattive.
Proprio per questa ragione diventa rilevante in modo decisivo il sistema delle regole amministrative e burocratiche con le quali si deve confrontare il mondo industriale. La semplificazione deve essere particolarmente efficace per poter generare effetti attrattivi per le imprese che devono realizzare investimenti significativi.
Ovviamente, questi meccanismi non si attivano automaticamente, ma richiedono specifici strumenti. Più che incentivi generalizzati a tutti gli operatori, per poter attrarre grandi multinazionali apparirebbe più opportuna una personalizzazione del pacchetto localizzativo mediante lo strumento del contratto di programma, entro un perimetro di compatibilità che può essere stabilito dalla legge.
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