La Via Crucis dei giovani tra le macerie

È la prima manifestazione pasquale nelle vie della città dopo la pandemia e coincide con il primo anno dell'episcopato di monignor Checchinato. Le riflessioni fuori dai denti dei più giovani che cercano aiuto. La croce di Gesu? Forse non ci basta, ma ci aiuta...

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È la via dei fallimenti, delle speranze interrotte, delle strade ritrovate. Parlano le ragazze e i ragazzi, i giovani intrappolati in dinamiche più grandi di loro. Un calvario sociale e personale.
Intrecci di storie nella Storia, quella del nostro Tempo.
La prima Via Crucis cittadina itinerante dopo la pandemia coincide anche con l’inizio del mandato di monsignor Giovanni Checchinato.

La Via Crucis può aiutarci

Un chiaro indirizzo e sguardo rivolto ai giovani del nostro territorio. Gli adulti sembrano in disparte ma in realtà sono i protagonisti e gli artefici di un modello sociale capace solo di generare frustrazioni, incomunicabilità, repressione.
Rappresentano società in cui le ragazze e i ragazzi ci comunicano di non rispecchiarsi. Questa non è una novità: non serve una Via Crucis, ma forse può aiutarci. Ascoltare quei brandelli di solitudini, vite spezzate, atterrite, incastrarli tra i condomini e i rivoli della nostra città ci restituisce un puzzle amaro. Dove siamo noi adulti, cosa abbiamo costruito, cosa abbiamo ricercato nella costruzione della felicità (apparente)? Cosa offriamo a chi cerca oggi lavoro appena uscito dall’università o dalla scuola? È una Croce che si fa strada tra le macerie di una società, di una città tra le città che giorno dopo giorno ha perso il senso di comunità.

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Monsignor Giovanni Checchinato, l’arcivescovo di Cosenza-Bisignano

Gioventù spezzate

Ci sono le storie di chi non riesce a concludere gli esami all’università, di chi non si sente all’altezza delle altrui aspettative, di chi si chiude in sé, di chi non riesce a farcela. Le storie di chi non vede riconosciuto il proprio orientamento sessuale dai genitori. Ci riscopriamo Cirenei o forse dovremmo iniziare a sentirci tali. Interpellati come Simone, chiamati a portare la Croce, a non girarci dall’altra parte. Con l’umiltà di chi arriva da una giornata di lavoro e si ritrova catapultato nella Storia.
Cirenei del nostro Tempo, capaci “di agire”, chinare il capo e lavorare per cambiare rotta. Di osservare.
Il cambio di rotta passa per quella croce con i drammi del nostro tempo. Simone ne è cosciente, forse più di noi. Comprende che sta entrando nella Storia che va al di là di ogni credo. È la Storia degli ultimi, degli oppressi, degli emarginati, degli sconfitti, degli umiliati, dei respinti ai mari e ai confini, dei giovani che non sappiamo ascoltare o che abbiamo smesso di ascoltare.

Un Occidente senza senso

Quei giovani, quelle ragazze e ragazzi ieri ci hanno sbattuto in faccia a noi adulti il senso di un mondo occidentale senza senso.
I suicidi, le molte forme di bullismo, l’incomunicabilità tra generazioni e tra pari. Sono, tutti, problemi che non possiamo schivare.
Le nostre classi, le nostre scuole, le nostre università sono comunità prima ancora che luoghi dove giudicare, mettere voti. Peggio ancora, come pensa qualcuno, infliggere mortificazioni e umiliazioni. Sono luoghi dove accogliere, crescere insieme, fortificare amicizie, superare prevaricazioni, soprusi. Imparare a non restare in silenzio.
Forse si storce il naso a sentirsi colpevolizzati come adulti in quelle riflessioni, forti sicuramente, insistenti a volte. Forse come ieri sera qualche schiaffo dobbiamo tenercelo per ripartire e capire, ricostruire ritrovando la bussola. Cirenei del nostro Tempo per una strada di riscatto.

Andrea Bevacqua

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