«In Italia non c’è nessuna deriva violenta, né alcun pericolo fascista», dice Giuseppe Valditara, ministro dell’Istruzione, dopo il pestaggio squadristico di Firenze e dopo la lettera della preside della scuola i cui studenti sono stati aggrediti. Poi aggiunge che se qualcuno non è d’accordo sarà «necessario prendere misure».
In un colpo solo il ministro fa una capriola e dice una cosa e il suo contrario. Prima rassicura, poi non resiste e tira fuori la faccia feroce. Una volta si sarebbe chiamata “politica del doppiopetto”, un atteggiamento apparentemente democratico ma che maschera tentazioni illiberali. Al di là dei fatti, che pure vanno ricordati, le cose appaiono parecchio complesse.
Il gruppo cui fanno parte i picchiatori trova posto in una sede di Fratelli d’Italia, che con molto ritardo e imbarazzo ha preso blandamente le distanze dagli squadristi che ospitano in casa propria. Del resto nel mese di novembre una delegazione di Azione giovani, cui fanno parte i picchiatori, fu ricevuta da Paola Frassinetti, sottosegretaria all’Istruzione. Tuttavia il cuore del problema pare un altro: c’è da sempre un convitato di pietra nella società italiana. Ed è il Fascismo, con i cui orrori non abbiamo mai fatto davvero i conti.
Fascismo, quello che Valditara non dice
Il fascismo nacque con un atto di codardia, Mussolini pronto a scappare in Svizzera nel caso l’armata Brancaleone che marciava su Roma fosse stata fermata. E si concluse con un atto di uguale viltà, con il Duce travestito da soldato tedesco per fuggire in Germania. In mezzo c’è l’orrore di un colonialismo straccione e genocida, per il quale nessuno ha mai pagato; la cancellazione dei diritti basilari di una società, la persecuzione degli oppositori, la chiusura di giornali, partiti, sindacati; la cancellazione di più di una intera generazione di giovani italiani, mandati a morire sul Don o in altri luoghi, per inseguire un sogno vanaglorioso; le leggi razziali e la complicità nella morte di migliaia di italiani di religione ebraica; e poi la ferocia dei repubblichini, il sadismo della banda Koch, le lunghe ombre eversive del dopoguerra, con tentazioni golpiste.
Al posto di questi fatti è stata, con un certo successo, raccontata una storia diversa. Fatta di italiani brava gente, non cattivi come le SS, di cose buone che pure sono state fatte, come sistemi pensionistici che in realtà hanno avuto origine assai differente. Sulla leggenda della puntualità dei treni vale la pena di ricordare la battuta tagliente di Pessoa che diceva che «se vivi a Milano e fascisti ammazzano tuo padre a Roma, potrai arrivare certamente in orario per il suo funerale».
Il coraggio di fare i conti col passato
Ci siamo raccontati un sacco di bugie, perché fare i conti con la nostra storia è difficile, ci vuole coraggio e ci è mancato. La conseguenza è che i fascisti possono affermare che il fascismo non c’è. E lo fanno mentre mostrano il manganello e preparano l’olio di ricino. Vorrebbero che nelle scuole si insegnasse quel che dicono loro, che si leggessero i giornali che sono loro graditi, i libri e gli autori non ostili. Anzi meglio levarli proprio i giornali e i libri: portano sempre una loro intima pericolosità. Al pensiero critico preferiscono il pensiero obbediente.
E invece dobbiamo portare nelle aule i libri e i film e i giornali che insegnano la libertà. E dobbiamo raccontare il fascismo nel suo autentico orrore, anche per non tradire il lascito di Parri che implorava di «non stendere un comodo lenzuolo di oblio su questa pagina di vita italiana».
Alla fine, come sempre, si deve decidere da che parte stare. La scuola deve stare ogni giorno dalla parte della Costituzione, quella che dice che siamo antifascisti.