Selfie ergo sum: se l’ego social batte la morte

L'ultimo saluto al defunto che si trasforma in autoscatti con la vedova illustre, che si presta agli obiettivi dei telefonini dei fan. Le esequie di Costanzo e il rapporto malsano tra finzione televisiva, piattaforme web e mondo reale

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Per fare pazientemente la fila al funerale di un personaggio famoso per farsi un selfie con la vedova ancora più famosa e magari aver pure sorriso, si deve aver attraversato tutto il cavo teso tra l’umano e il disumano. E soprattutto non si deve aver mancato l’appuntamento nemmeno con una puntata di Uomini e donne e di C’è posta per te.
Si deve aver perso il senso del pudore, la misura del limite e perfino della morte. Si deve aver interiorizzato l’idea che lo spettacolo deve continuare, anzi che lo spettacolo sia la vita stessa, che gli attori siamo noi. E si deve essere, smarrito il senso del mostruoso, del tutto immersi nell’idea che si esiste se ci si mostra.

Il selfie funerario

«È la televisione, bellezza e non puoi farci niente», si potrebbe dire parafrasando Hutcheson – Bogart. In realtà le cose sono più complesse. Si tratta di una forma pervasiva ed efficace di egemonia culturale, non esattamente gramsciana. Essa si fonda sull’inconsapevolezza, sulla distrazione, sulla ricerca effimera di una manciata di secondi di celebrità da eternare con una foto sui social.
Il selfie funerario celebra il connubio tra televisione e social: mi fotografo con l’incarnazione della Tv per poi spammare l’immagine su un canale condiviso.

Cattiva maestra televisione

Dietro questo gesto c’è il ripudio di ogni forma di riservatezza, di garbato rispetto. C’è il trionfo dell’ostentazione, dell’esporsi come forma vitalistica, come senso dell’esistenza. Chi dovesse pensare che oggi il controllo sociale passa attraverso i social dovrà ricredersi: la televisione non ha ancora ceduto il proprio dominio nel forgiare le menti e anzi ha compiuto per intero la sua missione, farci credere che quel accade lì dentro sia tutto vero, mentre è arte e finzione.

Selfie col vivo al capezzale del morto

Per questo sono stati in tanti ad aspettare il proprio turno, non per salutare una persona morta, ma per fotografarsi con una persona viva e lanciarsi nella caccia «dell’Amen della devozione digitale che è il like», come scrive Byung Chul Han.
Per consentire questo il mondo della televisione esce dagli schermi e si consegna al proprio popolo, si fa toccare – cosa inconcepibile in una monarchia vera, dove i re sono intangibili – si fa fotografare. Alla fine resta l’emozione del selfie che nel capitalismo emozionale è solo una delle merci da pagare con le condivisioni.

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