Quattro soldi o migrazioni: Occhiuto e il futuro del lavoro

Il presidente della Regione snobba il salario minimo parlando di cervelli in fuga, quasi ignorasse la diffusione e le conseguenze degli impieghi sottopagati in Calabria. E suggerisce soluzioni che ricordano più il Qatar che la Scandinavia

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Nelle sue ultime uscite Roberto Occhiuto si è sbilanciato sulla sua visione del futuro. In particolare, su quello che prevede la sua agenda per il lavoro.

Occhiuto snobba il salario minimo

Durante una recente intervista televisiva ha dichiarato che l’emigrazione intellettuale in Calabria «non si contrasta con il salario minimo», perché le persone laureate hanno l’obiettivo di «lavorare in un contesto che gli offra delle opportunità».
Il salario minimo è percepito quindi come uno strumento quasi controproducente per il mercato del lavoro calabrese. Una posizione di comodo, che non richiede alcuna iniziativa a breve termine e rimanda le eventuali soluzioni ad un futuro prossimo ipotetico. Quando cioè, sempre secondo Occhiuto, grazie alla sua azione rinnovatrice la Calabria diventerà «una Regione normale».

Fabbrichette ed ecomostri

Un concetto di normalizzazione che si iscrive a pieno titolo nella solita narrativa del Sud che aspira a diventare Nord, replicare modelli che si presume funzionino altrove. Lo stesso atteggiamento che alla fine del secolo scorso ha portato alla proliferazione di zone industriali in ogni fazzoletto di pianura calabra, in un’epoca storica dove la produzione industriale era stata già delocalizzata in Cina. Come eredità oggi restano gli ecomostri, prefabbricati in disuso, che occupano suolo naturalmente prospero e vocato all’agricoltura spontanea.

Il valore del lavoro a Nord e Sud

Malgrado il pensiero anticonformista espresso da Occhiuto, il decadimento del valore del lavoro è un problema a Nord, come a Sud. Qualsiasi indicatore statistico si consulti, appare evidente quanto gli stipendi in Italia siano inadeguati. Particolarmente frustrante la condizione di coloro che pur lavorando non riescono ad uscire dalla povertà, fasce di popolazione per le quali il salario minimo rappresenterebbe di certo una misura di contrasto strutturale alle ingiustizie sociali.

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In Calabria, i salari sono tra i più bassi d’Italia, condizione che indebolisce e fragilizza la classe lavoratrice dipendente. Perdere il lavoro, in Calabria più che altrove, rappresenta un salto nel vuoto, verso condizioni economiche potenzialmente peggiori o verso il baratro della disoccupazione. Ciò rende i lavoratori ricattabili, dunque funzionali a chi detiene il potere politico-economico. La fragilità del lavoro lascia gli individui in preda alla solitudine e porta alla rinuncia a qualsiasi tipo di lotta per affermare le rivendicazioni collettive.
Eppure il presidente della Regione marginalizza la questione del salario minimo, quasi un vezzo che riguarderebbe esclusivamente il “mito” del rientro dei cervelli – per il quale invece servirebbero politiche attive specifiche – ignorando l’impatto reale sui suoi conterranei che vivono e lavorano in Calabria.

Occhiuto e il valore del salario minimo in Calabria

Basterebbe portare occhi e orecchie nei luoghi di lavoro per scoprire la realtà. Qui si incontrerebbero persone sovraqualificate che vivono di contratti a tempo determinato, di contratti atipici, di partite IVA, con stipendi che raggiungono difficilmente i mille euro. Precari nelle pubbliche amministrazioni come nei call center. Calabresi disposti a restare, che accettano compromessi al ribasso. E che forse, in fondo, sono gli unici a non credere che partire sia una scelta obbligata. Storie di cui dovrebbe farsi carico prima di sbilanciarsi in prese di posizioni tanto ortodosse quanto inconsistenti.callcenter-abramo

A molti calabresi basta semplicemente un lavoro, anche mal pagato, per convincersi a non lasciare la propria terra, perché ci sono sentimenti, ragioni e legami che contano molto di più delle “opportunità”. Chi rappresenta la massima istituzione regionale dovrebbe pensare prioritariamente a loro quando dibatte di salario minimo, a come restituire nell’immediato la dignità del lavoro a chi per scelta – o per necessità – resta in Calabria.

Calabria saudita

Nella stessa intervista sul salario minimo, Occhiuto definisce i flussi di migranti come un’opportunità da cogliere, «un modo per dare quella manodopera alle imprese che in alcune mansioni non riescono più a reperire». Concetto ribadito ed amplificato agli Stati generali del Mediterraneo a Gizzeria, dove indica ancora più chiaramente la via da perseguire: «Faccio un esempio: MSC, che è il più grande terminalista che opera presso il porto di Gioia Tauro, si appresta a realizzare la più grande fabbrica di container in India, perché lì il costo del lavoro è decisamente più basso, e quel Paese gli fornisce operai specializzati che in Italia non ci sono. Ecco perché un piano di attrazione degli investimenti deve tenere conto dell’incrocio fra domanda e offerta di lavoro, che si apra anche ad accogliere i lavoratori di altre realtà.” Insomma, il futuro mercato del lavoro in Calabria sembrerà più al modello Qatar che a quello scandinavo.

Il porto di Gioia Tauro

Ecco spiegate le contraddizioni e le motivazioni della netta presa di posizione contro il salario minimo. La Calabria che l’Italia non si aspetta (cit.) per crescere, competere ed attrarre investimenti avrà bisogno di lavoratori sottopagati. In mancanza degli schizzinosi italiani, ci sarà sempre un disperato che arriva dal mare.
Nulla di nuovo, la solita ricetta positiva neoliberista interpretata da un uomo bianco di mezza età.

Enrico Tricanico

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