Rende, l’agonia di una città che sognava in grande

La contrapposizione con Cosenza e l'idea sempre "gassosa" di città unica. L'urbanistica attrattiva di Malara, i Principe e Manna. Cosa resta dopo i titoli di coda dello scioglimento per mafia?

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Quando Empio Malara progettò la città di Rende la immaginò come una realtà urbana dove la modernità non avrebbe dovuto snaturare il senso dell’abitare i luoghi. Da questo punto di vista Rende si contrappose subito alla vicinissima Cosenza, cresciuta disordinatamente, senza un piano regolatore organico, preda della furia edilizia della metà degli anni sessanta.

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Cecchino e Sandro Principe

Il Principato

Rende invece era ordinata, strade larghe, viali alberati, spazi comuni, asili che sembravano venuti da paesi scandinavi, servizi che promettevano di essere efficienti. Dietro quel progetto urbanistico, come sempre accade, c’era una visione politica, la pretesa di realizzare, per la prima volta in Calabria, una città a misura delle persone.
L’artefice di quella visione fu Francesco Principe, socialista arcaico eppure moderno, eternamente sindaco di Rende per poi passare lo scettro al figlio Sandro, entrambi capaci per molti anni di influenzare le scelte politiche calabresi. Furono moltissimi i cosentini che dagli anni settanta in poi cedettero alla tentazione di trasferirsi oltre il Campagnano, confine immaginario e amministrativo tra le due entità urbane, in realtà cresciute una accanto all’altra senza soluzione di continuità. I prezzi bassi degli appartamenti, l’apparente maggiore vivibilità degli spazi, furono un’attrattiva per un gran numero di cosentini, per lo più piccola borghesia impiegatizia, che cercava casa.

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L’Università della Calabria

Dormitori, Unical e Legnochimica

Cosenza si svuotava, perdendo residenti, ma Rende si riempiva solo di notte: per moltissimi anni i suoi quartieri ebbero il destino di restare dormitori. La bella città progettata da Malara non riuscì ad avere un’anima propria per tanto tempo, le piazze, gli slarghi, progettati come luoghi di incontro, rimasero non luoghi, spazi vuoti, perché per costruire l’identità di una città ci vuole tempo.
Nemmeno l’arrivo dell’università riuscì a mutare il destino dei quartieri rendesi, ma portò nuova ricchezza al territorio, che conobbe un ulteriore impulso edilizio. Intere aree sorsero per dare ospitalità agli studenti fuorisede, alimentando un giro d’affari costruito sui fitti in nero. Chiunque in quegli anni ne abbia avuto la possibilità, ha acquistato uno o più appartamenti, spingendo la domanda di nuove case e immaginando proficui investimenti. Oggi Rende è probabilmente la città con il più alto numero di case rispetto ai residenti. Sul piano economico Rende si proponeva anche come attrattore di imprese, con un’area industriale piena di capannoni, ma anche con la mefitica Legnochimica, problema ancora irrisolto.

La sedicente Crati Valley

E mentre Cosenza restava ostinatamente ancorata al settore terziario, Rende coglieva l’opportunità della modernità ospitando le imprese della così detta Crati Valley, guizzi di futuro fatti di ricerca applicata, informatica, servizi avanzati, oggi per lo più arenati come balene spiaggiate. A guidare la crescita urbanistica e sociale di Rende è stata la famiglia Principe, al timone della città per un tempo così lungo da poter essere tranquillamente scambiata per una monarchia ereditaria. Nelle rare occasioni in cui a guidare il comune non era un Principe, il sindaco eletto era certamente riconducibile all’influenza della loro famiglia.

L’antagonismo con Mancini

Un successo lunghissimo che si è basato certamente su un consenso autentico, ma non meno su un potere radicato e diffuso: sia il patriarca Francesco che il figlio Sandro, hanno avuto nel tempo ruoli importanti in vari governi nazionali. Il conflitto campanilistico tra il capoluogo e la città di Rende era costruito anche sull’antagonismo politico tra i Principe e Mancini e a quei tempi l’ipotesi di una città unica è presente ma sotto forma di fantasma, un’idea che non sta tra le cose davvero probabili, ma di cui si parla. Gradualmente quell’idea cominciò a circolare restando però ben circoscritta nell’ambito della teoria, anche se non mancarono gli esercizi di fantasia sul nome, come l’ipotesi di chiamarla Co.Re. Ogni tanto la si faceva uscire dal cassetto, sempre senza eccessiva convinzione, fino a quando non divenne tema politico sempre più attuale allorchè accadde quel che non sembrava possibile: Sandro Principe venne sconfitto da Marcello Manna alle elezioni amministrative del 2014.

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Il sindaco di Rende, Marcello Manna (foto Alfonso Bombini)

Un Comune sciolto per mafia

Non era solo il declino di una lunghissima egemonia, che già aveva dato segni di cedimento, era l’inizio di una nuova era che si sarebbe conclusa con l’onta dello scioglimento del comune per infiltrazione mafiosa. Ma all’inizio della prima consiliatura di Manna questo evento non era ancora prevedibile e Rende si candidava sempre più fortemente come antagonista del capoluogo. I suoi quartieri non sono più dormitori, la città ha lentamente costruito la propria anima. Cresce il dibattito sulla collocazione del nuovo ospedale, che Manna vorrebbe accanto all’Unical, mentre Occhiuto sulle colline di Muoio Piccolo e con fiammate sempre più frequenti si apre il dibattito sulla città unica, dove Rende spinge per un ruolo di maggiore protagonismo rispetto a Cosenza che è azzoppata da un bilancio pieno zeppo di debiti.

Titoli di coda

Le disavventure giudiziarie del sindaco Manna sono solo una lunga agonia che porta Rende all’ignominiosa conclusione, che poteva essere risparmiata se chi guidava la città si fosse per tempo arreso all’inevitabile. Oggi l’idea della città unica ha un nuovo convitato al dibattito, ed è proprio l’inglorioso finale di una città che voleva essere moderna e che si è svegliata prigioniera a rimescolare le carte, spostando non solo nel tempo l’eventuale realizzazione del progetto, ma anche mutando equilibri di potere ed egemonie. È come se la carta lucida su cui Malara aveva disegnato l’idea di una città nuova che doveva essere Rende fosse stata strappata con violenza e di questo non c’è nessuno che possa riderne.

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